Messico: lo tsunami “obradorista”. Con il sostegno della “mafia al potere”?

Fri, 27/07/2018 - 14:43
di
Manuel Aguilar Mora*

“Alle ultime elezioni [1 luglio 2018] c’è stato un chiaro vincitore, Andrés Manuel López Obrador (AMLO-1953), che ha ottenuto una vittoria netta, convincente e incontestabile”. “Il riconoscimento della sua vittoria da una sicurezza”. Queste sono alcune delle numerose espressioni utilizzate da Enrique Peña Nieto, presidente del Messico (dal 2012 fino a fine novembre 2018). In questo modo, ha sintetizzato ciò che la “mafia al potere” – di cui è il rappresentante più manifesto – pensa nei giorni immediatamente successivi all’incredibile trionfo elettorale di AMLO. Infatti, il primo colloquio che AMLO ha avuto, dopo il 1 luglio, è stato esattamente con Peña Nieto. L’ha incotrato due giorni dopo, da solo e per diverse ore, al Palazzo Nazionale, mentre fuori i giornalisti aspettavano le dichiarazioni al termine della riunione.

Rapporti cordiali tra AMLO, Peña Nieto e la “mafia del potere”

Questo è ciò che le foto delle due personalità hanno offerto al pubblico: seduti o camminando nei corridoi del Palazzo, quasi come se fossero dei vecchi amici, con AMLO che plaudiva il suo compare che a sua volta l’ha lodato e sostenuto senza restrizioni. Davanti ai media, ha descritto la riunione come cordiale e, riferendosi al processo elettorale, si è felicitato con Peña per la sua condotta, in termini che sono stati certamente di suo gusto: “Ho sofferto di questo intervenzionismo frazionario che non corrisponde ai sistemi politici democratici. Adesso, devo ammettere che il Presidente Enrique Peña Nieto ha agito con rispetto e che le elezioni sono state, in generale, libere e giuste”. Una opinione che non può, evidentemente, essere facilmente provata e che Ricardo Anaya, il candidato della coalizione PAN, accusato senza prove dal governo Peña di essere un complice del riciclaggio di denaro sporco, non condivide affatto.

AMLO e Peña Nieto si sono impegnati ad assicurare il miglior coordinamento possibile durante i cinque lunghi mesi di transizione di governo che l’arcaica legge elettorale in vigore stipula tra il giorno dell’elezione presidenziale e l’investitura del candidato vincitore. Come si è detto, Peña si è congratulato con AMLO per il suo trionfo e gli ha offerto tutte le garanzie che il gabinetto dei segretari (ministri) già nominati da AMLO lavorerà insieme al suo per mettere in opera dei piani concordati sull’insediamento dell’amministrazione successiva, tra i quali figura il budget 2019. Ed entrambi hanno anche insistito su ciò che diventa sempre più evidente per essi, e che è fondamentale: inviare un messaggio di serenità più chiaro e forte possibile ai mercati e agli investitori, indicando che i loro interessi sono e saranno preservati. Infatti, la confidenza e la tranquillità del mondo degli affari di fronte al trionfo di López Obrador si sono espressi in un dato: le fluttuazioni della Borsa, come i tassi di cambio del peso con il dollaro, erano già stati integrati dai “mercati” e non hanno subito alcuno shock.

