Quando lo Stato è il primo pilastro del mercato

Mon, 05/02/2018 - 16:28
di
Marco Bertorello*

Tanti in questa campagna elettorale guardano con favore alla Flat Tax e non solo a destra. C’è persino un libro in uscita di Nicola Rossi, ex parlamentare ed economista di rilievo del Centro-sinistra. Il tema richiama una molteplicità di questioni piuttosto irrisolte.

Non solo mette al centro la presunta efficacia di pulsioni del mercato, ma in qualche modo prefigura una cura dimagrante dello Stato. Tra i tanti provvedimenti di supporto a tale ipotesi vi è il richiamo alla spending rewiew, come se quelle già ideate non fossero finite immancabilmente in un nulla di fatto.

Da anni i governi si contendono la medaglietta al petto della riduzione delle tasse (se avviene poi è piuttosto impercettibile, l’Istat per l’ultimo anno ha certificato un misero meno 0,4%), ma nessuno riesce a ridurre il bilancio dello Stato, finendo per dare vita a un aumento del tanto temuto debito pubblico.

Tutto ciò avviene unicamente perché i partiti sono clientelari e corrotti oppure esistono anche ragioni più profonde? Per avere il senso delle proporzioni bisogna focalizzare l’ordine di grandezza di ciò che lo Stato muove in termini economici. In numeri assoluti nel 2016 (ultimo anno di cui disponiamo di dati completi) il Pil italiano è stato pari a 1.672 mila milioni di euro. Sempre nel 2016 il Ministero dell’Economia rende noto che le entrate complessive sono state pari a circa 559 mila milioni, pari al 33% del Pil, e le uscite invece sono state pari a 603 mila milioni, cioè al 36% del Pil.

Quest’ultime tutte improduttive? Molte di queste spese rappresentano una grandezza significativa nei rispettivi comparti. Quelle per il personale ammontano a 112 mila milioni, cioè il 6,7 del Pil (l’azienda di gran lunga con il maggior numero di occupati), quelle per acquisto di beni 96 mila milioni, cioè 5,7% Pil, i trasferimenti ad altri soggetti (prevalentemente famiglie, imprese e interessi passivi) quasi 272 mila milioni, cioè 16% del Pil. Voci che complessivamente sono andate aumentando negli ultimi anni.

Nel solo triennio 2015-2017 sono passate da 595 a 619 mila milioni, con un incremento del 4%. Difficile non leggere in questi numeri un volano per l’intera economia. Solo gli investimenti fissi lordi sono in diminuzione costante da diversi anni. Ciò che interviene in un sistema che mantiene ancora residui di progressività nei prelievi fiscali è un’azione di redistribuzione delle risorse, finendo per travasare, seppur sempre meno, quote di ricchezza dall’alto verso il basso e, in misura ancor più ridotta, dalla rendita all’impresa produttiva.

Parafrasando gli economisti si potrebbe sostenere che lo Stato, possedendo una maggiore propensione alla spesa del privato, costituisce un importante lubrificatore del sistema economico contemporaneo. La Flat Tax finirebbe per inibire tale funzione statuale.

Va aggiunta, inoltre, la crescente efficacia della sfera pubblica sul versante delle politiche monetarie e di sostegno alla finanza.

Il Ministero dell’Economia, nella Relazione sul conto consolidato di cassa delle amministrazioni pubbliche aggiornata al 30 settembre 2017, parla di un fabbisogno superiore al corrispondente dell’anno precedente, ove l’andamento del saldo è «influenzato, tra l’altro, dalle erogazioni di carattere straordinario al settore creditizio relative ai provvedimenti di tutela del risparmio».

Insomma appare chiaro come l’impegno pubblico non possa essere considerato meramente una zavorra che grava sul dispiegarsi delle forze di mercato, quanto, soprattutto in questa fase, uno dei suoi principali puntelli. È proprio ora che il mercato si dimostra non autosufficiente che il sistema economico ha bisogno dello Stato.

Per tali motivi durante le campagne elettorali o gli scontri ideologici assistiamo al paradosso in cui tutti annunciano meno Stato e più mercato, ma poi praticano perlomeno più mercato grazie a più Stato. Un dilemma che non sarà risolto a breve, ma che continuerà ben oltre il 4 marzo.

*Fonte articolo: https://ilmanifesto.it/quando-lo-stato-e-il-primo-pilastro-del-mercato/