Verso il CommuniaFest #1 / Migranti in movimento, e noi insieme a loro

Tue, 20/09/2016 - 11:05
di
Redazione Migranti - Communia Network

Iniziamo la pubblicazione di una serie di contributi che saranno al centro delle discussioni nelle plenarie dell'edizione di quest'anno del CommuniaFest, l'incontro nazionale del Communia Network che si terrà nello spazio liberato Terra Nostra a Casoria dal 23 al 25 settembre. Di seguito la traccia di discussione per la plenaria “Crisi dell'Europa fortezza, accoglienza dal basso e conflittualità meticce" di sabato mattina.
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A) Partiamo da due constatazioni.

1. Dal protagonismo diretto dei e delle migranti che hanno fatto irruzione sulla scena politica europea.
Hanno scompaginato gli ordini del giorno di molti summit, ribaltando le priorità di incontri bilaterali tra le cancellerie europee e tra queste e le istituzioni europee, mettendo a nudo tutte le ipocrisie e contraddizioni insite nei trattati europei su libertà di circolazione, su accoglienza e benessere per chi vive e attraversa l’Europa.

2. Dalla risposta dell’UE alla cosiddetta crisi dei rifugiati, che potremmo sintetizzare in due parole.
La prima sarebbe “caos”, la seconda “vergogna”, in riferimento al sentimento che dovrebbero provare i dirigenti europei, ad esempio, leggendo il comunicato stampa pubblicato da Medici senza frontiere il 22 marzo scorso, dopo l'annuncio della decisione dell’organizzazione di cessare tutte le sue attività relative al principale campo per rifugiati dell’isola di Lesbo in Grecia – dove i migranti hanno vissuto in condizioni estreme e dove sono stati schedati prima di essere deportati altrove.
Un altro elemento rappresentativo della vergogna che dovrebbe provare l'Unione Europea consiste negli accordi bilaterali che questa sta firmando con gli stati confinanti, molti dei quali si rivelano anche dei regimi antidemocratici e altamente repressivi. Si pensi all’accordo UE-Turchia. È bastata una sola notte, quella tra il 18 e il 19 marzo scorsi, per formalizzare vere e proprie deportazioni di massa, quando per mesi i nostri governanti non sono riusciti a concludere nessun accordo per la ricollocazione e l'accoglienza interna tra i paesi membri.

Ogni giorno i migranti e le migranti stanno evidenziando questa vergogna e i giochi di interesse contestualmente collaborativi e concorrenziali tra gli stati e l’Unione Europea basati sulle quote di accesso e sui muri da elevare. La voglia di libertà espressa in molteplici forme e luoghi dai e dalle migranti sono una permanente sfida ai confini interni ed esterni dell’Europa.

Rivendicare un riconoscimento formale appena si arriva in Europa, o successivamente esigere la libertà di circolazione a prescindere da lavoro e reddito. Sono due istanze politiche che dobbiamo assumere come rivendicazioni concrete da parte di chi non accetta di essere espulso, respinto o messo in perenne attesa di una risposta. Il diritto a circolare liberamente esprime anche una presa di posizione in contrasto con l’essere considerati solo dal lato dell’accoglienza (Cara, Cas, hotspot, tendopoli, ecc.), o come semplici vittime da soccorrere con interventi emergenziali e umanitari, in forme caritatevoli e assistenzialistiche, il più delle volte funzionali a sacche di business, allo sfruttamento degli stessi operatori sociali del settore e fuori da qualsiasi percorso di autodeterminazione. Nel rivendicare la regolarizzazione (e quindi i diritti di cittadinanza) i/le migranti mettono in discussione gli stessi dispositivi dell’accoglienza istituzionale funzionali alla trappola dell’irregolarità e all’integrazione nella precarietà: il sistema dello Sprar, dell’avviamento a un lavoro precario o povero tramite tirocini, corsi di formazione fuori da qualsiasi percorso di emancipazione.

Dal lato del riconoscimento giuridico negli ultimi anni la richiesta di accesso alla protezione internazionale sta diventando l’unico modo per entrare in Italia poiché la Bossi-Fini (che lega il rilascio del permesso di soggiorno alla durata del contratto di lavoro) è entrata in contraddizione con le disposizioni del Jobs Act. Per la maggioranza dei migranti ottenere e mantenere un permesso di soggiorno attraverso un contratto di lavoro è ormai impossibile. Si pensi che l’ultimo decreto flussi per lavoro non stagionale risale al gennaio del 2011.
Successivamente sono seguite delle sanatorie, di cui l’ultima nel 2012. E se in Europa le domande di asilo accolte nel 2015 sono state pari al 97%, in Italia su 46.000 domande di protezione internazionale esaminate dalle Commissioni territoriali più della metà sono state respinte. Solo il 5% dei richiedenti ha ottenuto lo status di rifugiato (cinque anni), il 16% la protezione sussidiaria (tre anni), il 23% il permesso umanitario (1/2 anni).

