Il 1968 nello Stato Spagnolo: il contesto storico

Fri, 29/06/2018 - 13:34
di
Josep Maria Antentas*

L’anno 1968 occupa un posto di spicco nella storia del XX secolo. Collocarlo all’interno della storia dello Stato Spagnolo significa sia analizzare l’impatto del “1968 globale” sia collocare gli accadimenti nello Stato Spagnolo di quell’anno in un contesto più ampio, di forte ascesa del movimento anti-franchista.

Si può affermare, come fa Kristin Ross, che non ci fu un 1968 in Spagna. Ma questa affermazione va interpretata nel senso che non ci fu un “maggio eccezionale”, un “maggio-evento”. Questo non significa che non accadde nulla, ma che il 1968 deve inserirsi in una dinamica generale di aumento della contestazione sociale e del movimento studentesco durata tutto il decennio. Non un’esplosione di maggio, ma un periodo di agitazione tra il 1967 e il 1968 inquadrato nella continua crescita della protesta studentesca del 1964-1965, nell’urgente bisogno di un nuovo movimento operaio intorno alla Commissione Operaia del 1962, nella crescita del PCE e della sinistra rivoluzionaria.

La mancanza di un “maggio del 68”, in maggio o in qualsiasi altro momento di quell’anno, fa si che spesso nelle analisi internazionali riferite al ’68 la Spagna figuri tra i paesi meno colpiti. Ma se ci focalizziamo non sull’anno ma su tutto il periodo, senza dubbio la lotta anti-franchista fu uno dei grandi movimenti dell’epoca. Comprendere il ’68 spagnolo è, in questo senso, comprendere la crescita del fronte anti-franchista durante gli anni precedenti e la sua evoluzione, nonostante lo stato di emergenza dichiarato nel 1969.

DISTORSIONI

L’interpretazione del 1968 è stata, e continua ad essere, un campo di battaglia politico e intellettuale. Tra le letture retrospettive più distorte del 1968, le più frequenti sono quelle che lo riducono ad un conflitto generazionale e ad una rivolta socio-culturale. In sintesi, una visione “depoliticizzata e depoliticizzante” del maggio ’68 che, come segnala anche Daniel Bensaid, la priva della sua dimensione anticapitalista e la riduce ad un “desiderio di liberazione anti-autoritaria e di modernizzazione dei costumi”. In questa interpretazione parziale del ’68 troviamo quella che Kristin Ross chiama una doppia conferma dell’evento: una biografica, che lega il movimento alla biografia di alcuni dei suoi leader che si erigono a suoi interpreti legittimi, raccontando quello che accadde in funzione delle loro posizioni raggiunte nel futuro; e l’altra sociologica, che mette su un piedistallo una storia generazionale e modernizzatrice.

Le letture parziali del ’68 spagnolo e, più in generale, dell’anti-franchismo, fanno eco anche a questa visione depoliticizzante, culturale e generazionale. Ma insieme a questa tripartizione abituale del ’68 internazionale, nel caso spagnolo coesistono una serie di visioni parziali specifiche. Tutte hanno il compito di limitare la profondità politica delle proteste dell’epoca e riaffermare una teleologia storica, per la quale il corso degli avvenimenti oltre il franchismo era l’unico possibile.

La prima consiste nel negare l’effervescenza politica della Spagna dell’epoca. Ciò significa sfruttare la mancanza di “Maggio del ‘68” nello Stato Spagnolo per dissolvere l’importanza dell’anti-franchismo, banalizzarlo e considerarlo una questione secondaria in una società segnata dalla liberalizzazione e dallo sviluppo. Negare questo è, in ogni caso, un meccanismo classico della storiografia e del pensiero conservatore sugli anni sessanta in generale, che colpisce anche, come analizza Ross, il maggio francese.

