Le ex fonderie Bastianelli e il governo della città

Sun, 12/04/2015 - 17:26
di
Communia Roma

Lo scorso 9 aprile il Tar del Lazio ha accolto il ricorso presentato dalla Libera repubblica di San Lorenzo e ha annullato il permesso a costruire rilasciato dall’amministrazione di Roma Capitale alla Sabelli trading, proprietaria delle fonderie Bastianelli occupate il 24 aprile 2013 dal collettivo Communia Roma, sgomberate il 16 agosto 2013 e infine demolite dalla proprietà il maggio 2014. Sono così stati bloccati i lavori di costruzione, sulle macerie delle fonderie, dell’ennesima inutile opera di speculazione edilizia: due palazzine di quattro piani (più due piani interrati) destinati a ospitare mini-appartamenti.
Ribadito il pieno diritto della Libera repubblica di avanzare il ricorso (negato invece dai legali della Sabelli trading), il tribunale ha rilevato l’irregolarità dell’intero iter di rilascio del permesso a costruire; mancavano, tra le altre cose, il parere della Sovrintendenza ai beni culturali sulla demolizione di un edificio di archeologia industriale risalente al 1908 (e non al 1944, come millantavano gli speculatori) e un’accurata analisi sulle ricadute di una simile opera speculativa su un territorio come quello di San Lorenzo, tutelato dalla “Carta della qualità” del Piano regolatore.
In poche parole, e con buona pace dell’amministrazione capitolina che era pronta a giurare sulla completa regolarità del procedimento, le fonderie Bastianelli sarebbero dovute essere ancora in piedi. E con Communia dentro, aggiungiamo noi, che nel frattempo ci siamo stabiliti nelle ex officine Piaggio con l’intenzione di restarci a lungo.

Al di là della magra figura dell’amministrazione comunale, che per mesi ha tediato i comitati e le reti di cittadini di quartiere nel tentativo di dimostrare quanto fosse bello e regolare il progetto della Sabelli, il dato politico che esce da questa sentenza è il fallimento delle politiche neoliberali nel governo dei territori, che delegano al mercato il potere decisionale su questioni vitali come lo sviluppo di una città.
Uno dei cardini di queste politiche è l’abrogazione nel 2001, per mano di Franco Bassanini, del vincolo di scopo per gli oneri di urbanizzazione, ossia quei denari versati agli enti locali dai costruttori che costruiscono un nuovo edificio o ne modificano la destinazione d’uso. Mentre precedentemente questi fondi erano vincolati a opere di risanamento o manutenzione, da allora i comuni ne possono disporre in qualsiasi modo. Nonostante possa apparire un dettaglio tecnico, questo provvedimento ha avuto un grande impatto sui comuni i quali, stretti tra i tagli imposti dall’austerity e dal ricatto del debito, sono sempre più propensi a concedere permessi a costruire agli speculatori per fare cassa con gli oneri di urbanizzazione e cercare di far quadrare i conti.
Ecco spiegato l’entusiasmo con cui l’amministrazione di Roma Capitale, notoriamente indebitata fino al collo, concede permessi a costruire a destra e a manca, ignorando anche le norme procedurali più elementari e causando gravissimi danni al tessuto sociale della città, pur di raccogliere questa elemosina dai costruttori, sempre più ricchi.

Per quanto riguarda noi, che le fonderie Bastianelli fossero un patrimonio del quartiere e della città lo abbiamo detto sin da quando le abbiamo occupate il 24 aprile 2013, in collaborazione con la Libera repubblica e con gli abitanti di via dei Sabelli; e che ciò fosse possibile lo abbiamo dimostrato per più di tre mesi animando quelle mura, adesso distrutte, con eventi culturali, sportelli e spazi di mutuo soccorso.
La sentenza del 9 aprile però non ci serve come occasione per dire che avevamo ragione e per recriminare su cosa sarebbe potuto succedere se questo abuso non fosse stato commesso. Al contrario, la decisione del Tar ci dimostra la necessità quanto mai attuale di mettere apertamente in discussione questa modalità di governo delle città attraverso il debito, che relega al pubblico il ruolo di curatore degli interessi degli speculatori e che alimenta un sistema in cui legalità, quasi legalità e malaffare diventano sempre più indistinguibili.