Il giorno dopo, il colloquio successivo si è svolto proprio con gli uomini d’affari del CCE (Consejo Coordinador Empresarial), di cui il presidente Juan Pablo Castañón – accompagnato da altri membri eminenti, come il belligerante di alto profilo Claudio X. González –, i quali si sono espressi nei confronti di AMLO nei termini migliori. Si sono dichiarati pronti a collaborare al meglio con il leader del Movimento Nazionale di Rigenerazione (Morena). “Abbiamo bisogno di un governo forte e solido” ha detto Castañón, con un tono molto diverso da quello utilizzato da egli stesso e dai suoi colleghi quando, prima delle elezioni, criticavano AMLO in una lettera aperta (ampiamente diffusa) che rispondeva alle dichiarazioni di AMLO contro di loro: “In questa maniera, no”, scrivevano, contestando le opinioni critiche di AMLO contro la “mafia del potere”, privilegiata dall’influenza sul governo di Peña Nieto. Quindi, le dichiarazioni apocalittiche che consideravano AMLO come un “pericolo per il Messico”, gli appelli a non votare per lui, sostenuti anche dai magnati tra i più ricchi del paese, Germán Larrea e Alberto Bailléres, sono finite? Alfonso Romo, il prossimo capo di gabinetto presidenziale di Obrador, amico e collega di questi magnati, l’ha detto chiaramente: “tra i rappresentanti del settore privato e AMLO, c’è ora una luna di miele ed essi si amano l’uno con l’altro”. Non fanno quindi più parte della “minoraza rapace”, come veniva definita prima del 1 luglio.
Allo stesso modo, la questione della costruzione del nuovo aeroporto di Città del Messico (NAICM) resta inquadrata nel dialogo con i potenti “sulla viabilità”, e non compare più la critica alla sua costruzione in quanto essa rappresenta un attacco colossale contro l’ambiente, nella regione dell’antico bacino del lago salato di Texcoco.

In corsa verso la poltrona presidenziale sulla quale si siederà il 1 dicembre, sono già state annunciate le prossime tappe: Trump e AMLO hanno già parlato e Mike Pompeo – che è stato direttore della CIA e sotto l’amministrazione Trump è divenuto poi segretario di Stato – visiterà presto il paese e incontrerà Peña e AMLO. Questo 24 luglio, Enrique Penia Neto e AMLO assisteranno insieme a Puerto Vallarta (Stato di Jalisco) alla riunione dell’Alleanza del Pacifico (Chile, Colombia, Perù e Messico); in agosto e settembre, l’attività sarà tutta consacrata alla scrittura delle linee del programma di governo e in ottobre e novembre farà di nuovo visita alle differenti regioni del paese, per presentare i suoi piani di sviluppo integrale.

Nel discorso fatto al Zócalo (Piazza della Costituzione), nella notte del 1 luglio, mentre si celebrava la vittoria di frote ad una folla acclamante, AMLO si è affrettato, approfittando del momento, di annunciare la sua visione del Messico democratico di cui vuole essere a capo e di inviare un messaggio ai capitalisti che sono i padroni del Messico. In tutta franchezza, ha espresso molto chiaramente le libertà che regneranno nel suo governo, in primo luogo la libertà di riunione e di espressione, e dopo ha menzionato, ovviamente, la “libertà d’impresa”. Così che nessuno può essere indotto in errore rispetto a dove si sta dirigendo “el Peje” (soprannome di AMLO).

Gli uomini e le donne tra i più ricchi dei ricchi, quelli che sono raggruppati in seno al Consejo Mexicano de Negocios non hanno tardato a reagire e, quattro giorni dopo la vittoria di Obrador, pretendevano di essere i migliori alleati del nuovo leader nazionale. I media, in particolare le due principali emittenti televisive, Televisa e TV Azteca, hanno utilizzato i loro canali, diffondendo rapidamente video e servizi, per dichiararsi partigiani energici e irrimpiazzabili del presidente eletto. La “mafia del potere” si dichiara essere un movimento “obradorista”.