La seconda è ridurre l’anti-franchismo e il movimento studentesco, in particolare, ad un movimento semplicemente democratico, invece di considerarlo un cambiamento politico che omologava la Spagna alle altre democrazie dell’Europa occidentale.
Collegate spesso con la politica del PCE dell’epoca e difesa retrospettivamente da antichi esponenti della sinistra che migrarono poi nel PSOE, queste interpretazioni sono figlie di una concezione riduzionista del movimento studentesco, sia per quanto riguarda la radicalità delle sue richieste che per la sua funzione generale di spazio di politicizzazione della gioventù e di scuola per una lotta più ampia. Tuttavia, la “democrazia” per la quale lottavano gli studenti del ’68, anche se molto imprecisa nelle sue proposte concrete, aveva un significato più ampio di quello della “democrazia” che si consolidò dopo il periodo di transizione, di cui il “socialismo” era una componente importante. Utilizzando le parole di Alvarex Cobelas, il movimento studentesco lottava per un “socialismo dal carattere diffuso e contraddittorio". E di fatto, come ci ricorda Manolo Garì, insieme alla richiesta basilare di una “università democratica” il movimento aveva altre parole chiavi, come “università popolare”, che mostravano la volontà di andare oltre una semplice “democrazia” omologabile al capitalismo occidentale e di mettere in discussione il ruolo dell’università come strumento di riproduzione della classe dirigente.

La terza interpretazione vorrebbe isolare l’anti-franchismo dal suo contesto internazionale. Questo serve, nuovamente, per limitare il suo ruolo e contenuto, riducendolo ad una lotta per la democrazia nascondendo il suo carattere “socialista” più o meno diffuso e anticapitalista, in linea con l’ondata di contestazione dell’epoca. Anche se rispondeva alla situazione politica e sociale specifica dello Stato Spagnolo, il movimento necessita di essere messo in relazione con lo scenario politico, sociale e culturale internazionale. I fatti del 1968 ebbero luogo in contesti nazionali specifici e mancarono di coordinamento e di connessione diretta, nonostante le relazioni informali tra alcuni attivisti. In ogni caso, il 1968 presenta così com’è le caratteristiche di un avvenimento mondiale. In questo senso mi sembra più corretto porre l’accento sulla dimensione globale di questo avvenimento piuttosto che il contrario, come prova a fare Richard Vinen. Il '68 spagnolo deve essere analizzato in questa prospettiva globale. Non per sfumare le sue particolarità e considerarlo come una mera espressione locale di una dinamica globale, ma per capire meglio le sue caratteristiche. Il nazionale e l’internazionale sono collegati tra loro e non si possono confondere l’uno nell’altro né considerarli rigidamente separati.

La quarta interpretazione, una variazione della precedente, è l’affermazione che non ci fu un '68 spagnolo perché la Spagna era isolata dal resto dell’Europa. In realtà, né la dittatura né la censura impedirono la diffusione delle idee radicali diffuse a livello internazionale. I protagonisti degli avvenimenti del ’68 in ogni paese si identificarono con le proteste degli altri e presero coscienza di vivere un movimento globale. Questo vale anche per la Spagna, dove durante la seconda metà degli anni sessanta i militanti universitari, vista la loro situazione particolare, come segnala Jaime Pastor, “si unirono ad un processo di radicalizzazione che sarebbe arrivato ad avere una portata mondiale”. I problemi dell’università spagnola e della condizione studentesca presentavano similitudini con quelle dell’Europa Occidentale, anche se ovviamente condizionati dalla dittatura nello sviluppo, nelle forme di agire e nella definizione delle priorità politiche. Il falso discorso secondo il quale in quel momento lo Stato Spagnolo era “fuori dall’Europa”, nasconde la connessione soggettiva e intellettuale dell’anti-franchismo con la sinistra internazionale dell’epoca e serve per associare l’ingresso in Europa con quello dell’entrata nella CEE nel 1986 e con la modernizzazione del PSOE dopo il 1982.

Infine, l’ultima lettura parziale, come ricorda Fernandez Buey, è quella di attribuire al cambio socioculturale modernizzatore post-68 della società spagnola, a partire dalla trasformazione del ruolo della donna, l'interpretazione del '68 come una conseguenza automatica delle politiche riformatrici praticate dal regime, quando in realtà non si possono comprendere senza considerare l’impatto dei movimenti di protesta di quel periodo. Suddetta lettura cerca, ancora una volta, di minimizzare l’impatto della lotta degli anni Sessanta e Settanta nella società spagnola. Se in Francia alcune interpretazioni conservatrici, come quelle elaborate da Sarkozy nel 2007, cercavano di attribuire al Maggio '68 la responsabilità della crescita di un individualismo competitivo e di un narcisismo consumista, la variante contraria di questa tesi nel caso spagnolo sarebbe quella di negare il suo ruolo nella modernizzazione socio-culturale in chiave positiva della società spagnola.