Quindi in Italia gli strumenti normativi che disciplinano l’immigrazione (più importante tra tutti il Testo Unico sull’immigrazione a firma Turco-Napolitano prima e Bossi-Fini poi) dopo aver contribuito ad abbassare il costo del lavoro, creando un esercito di lavoratrici e lavoratori senza diritti e ricattabili attraverso il nesso tra contratto di lavoro e permesso di soggiorno, hanno esaurito parte della loro funzione. Oggi la proliferazione delle forme di status giuridico attraverso i vari istituti della protezione internazionale sta permettendo al governo e ai datori di lavoro, in sintonia con le istituzioni europee, di continuare a gerarchizzare e quindi a frammentare tra di loro i migranti.

B) Tuttavia in Italia i flussi migratori sono oggetto di altre partite che vanno ben oltre l’accoglienza.

A livello politico istituzionale i numeri degli sbarchi e le pressioni ai confini, per il governo italiano, stanno diventando sempre più l’unico strumento per trattare con le istituzioni europee la cosiddetta flessibilità dei vincoli di bilancio imposti dall’UE. Persone che scappano da guerre, oppressioni, catastrofi ambientali, stanno diventando per il governo Renzi la merce di scambio con l’Europa per ammorbidire i vincoli di spesa.

Invece nella giungla del mercato del lavoro l’accoglienza è utilizzata per creare forza-lavoro usa e getta. Come si innerva questa dinamica? Il tempo di risposta e concessione di un documento, a partire dal momento della prima istanza (il più delle volte rigettata), passa dai 30 giorni previsti dalla legge ai 12-15 mesi in media. In questo lasso di tempo, mentre le domande di protezione si disperdono tra Commissioni territoriali e Questure, succede che durante i tempi di attesa si producano sacche di immigrati ricattabili. In più la tipologia di status giuridico concessa è spesso legata alle esigenze temporali-stagionali del mercato del lavoro a basso costo e senza tutele. Entra in gioco così la strategia che riproduce forza lavoro migrante altamente vulnerabile. Anche laddove si fa uso di estremo sfruttamento (nelle campagne, nell’edilizia, ecc.) l’obiettivo è quello di neutralizzare ed ammorbidire le denunce e le lotte tenendo il tutto legato ai tempi della concessione o durata limitata del documento.

Quindi oggi il governo dell’accoglienza, del rilascio del permesso di soggiorno e della mobilità è strettamente connesso ai tempi della crisi economica, riproducendo e consolidando l’istituzionalizzazione della clandestinità del lavoro migrante. Infatti la regolarizzazione non arriva mai o, se arriva, è a tempo determinato, è a scadenza. È in questo contesto che si producono business, assoggettamento e violenza. È in questo stato che accanto ai centri di accoglienza formali nascono alloggi informali e fatiscenti (ghetti), centri di collocamento irregolari (il caporalato) e selvaggi.

Questo contesto è alimentato anche da una rappresentazione emergenziale, vittimizzante e depoliticizzante dei soggetti migranti promossa con sempre maggiore frequenza dai media (anche quelli "di denuncia"). Negli ambienti istituzionali, ad esempio, durante la stesura e la discussione delle proposte di legge o dei protocolli d’intesa non sono quasi mai previsti il coinvolgimento e la consultazione dei diretti interessati. Su questo aspetto le istituzioni dichiarano continuamente di trovare difficoltà nell’incontrare interlocutori e rappresentanti tra la forza lavoro migrante (soprattutto quella stagionale). In realtà l’intento è non riconoscerli come soggettività. Per questo è necessario anche da parte nostra far emergere un’immagine più efficace e politicamente incisiva, partendo innanzitutto dalla dimensione conflittuale e solidale che si è andata sviluppando intorno ad un sistema di segregazione e sfruttamento sempre più inumano, di fronte al quale i migranti e le migranti, in relazione con una serie di associazioni, collettivi e sindacati di base, sono diventati ben visibili e rappresentativi delle loro denunce e istanze.
Nonostante quindi la continua precarizzazione della loro vita, e la criminalizzazione che subiscono, i migranti da anni stanno dimostrando molteplici capacità conflittuali e percorsi rivendicativi che articolano la dimensione lavorativa legandola a quella dello status giuridico e dei diritti di cittadinanza.

C) A questo punto dovremmo porci alcune domande.