La politica nelle elezioni

Il trattamento riservato da Peña Nieto nei confronti di AMLO è, dopo tutto, la risposta alla strategia che AMLO ha messo in pratica a partire dalla metà del mandato di sei anni di Peña Nieto. È consistita nell’allertare anticipatamente il presidente del PRI, al fine di avviare una transizione politica “di velluto”, avvertendo anticipatamente la cricca di Los Pinos [la residenza del presidente] che alle elezioni del 1 luglio AMLO sarebbe emerso come vincitore certo. È stato franco e senza giri di parole: ci sarà un’amnistia per Peña Nieto, non dovrà preoccuparsi di dover rendere conto dei suoi numerosi crimini perché AMLO non li perseguirà per vendicarsi. Tuttavia, Peña e il suo gruppo hanno fatto tutto il loro possibile per evitare il trionfo di “Peje”. Fino a qualche giorno prima del 1 luglio, le vocerie su una frode correvano alla stessa velocità dei milioni di pesos che circolavano per la compravendita dei voti. È stato riferito che l’acquisto di voti avrebbe raggiunto i 5mila pesos (circa 250 dollari) o di più. È stato ugualmente riportato dai media che, anche se migliaia di persone hanno accettato, altrettanti milioni hanno rifiutato di vendere il proprio voto alle offerte fatte dai partiti, e il PRI è stato quello che ha investito più soldi in questa compravendita. Ma la tattica impiegata, ancora una volta, soprattutto dal PRI – un partito che ha completamente perduto l’egemonia di cui ha goduto da decenni in seno al sistema – è stata completamente superata dall’esasperazione sociale che ha raggiunto dei livelli senza precedenti, tra l’altro proprio durante il mandato di Peña.

La vittoria schiacciante del 1 luglio (avvenuta in tutti gli Stati della Repubblica, con l’eccezione di Guanajuato, lo stato di Vicente Fox del PAN – Partito di Azione Nazionale, di cui Fox fu presidente dal 2000 al 2006) ha cambiato molte cose. Essa si spiega soprattutto con il malcontento sociale e la resistenza di milioni di messicani e messicane, di cui la schiacciante maggioranza sono lavoratori formali e informali, tutti vittime delle politiche criminali d’austerità, di privatizzazione, di violenza e repressione iniziate da più di tre decenni e che hanno raggiunto l’apice proprio sotto il governo di Peña Nieto.

L’abilità di AMLO è stata nella capacità di comprendere questo e di coprire il ruolo di opposizione leale in seno al sistema, scommettendo tutto, in quanto bravo politicante, sulle elezioni. Il suo obiettivo era, nell’accettare le regole elettorali istituzionali, di prolungare questa “associazione” il più possibile. Tutto ciò per tentare di rendere possibile una nuova frode come quella del 1988 (contro Cuauhtémoc Cárdenas del PRD – Partito della Rivoluzione Democratica) e del 2006 (contro lui stesso). Si sarebbe dovuto situare nella legalità più stringente del sistema e parallelamente ricorrere ai bagni di folla permanente, da cui la critica al suo “populismo” da parte di molti avversari. Per più di dieci anni AMLO ha visitato, più volte, centinaia di comunità del paese. È diventato da lontano l’uomo politico più popolare e più conosciuto del paese.

All’inizio del suo mandato di sei anni, Peña Nieto si era appellato alla formazione di un “Patto per il Messico”, mentre AMLO si era chiaramente opposto. L’obiettivo di questo patto: coprire le politiche di privatizzazione della “terza generazione” con l’ombrello dell’“unità nazionale”. Il “Patto per il Messico” ha unito i tre principali partiti: il PRI (Partito Rivoluzionario Istituzionale), il PAN e il PRD dell’epoca. Il 1 luglio hanno subito la peggiore sconfitta della loro storia. Dal canto suo, AMLO si è consacrato alla fondazione e alla direzione di Morena (Movimento di Rigenerazione Nazionale) che in meno di cinque anni è diventato il partito maggioritario. Secondo l’INE (Istituto Nazionale Elettorale), i voti espressi mostrano che più di 30 milioni di voti (53%) sono andati a favore di AMLO, contro 10,2 milioni per Ricardo Anava (22%) candidato della Coalizione diretta dal PAN e dal PRD, e 9 milioni per José Antonio Meade (15%), candidato della coalizione del PRI.