IL CONTESTO DEL '68

Il 1968 si posiziona al termine di un decennio di cambiamenti nel regime iniziati nei primi anni 50 segnati dalla fine dell’autarchia, lo sviluppo e una (molto piccola) apertura politica. Dalla fine degli anni cinquanta vennero promulgate una serie di leggi che modificavano l’ordinamento giuridico stabilito dopo la guerra, ma senza cambiare la natura autoritaria del regime, per cercare una nuova legittimità interna ed internazionale. Questi cambi di leggi mantennero il carattere antidemocratico del regime, facilitando però al contempo la creazione di “spazi di contestazione”.

Il '68 arrivò dopo vari anni di crescita dell’anti-franchismo nell’università, nel mondo operaio, nella chiesa e tra gli intellettuali. Dal 1962 era cominciata, con gli scioperi dei minatori asturiani, una ricostruzione del movimento operaio, che pose con urgenza la necessità di creazione di una commissione operaia. Da allora, in un clima di crescita dell’urbanizzazione e dell’industrializzazione, di formazione di una nuova classe lavoratrice e di un aumento del livello della vita, la conflittualità operaia era un fenomeno costante e in crescita. Le commissioni operaie si espansero dopo il 1962 e si consolidarono nelle elezioni sindacali del 1966, lasciando dietro di loro una forte repressione e la dichiarazione di illegalità nel marzo del 1967. Nella sua specificità e nelle particolarità della lotta contro il franchismo, la sua crescita è imparentata con il “nuovo movimento operaio” in ascesa durante gli anni sessanta in tutta l’Europa occidentale.

Gli anni sessanta videro crescere anche quella che verrà definita la questione studentesca. Dal 1965 la conflittualità universitaria era diventata una questione di ordine pubblico che disturbava la “pace sociale” in Spagna, di cui si finiva appena di celebrare il venticinquesimo anniversario. Si stava producendo un “fracasso della socializzazione politica franchista dei giovani”, che non la finivano di contestare il regime. Il vecchio falangismo, superato dal contesto, mancava già di fatto di un piano di lavoro politico per gli studenti per aggregarli alla loro causa e la fazione in crescita della dittatura, l’Opus Dei, incarnava una minoranza concentrata a conquistare posizioni ai vertici dello Stato, senza però un progetto politico dal basso per le masse della gioventù universitaria.
Dal 1965 l’università divenne un costante fuoco di proteste, di cui Madrid e Barcellona furono gli epicentri non sincronizzati. Una delle caratteristiche di questa fase fu “la mancanza di sincronia tra i movimenti delle due università quantitativamente più importanti del paese” e anche tra queste due e il resto dei distretti universitari. Il movimento studentesco ebbe una particolare geografia e tempistica mostrando una “discordanza di tempi e di spazi”, per utilizzare le parole di Daniel Bensaid, elemento costante in molti movimenti sociali. Seguendo uno schema classico in tutto il processo di intensificazione della protesta, questa sperimentò anche una estensione geografica, allargandosi, anche se in modo ineguale, al resto dei distretti universitari che, tuttavia, rimasero sempre al di sotto del livello di contestazione delle due città principali.

Il movimento si scontrava con una università franchista caratterizzata dalla sua mediocrità, con la sua funzione propagandistica per il regime e per la sua disconnessione dal lavoro scientifico e intellettuale che si stava dando a livello internazionale. Era tanto mediocre intellettualmente quanto decadente istituzionalmente. La massificazione dell'università, anche se minore rispetto alla maggior parte dei paesi europei, non fece altro che acutizzare il deficit strutturale della stessa per quanto riguarda l’insegnamento e il funzionamento. Le obsolete strutture dell’università, gravate dall’endemica mancanza di fondi, sperimentarono una crescente inadeguatezza in un’università formata già dai figli di una incipiente classe media in crescita e delle famiglie appartenenti al fazione vincitrice della guerra.