Siamo di fronte ad un movimento di migranti? Indagando i percorsi di autorganizzazione, quali caratteristiche sta assumendo questo protagonismo migrante? Osservando le loro forme più o meno organizzate, come intrecciano la dimensione della rivendicazione del permesso di soggiorno con quella della lotta allo sfruttamento e al miglioramento delle condizioni di lavoro? Questioni che riguardano il mondo del lavoro e del non lavoro a livello universale e non solo nella specificità della questione migrante.

Infatti le molteplici vertenze (nello spazio urbano e rurale) legate all’alloggio, alle tutele sul lavoro, al salario diretto ed indiretto sono strettamente connesse all’istanza per il permesso di soggiorno, che solo in questo unico caso riguarda specificamente i migranti. Infatti la questione della residenza (inasprita con il decreto Lupi), del diritto alla casa ed ovviamente dello sfruttamento nei luoghi di lavoro coinvolge migranti e nativi insieme. Quindi si tratta di supportare e favorire i percorsi di autorganizzazione migrante (e non solo) capaci di mettere in crisi quei dispositivi legislativi ed amministrativi che creano divisione, confini e gerarchie territoriali, di cittadinanza e salariali.

A partire dal protagonismo dei migranti e dalle vertenze quali forme di connessione e generalizzazione delle lotte si possono promuovere oggi? Come favoriamo la costruzione di efficaci forme di sciopero e di mobilitazione a carattere generale con un’impronta anticapitalistica e rivoluzionaria, tali da sovvertire i rapporti di un pezzo della società sfruttata e subalterna?

In questo contesto istituzionale e di protagonismo del "soggetto migrante" ci siamo anche noi. Un noi inteso sia come attivisti e attiviste organizzate in collettivi politici e sociali di base, sia come soggetti facenti parte di un pezzo di società precarizzata.

Insieme ai migranti e alle migranti negli ultimi anni si stanno diffondendo molteplici esperienze di accoglienza dal basso e di mutuo soccorso con l'obiettivo non di sostituirsi alle Istituzioni assenti o interessate ad altro, né col rischio di favorire il mondo dell'imprenditoria sociale e del terzo settore, bensì con l'intento di essere strumento di critica e supporto concreto ai migranti nei loro percorsi rivendicativi e vertenziali basati sull'autorganizzazione. Le pratiche assistenzialistiche non sono di nostra competenza, noi vogliamo praticare quello che ci piace definire "mutuo soccorso conflittuale": da una parte far fronte ai bisogni quotidiani (documenti, abitazione dignitosa, trasporto pubblico) che riguardano anche quel noi, dall'altra accumulare forze per ottenere ciò che dovrebbe spettare a tutt*. Per noi si tratta di percorsi conflittuali contestuali alla ricostruzione di embrioni di nuove istituzioni dal basso fondate sull'autogestione, sull'emancipazione e sulla giustizia sociale.
Queste esperienze devono però fare i conti con le difficoltà e l'insufficienza anche del nostro agire e delle nostre pratiche. Come riusciamo a creare ponti tra queste azioni solidali – per non lasciarle isolate – e i percorsi di autorganizzazione e conflittualità dei diretti protagonisti?

Esempi concreti di come creare una dinamica virtuosa si sperimentano quotidianamente. Lo si sta praticando dentro e fuori gli spazi sociali in città e in campagna: con l’esperienza della sartoria Karalò a Roma; insieme alla rete in costruzione e ai nodi territoriali di Fuori Mercato; con la cassa di mutuo soccorso di SfruttaZero attraverso la quale si sono sostenuti momenti di conflittualità, mobilitazioni e scioperi organizzati dai lavoratori delle campagne del foggiano contro lo sfruttamento e per l’ottenimento di documenti e contratti di lavoro regolari; insieme a campagne e vertenze per la riapertura e l’autorecupero a scopo abitativo di immobili pubblici abbandonati, come avvenuto con l’ex fabbrica Granoro di Foggia e Villa Roth a Bari.

Insieme a questo, la sfida è quella di trovare delle parole d'ordine comuni e generali che si leghino, volta per volta, alle rivendicazioni dei migranti, per mettere in discussione le politiche europee sull'immigrazione e l'ascesa delle destre europee e per smontare la narrazione tossica dei media mainstream. Imprescindibile è farsi promotori collettivamente in maniera chiara e diretta di campagne per la libertà di circolazione fuori e dentro i confini europei, per l’istituzione di corridoi umanitari, per il pieno utilizzo delle risorse pubbliche per un'accoglienza che sia veramente dignitosa, per l'abrogazione del trattato di Dublino, per un permesso di soggiorno incondizionato per almeno due anni, contro tutti quei trattati bilaterali tra Unione Europea e stati extraeuropei e contro la discriminazione e categorizzazione tra migranti economici e rifugiati.