Questo risultato si traduce in una maggioranza assoluta nelle due camere del Congresso dell’Unione. Ugualmente, dei nove stati che hanno avuto delle elezioni legislative, il PRI non ne ha ottenuto alcuno; cinque sono stati ottnuti da Morena (Veracruz, Morelos, Chiapas, Tabasco et Mexico, bastione tradizionale del PRD), Yucatan e Guanajuato sono tornati al PAN; lo stato di Jalisco è stato vinto dal Movimiento Ciudadano, legato alla coalizione del PAN. Nello stato di Puebla, ci sarà certamente l’intervento del Tribunale elettorale al fine di decidere se ha vinto il PAN o il Morena.

Il collasso del sistema dei partiti tradizionali

Lo sfacelo del PRI, del PAN e del PRD è l’altro fattore politico che ha segnato il 1 luglio. Le conseguenze toccheranno il processo di trasformazione delle relazioni tra le classi e i gruppi sociali. Nel corso dei suoi nove decenni di esistenza, il PRI ha ottenuto il risultato elettorale più negativo di sempre: non ha trionfato che in una sola delle 300 circoscrizioni elettorali. Le cose sono girate male quando si è deciso di candidare un alto funzionario che non era mai stato membro del PRI alla presidenza: José Antonio Meade. Era stato segretario di Stato sotto l’amministrazione di Felipe Calderon (PAN: dal 2006 al 2012) e di Peña Nieto.
La sua frazione parlamentare sarà la terza della Camera. Essa non sarà composta che da deputati proporzionali (i deputati detti plurinominali). L’annuncio della decadenza del PRI era già evidente dopo la sua prima sconfitta nel 2000, ma la restaurazione di governo governata da Peña Nieto aveva iniettato un sentimento di vigore. O, ha portato allo spettacolo incontrollato della corruzione devastante dei suoi governi a Veracruz, Chihuahua, Quintana Roo, Coahuila, Tamaulipas e, ovviamente, tutto sotto la guida dello stesso Peña Nieto. La rifondazione di un partito, compresa la possibilità di cambiamento di nome, sono i problemi che affronta una direzione demoralizzata, ad un passo dal precipizio.

La marginalità politica alla quali il PRI è stato condannato da queste elezioni è un avvenimento di importanza storica. Non è niente di meno che la disfatta del partito che ha dominato per la maggior parte del XX secolo in Messico. L’impero del PRI ha segnato in maniera indelebile la politica messicana. Le conseguenze sono ancora visibili e non scompariranno facilmente. AMLO, ad esempio, ha fatto i suoi primi passi nella politica esattamente nel PRI. Ma il dominio egemonico del PRI non ha raggiunto un livello di restaurazione effettiva con Peña. E le condizioni sociali non sono più quelle che possono permettere l’emersione di un nuovo PRI.

Molti tra coloro che pensano che Morena sia esattamente questo si sbagliano, allo stesso modo di quelli che credono, da 30 anni, che il PRD è stato una versione di “neopriismo”. Il corporativismo sindacale [dispositivo sindacale legato al PRI] e il pluriclassisimo caratteristico del PRI sono scomparsi e non torneranno. Certamente ci sono dei numerosi aspetti dominanti nella pratica politica del PRI che per decenni hanno impegnato differenti settori politici e sociali. Tuttavia, si è concluso lo storico ruolo egemonico del PRI in quanto fattore politico del potere del governo e del controllo sociale, come della dominazione corporativista delle masse popolari, inquadrata da un’ideologia nazionalista direttamente legata ai miti della Rivoluzione messicana.

Questo ruolo era legato, dal principio, con lo stabilirsi della forma di Stato bonapartista che la Rivoluzione messicana ha attribuito al governo all’inizio del XX secolo. Il bonapartismo si è dotato di un partito ufficiale che, nella pratica, costituiva un partito unico di fatto, pressoché totalitario. Una borghesia in crescita, ancora non egemonica, dipendeva fortemente dal sostegno e dalla promozione sociale dello Stato. Le trasformazioni sociali ed economiche degli ultimi quarant’anni hanno completamente modificato questo paesaggio. Ad oggi, una grande e potente borghesia interviene ed influenza direttamente lo stato, e non è interessata a riprodurre i metodi e le pratiche bonapartiste. D’altra parte, alcuni settori delle masse lavoratrici iniziano a politicizzarsi e a non cercare la resurrezione del PRI, ma l’emersione di organizzazioni di classe.