La lotta contro il Sindacato Spagnolo Universitario (SEU) e quella per l'ottenimento di una rappresentanza studentesca democratica, costituirono l’asse strategico del periodo '65-68. Nella riunione nazionale degli studenti che ebbe luogo a Barcellona, nel marzo del 1965, si decise di battersi per avere delle strutture democratiche autonome degli studenti da contrapporre al SEU. La lotta culminò nel marzo del 1966 con la creazione del Sindacato Democratico di Studenti (SDE) dell’Università di Barcellona, in un’assemblea realizzata nel convento dei padri cappuccini di Sarrià, la cui difesa degli studenti di fronte l’accerchiamento della polizia ebbe un grande impatto. È solito, da allora, considerare da parte del movimento studentesco barcellonese, che “il nostro 68 è stato il 66”, intendendo così che fu quello il momento decisivo per l’esplosione della protesta studentesca e non nel senso di considerare gli eventi di quell’anno come equivalenti al significato globale degli accadimenti del '68 francese per la storia di questo paese. La fondazione del SDE a Barcellona fu presa a modello per la creazione di molti altri SDE nel '67 e nel '68, tra cui si ricorda il SDE dell’Università di Madrid fondato il 26 aprile 1967.
L’ascesa del movimento dal 1965 provocò un cambio dei rapporti di forza dentro l’università, tra il movimento di protesta e le istituzioni franchiste fino a provocare una situazione di “doppio potere” all’interno dell’università. Fernandez Buey lo spiega in questi termini: “Gli studenti si erano impadroniti di fatto degli edifici universitari creando così una situazione molto simile al doppio potere all’interno degli stessi: i tradizionali poteri accademici retrocedevano dinanzi l’organizzazione studentesca fatta di attività culturali e politico-culturali che venivano programmate con cadenza settimanale; i dipartimenti di pubblicazioni gestiti dagli studenti, che funzionavano già con un’autonomia conquistata un paio di anni prima, moltiplicarono la loro produzione”.

Una volta distrutto il vecchio sindacato e imposto una rappresentazione democratica grazie al SDE, paradossalmente, l’azione sindacale studentesca perse senso in se stessa, rivelandosi limitata come strumento di cambio sociale globale. Nel senso che era stato molto più importante ottenere un sindacato democratico piuttosto che il ruolo che realmente questo poteva ricoprire. L'imposizione di una rappresentanza studentesca democratica era senza dubbio una vittoria, però la sua funzionalità e la sua utilità reale di contributo alla lotta era meno rilevante, e i vari SDE entrarono in crisi, in momenti diversi, a partire dal 1968. Da qui il suo paradossale fallimento di successo.

1968 E GLI ECHI DELLA FRANCIA

Gli avvenimenti del maggio '68 in Francia colpirono lo Stato Spagnolo, anche se l’anno in se non ebbe episodi di mobilitazioni straordinaria. Le autorità franchiste mostrarono, durante tutta la crisi del maggio francese, una grande preoccupazione riguardo alla possibilità che disordini potessero avvenire anche in Spagna. Il timore del “contagio” guidò tutta la politica di quel periodo. Provarono, in primo luogo, ad evitare la diffusione di quello che succedeva. La censura funzionava bene e in maniera molto rigida sia in radio che nelle tv, però la carta stampata, dopo l’emanazione della Legge sulla Stampa nel 1966, aveva più margine di autonomia. Approvata dal Parlamento il 15 marzo 1966, la legge entrò in vigore il 9 aprile. Era una legge ambigua, e la sua ambiguità ne permetteva un uso discrezionale ed arbitrario da parte delle autorità. Riconosceva la libertà di espressione e di diffusione dell’informazione, però dentro le Leggi Fondamentali e i principi del Movimento Nazionale. Eliminava la censura preventiva delle pubblicazioni e autorizzava la libera designazione del direttore, il quale diventava così il principale responsabile politico, favorendo in tal modo tanto la censura dei giornalisti quanto l’attitudine prevaricatrice dei direttori.

Gli organi ufficiali del Movimento Nazionale non furono solo ostili ai manifestanti, ma inizialmente anche critici con De Gaulle per la sua timidezza e considerarono le proteste come un episodio fomentato dal Partito Comunista Francese. La stampa convenzionale, al contrario, si unì alla critica agli studenti francesi con il rispetto verso il Generale. Dopo l’indizione delle elezioni da parte del Presidente francese e il recupero del controllo della situazione da parte del governo di Pompidou, tutta la stampa, inclusa quella del Movimento, prese le difese dell’esecutivo francese. L’unica voce discordante fu quella de “El Diario” di Madrid, legato ad un settore dell’Opus Dei, che pubblicò un articolo di Rafael Calvo Serer con il titolo “Ritirarsi in tempo” in cui sfruttava la crisi francese per attaccare De Gaulle e sottintendere la necessità del ritiro di Franco. Per questo articolo il giornale venne sanzionato e chiuso per quattro mesi (inizialmente erano due poi prorogato per altri due).