Il PAN – il partito conservatore tradizionale fondato durante gli anni trenta, dopo il boom sotto Lazaro Cardenas [presidente dal 1934 al 1940], con il quale il PRI ha forgiato il sistema del PRIAN con il quale ha dominato nel corso degli ultimi trent’anni – è stato ugualmente danneggiato da queste elezioni. Ricardo Anaya ha diviso il partito per riuscire a portare avanti la sua candidatura presidenziale. Ha fatto uno sforzo politico per allargare gli spazi elettorali tradizionali alla ricerca di un’alleanza con il PRD. Il suo sforzo, che non mancava di orginalità, si è scontrato con due ostacoli che l’hanno completamente bloccato. Prima di tutto, la divisione ha rappresentato la perdita di adesioni e l’allontanamento del gruppo guidato da Margarita Zavala, moglie del vecchio presidente Felipe Calderón. E l’unione con il PRD non è stata di gusto per gran parte dei settori conservatori tradizionali. Inoltre, il governo di Peña Nieto, utilizzando l’ufficio del Procuratore generale in maniera totalmente antidemocratica, ha accusato Anaya di essere complice di imprese fraudolente, suggerendo anche dei legami con il traffico di droga. Queste accuse non sono mai state provate in maniera concludente, ma evidentemente l’obiettivo politico di escludere dalla campagna elettorale il candidato conservatore è stato più che raggiunto. Riocardo Anaya è rimasto al secondo posto e non ha affatto minacciato la posizione del leader AMLO, posizioni che già erano state rivelate dai sondaggi durante i sei mesi di campagna e anche oltre la campagna stessa.

Il PRD, il “partito di sinistra” [lanciato nel 1989 da Cauthémoc Cardenas, figlio di Lazaro Cardenas] che ha avuto i suoi momenti di gloria, rappresenta probabilmente il caso più devastante nel panorama della crisi dei partiti. Con un solo 5% dei voti, ha perso il gioiello della corona, il bastione che aveva mantenuto per più di 20 anni: Città del Messico. Ha occupato un lontano quarto posto, con una rappresentanza rachitica alla Camera dei rappresentanti. La sua alleanza nella coalizione col PAN è stata una sorta di suicidio politico, mostrando che la direzione del partito nella mani di Jésus Ortega e Jésus Zambrano non rispondeva più a dei principi politici ma a dei bisogni strettamente elettorali, senza alcuna giustificazione ideologica o politica. Con tale comportamento, il PRD ha completamente perso la sua identità ed è stato gettato nell’anomia politica, che ne annuncia la definitiva scomparsa non troppo lontana.

L’utopia “obradorista”

La rapidità con cui gli avvenimenti si sono succeduti alla vittoria elettorale di AMLO e del suo partito rappresenta una sfida per l’analisi e dunque per l’orientamento politico. I milioni di elettori ed elettrici che hanno visto in AMLO l’alternativa per superare le condizioni di malessere sociale e di violenza alle quali le politiche dei governanti hanno portato nel corso degli ultimi trent’anni gli offrono una “luna di miele”. Quanto durerà? Questo dipenderà da numerosi fattori. Tuttavia, tenendo in conto il contesto attuale, potremmo ammettere l’ipotesi che non durerà troppo a lungo. Nel corso del mandato di 6 anni – che di fatto comincia oggi – ci saranno dei conflitti che segneranno non un governo di pace e tranquillità, ma un periodo di mobilitazioni e di risveglio delle masse popolari.

L’impero del PRI è durato dal 1920 al 2000. Certo, degli elementi di crisi del PRI hanno cominciato a svilupparsi negli anni ‘50 e soprattutto negli anni ‘60, ma sono stati controllati dai massacri (Tlatelolco – massacro degli studenti, con centinaia di morti, di “scomparsi” e di arresti nell’ottobre del 1968, sotto la presidenza del priista Gustavo Diaz Ordaz!) e dagli sforzi riformisti che disponevano ancora di un certo margine di manovra, come quelli attuati degli anni ‘70 sotto la presidenza di Luis Echeverría (1970-1976) e José López Portillo (1976-1982). Nel corso degli ultimi anni del XX secolo è stata stabilita una prima forma di governo che mirava a rinnovare l’egemonia borghese, estendendola alla partecipazione del partito di destra (PAN) al potere politico governativo. I due mandati di 6 anni di Vincente Fox e Felipe Calderon sono falliti. Poi è arrivata la restaurazione del PRI, ugualmente fallita, di Peña Nieto.

La borghesia ha accettato che AMLO e la coalizione Morena fornissero la carta di riserva, necessaria per la salvaguardia un’egemonia borghese sotto assedio da parte di una situazione socio-economica deteriorata, di cui le conseguenze politiche avrebbero potuto essere minacciose. Tutto indica che essa lo ha fatto in maniera pragmatica, convinta della sua necessità di fronte alla minaccia che lo spettacolo deprimente della crisi dei partiti borghesi tradizioni avrebbe condotto ad una perdita di controllo politico e sociale.

Ma molto diversa è l’interpretazione della corrente potente che ha condotto alla vittoria di AMLO e della situazione apetasi dal 1 luglio. La maggioranza dei ceti popolari è alla ricerca di un’alternativa che mitigherà una situazione le cui condizioni si sono aggravate in modo sempre più intollerabile. La luna di miele con AMLO che offre e si appella alla conciliazione, all’amore e alla pace, in questi primi giorni successivi alla vittoria, si rivelerà totalmente insufficiente per realizzare l’alternativa attesa. In un Messico violento, socialmente diviso e avido di giustizia, è una posizione utopica. I problemi che assillano le lavoratrici e i lavoratori, gli/le oppressi/e in generale, non saranno risolti con il richiamo alla conciliazione con i carnefici e gli oppressori.

Il programma che AMLO ha presentato si può riassumere in due assi: introdurre una politica moralizzatrice, nel solco dell’esempio dato dall’onestà rimarcabile dello stesso AMLO e dei suoi collaboratori stretti, per l’eliminazione della corruzione di governo. Questo implicherà l’investimento di miliardi di pesos che saranno consacrati allo sviluppo del mercato interno e ai finanziamenti di progetti di assistenza sociale: delle borse per giovani studenti e per i milioni di “ninis” (giovani che non studiano né lavorano), un sistema di sanità pubblica universale e un aiuto diretto alle persone anziane. Come e quali saranno i metodi e le procedure di finanziamento di questi programmi? In tutte le interviste e i dibatti AMLO non ha mai risposto con precisione, lasciando cadere nel vuoto gli argomenti legati alla politica fiscale ed accontentandosi di affermare a più riprese che non avrebbe aumentato le tasse, che non ci sarà più indebitamento e, ovviamente, che non effettuerà nessuna riforma sul budget e sulle imposte.

Il secondo asse è legato alla questione che, insieme alla corruzione, è stata un punto all’ordine del giorno della campagna di tutti i candidati, ovvero la violenza, la sicurezza e la realizzazione della pace. AMLO non è andato molto più lontano della proposta di promuovere un’amnistia per tutti coloro che sono capaci di rentegrarsi nella vita sociale e di abbandonare la propria attività criminale. Come? Concentrandosi sulle cause sociali ed economiche che hanno prodotto il contesto favorevole alla delinquenza, in modo che gli obiettivi della criminalità tendano a scomparire? Secondo le sue dichiarazioni, nel corso delle riunioni mattutine con i suoi collaboratori è stato assicurato il proseguio della campagna di pacificazione, nella quale le Forze armate resteranno fondamentali fino a che altri organismi (una guardia nazionale, ad esempio) emergano per rimpiazzarle in futuro.