Il '68 francese fu importante nello Stato Spagnolo soprattutto per le sue ripercussioni sul movimento studentesco. Aiutò anche a creare i futuri risvegli politici e culturali che, tra gli altri, favorirono l’esplosione del movimento femminista a metà degli anni settanta. La sua ripercussione sul movimento operaio, in cambio, fu molto più leggera e indiretta.

L’allora militante delle CCOO e successivamente consigliere della Fondazione Il Primo Maggio afferma: "nell'immediato futuro, il maggio francese ha avuto un impatto importante sulle università spagnole, ma non sulle lotte operaie (...)". L'autore aggiunge che, tuttavia, "un altro movimento, il "caldo autunno del 1969 in Italia, è stato seguito dalle CCOO". Gli eventi del maggio 68 hanno avuto poca influenza diretta sulle CCOO e ci sono pochi riferimenti a essi nella loro documentazione interna, sebbene si possa considerare che ci sia stato un impatto indiretto in termini di favoreggiamento della radicalizzazione.

Il maggio '68 ha generato un diffuso interesse tra la minoranza studentesca radicalizzata. La simpatia per quello che accadeva in Francia era già evidente durante l'emblematico concerto di Raimon il 18 maggio alla Facoltà di Scienze politiche ed economiche di Madrid. L'esplosione francese fu particolarmente influente nel settore studentesco del Fronte Popolare di Liberazione (FLP) che resse la direzione politica del movimento a Madrid negli anni '66, '67 e '68, nello stesso momento in cui raggiunse un peso crescente e decisivo nel FLP nel suo complesso, fino al punto di diventare autonomo dallo stesso comitato politico del FLP. Se il maggio ha risvegliato simpatie trasversali solo tra gli anarchici, gli studenti di FLP lo hanno preso come un riferimento strategico diretto. Da parte sua, il partito Comunista di Spagna (PCE) analizzò gli eventi del maggio come prova della disconnessione tra la sua controparte francese e i giovani, traendone la necessità di evitare lo stesso nello Stato Spagnolo, cercando di aumentare i suoi legami con la gioventù e il "mondo della cultura". Carrillo aveva un atteggiamento molto più empatico con la rivolta rispetto a quello mantenuto dalla direzione del PCF, cosa che ha distanziato entrambe le parti, ma accettò l'approccio economista della sua controparte francese, che circoscrisse il conflitto al campo sindacale senza spingere a un confronto politico diretto con il potere.
In breve, l'interpretazione del '68 francese era un elemento decisivo per la riflessione strategica della sinistra radicale spagnola e, più in generale, ha contribuito alla radicalizzazione della protesta sociale. Ha rappresentato un momento di riflessione che ha lasciato il posto a una nuova fase della protesta anti-Franco e alla politica del regime.

RADICALIZZAZIONE POLITICA E STATO DI EMERGENZA

Dalla fine del ‘68, con l'inizio del nuovo anno accademico a settembre e durante tutto il ‘69, il movimento ha sperimentato un processo di radicalizzazione verbale e delle sue forme di azione (che sono passate dall'assemblea e dallo sciopero ai sit-in, ai confinamenti, alle occupazioni di sedi, ai "giudizi critici" dei professori reazionari, dimostrazioni lampo, guerriglia urbana ....). veniva utilizzato sempre più un linguaggio rivoluzionario che si distinse dalla lotta esclusivamente democratica contro Franco, che nella lingua del tempo era conosciuta come "democratismo". L'anti-franchismo fu esteso all'anti-imperialismo e all'anti-capitalismo. Le nuove dinamiche del movimento coinvolgevano spesso un radicalismo iper ideologico, basato su trasposizioni del contesto internazionale che non tenevano conto della concreta correlazione effettiva delle forze. Ma si iniziava a supporre un rinnovamento del movimento, il superamento dei limiti della sua fase di unione e della sua innata tendenza alla "sindacalizzazione" rispetto alle questioni universitarie.