In tutti gli altri campi, le strategie economiche di AMLO non rappresentano una variante dalla linea neoliberale che domina da più di trent’anni. Già ha smesso di rivendicarsi l’inversione del processo di privatizzazione dell’energia e propone semplicemente di ridurre la dipendenza dalle forniture straniere, ad esempio costruendo delle raffinerie. Infatti, si propone la creazione di “zone franche” alla frontiera nord, come quelle che esistono già in molti paesi dell’America Centrale e nell’America del Sud e che sono un esempio eccellente del sovrasfruttamento della forza lavoro e della creazione di enclavi straniere al corpo sociale del paese nel quale sono stabilite.

Due elementi sono determinanti per definire la sua relazione con le masse popolari che lo vorrebbero e lo considerano come proprio leader. Il primo, l’aeroporto internazionale di Nuovo Messico (NAICM); la seconda, è la riforma dell’educazione. Nel caso del NAICM, ha fatto retromarcia sull’opposizione iniziale alla sua costruzione. Ma le popolazioni che difendono le proprie terre e sono minacciate dalla costruzione dell’aeroporto sono pronte a proseguire la lotta e faranno sicuramente pressione. Questa sarà una questione decisiva, relativamente a breve termine, che definirà la sua posizione nei confronti dei settori popolari. La seconda risiede nella riforma dell’educazione. Migliaia di insegnanti del sindacato ufficiale, come del Coordinamento nazionale dei lavoratori dell’educazione, hanno votato per lui e sperano che egli farà cadere la contro-riforma dell’educazione di Peña Nieto. Ha promesso di farlo e questa questione definirà, ugualmente, la sua attitudine verso i milioni di elettori ed elettrici che lo hanno portato alla vittoria.

In conclusione

AMLO e Morena sono di fronte a una sfida politica colossale. Le contraddizioni risultanti dalla vittoria schiacciante sono enormi. Il leader è il pezzo forte del binomio perché Morena e i suoi alleati sono un blocco composto da correnti ideologicamente e politicamente molto diverse. Ci sono dei vecchi membri importanti del PRI così come del PAN, ci sono dei membri di correnti di origine stalinista e maoista insieme a degli evangelisti e degli estremisti della destra cattolica. Gli uomini potenti come Carlos Slim, Azcarraga (Televisa) e Salinas Pliego (TV Azteca) hanno piazzato delle pedine tra i ranghi di Morena, così come anche dei dirigenti sindacali corrotti e degli anziani dirigenti dello stesso profilo, come Napoleón Gómez Urrutia (che sarà senatore) e Elba Esther Gordillo [ex segretario generale del PRI, leagto al Sindacato nazionale dell’educazione e considerato come una figura della corruzione] risultano tra i suoi sostenitori. E sulle liste plurinominali al Senato si trova Nestora Salgado, una personalità controversa, che promosse la “polizia comunitaria” nello stato di Guerrero.

Questo assembramento politico dovrà essere arbitrato dal capofila. La vittoria schiacciante di AMLO è un fatto decisivo che implica un brusco cambiamento nelle cerchie governamentali, dopo più di cinquant’anni senza alterazioni, ed indica che gli scontri politici propri del Messico sono entrati in una nuova stagione. Perché, allo stesso tempo, milioni di messicani hanno portato ad un colpo terribile per l’establishement più potente del capitalismo latino americano. In una certa maniera, un nuovo capitolo della lotta di classe si è aperto in Messico.

*Fonte articolo: http://alencontre.org/laune/mexique-le-tsunami-obradoriste-et-lappui-de-...
Traduzione a cura di Federica Maiucci.