La radicalizzazione era accompagnata da una polarizzazione interna e da una frammentazione. Il Maggio ha contribuito ad accentuare le divergenze strategiche del movimento studentesco, in un contesto di "urgenza" storica. La dinamica unitaria del movimento è stata semplice nella fase di opposizione al SEU. Quando quest'esperienza finì, fu più difficile articolare obiettivi comuni. Si cristallizzò una divisione tra i suoi sostenitori, tra chi scelse di continuare con il movimento studentesco più classico fondato attorno alle SDE e chi invece sosteneva i comitati di azione e forme di lotta diretta. Il secondo era la politica difesa dagli studenti del FLP, il cui organo di espressione, l'Azione universitaria, sarebbe passato significativamente ad essere chiamato Barricada. Erano orientati verso la costruzione di comitati di azione con l'obiettivo di raggruppare tutte le correnti a sinistra del PCE, in una certa analogia di ciò che era stato il Movimento 22 di Mayo francese e la lotta attraverso "azioni esemplari" ("definiamo 'azione esemplare' come capace di scatenare un processo che lo supera", fu pubblicato in Barricada). Per gli studenti di FLP, il Maggio ’68 apparve come "un futuro imminente davanti al quale dovevamo preparare, reindirizzare e rettificare la linea seguita fino a quel momento". Costruire il partito sarebbe diventato il compito urgente, la preoccupazione strategica era accelerare gli eventi per causare uno scenario come quello di maggio, che si è materializzato in una linea necessariamente volontaria e attivista.

La radicalizzazione politica viene accompagnata dalla fine della fase della liberalizzazione, con la brusca svolta repressiva seguita alla dichiarazione dello stato di emergenza nel gennaio 1969, in seguito alle proteste per l'omicidio dello studente di Madrid e membro del FLP per mano di Enrique Ruano, agente di polizia. L'obiettivo politico e le ragioni strategiche per la dichiarazione dello stato di emergenza sono ben riassunti nelle spiegazioni fornite dal ministro degli Interni Manuel Fraga il 25 gennaio sul quotidiano ABC: "È meglio prevenire che curare, attendere un giorno di maggio in modo che poi sarà più difficile e più costosa la repressione”. Da parte sua, il vice presidente del governo, Carrero Blanco, nel suo discorso al Parlamento spagnolo il 7 febbraio 1969, espose in una relazione allo stato di emergenza dichiarato che "l'agitazione studentesca è al giorno d'oggi un problema internazionale, colpisce quasi tutte le nazioni del mondo libero" e denuncia "la follia di pochi caduti nell’ateismo, nella droga e nell’anarchismo, Dio solo sa che una minoranza di studenti ha un corpo avvelenato e forse anche l’anima per tutta la loro esistenza ".

Nel complesso, il movimento studentesco nel suo insieme venne messo fuori combattimento in breve termine grazie alla repressione violenta, senza riuscire più a raggiungere di nuovo il dinamismo del periodo del '65-'68. Ma se nell'immediato lo stato di eccezione riuscì a colpire con la forza, alla fine non ha rappresentato altro che la verifica della perdita di legittimità del regime e della sua incapacità di autoriformarsi. Stava entrando così in un tardo franchismo che, come risultato del processo di Burgos alla fine del 1970, avrebbe subito un forte discredito e un isolamento internazionale.

URGENZA E PAZIENZA

Il periodo successivo al maggio '68 fu, per la sinistra rivoluzionaria, un'impazienza militante guidata da una sensazione di urgenza. Un palcoscenico di un "leninismo leninista", secondo una formula di Régis Débray che riprese Daniel Bensaïd. In una riunione interna della Ligue Communiste, lo stesso Bensaïd riassumeva la sensazione di momento con la frase "la storia ci morde la nuca". Preparati per la prossima volta, sii convinto che ci sarà stata un'altra occasione, è stata la lezione tratta dal maggio '68, da parte di coloro che più si sono identificati con la crisi degli Studenti francesi, FLP. Questo ci ha permesso di superare la sconfitta e continuare sulla strada. Ma, come sottolinea Miguel Romero, "ci è voluto molto tempo per imparare che il maggio ‘68 non era il modello delle future crisi della società capitalista, capendo come costruire un'organizzazione rivoluzionaria in condizioni di stagnazione o regressione della mobilitazione sociale, senza aspettare il grande evento, ma stando dentro le vere lotte e movimenti". Prepararsi per i momenti decisivi e sapere come gestire il transitorio "nessun momento". Aspettare i tempi difficili e non perdere le opportunità. Combinare il senso di urgenza con la pazienza. Lezioni che, mezzo secolo dopo il Maggio, ci permettono di mantenere la testimonianza di una politica rivoluzionaria per il presente.

*Fonte articolo: http://vientosur.info/spip.php?article13931
Traduzione a cura di Giulia Vescia e Dario Di Nepi.