Evo Morales firma a sostegno della RiMaflow

Wed, 29/10/2014 - 16:12
di
Salvatore Cannavò (da Il Fatto quotidiano)

Il presidente boliviano Evo Morales firma per la Rimaflow, la fabbrica recuperata di Trezzano sul Naviglio che sta lottando per tenere aperta la propria scommessa. La solidarietà è convinta: “In Bolivia stiamo puntando molto sui processi di autogestione e di protagonismo diretto dei lavoratori” spiega il presidente a un emozionato Gigi Malabarba venuto in Vaticano [vedi articolo sotto ndr] a rappresentare le ragioni della fabbrica recuperata. Una sfida per la sopravvivenza di alcune decine di lavoratori - ma prima della chiusura a Trezzano lavoravano in 330 - e una sfida ad affermazioni come quella ribadita ancora ieri da Matteo Renzi: “Vogliamo tenere aperte le fabbriche non occuparle”. Alla Rimaflow, invece, l’unico modo per mantenere il proprio posto di lavoro è stato proprio quello di occuparlo. Un’esperienza avviata nel febbraio 2013 dopo che la vecchia Maflow, componentistica per automobili, chiuse tutto lasciando a casa centinaia di persone.
Rimaflow oggi è all’Incontro dei movimenti popolari insieme alla cascina Mondeggi, anch’essa recuperata, sia pure nel settore agricolo, e al più celebre Leoncavallo. “Al centro ci siamo divisi, spiega Elena Hileg Iannuzzi, ma alla fine abbiamo deciso di accettare l’invito. Stare qui con tutte queste realtà è solo positivo”. Malabarba, già operaio Alfa Romeo, un passato anche da senatore del Prc, oggi dedicato a tempo pieno alla vita della fabbrica occupata la spiega così: “Quando Joao Pedro Stedile (il leader dei Sem Terra, ndr.) ci ha proposto di partecipare all’incontro abbiamo pensato all’esperienza dei Social Forum. Qui abbiamo trovato molti di quelli a cui la nostra iniziativa si è ispirata, come i Sem Terra, e la presenza di realtà come Genuino Clandestino dimostra l’utilità di spazi come questi per chi sta sperimentando processi economici alternativi al capitalismo”.
Il rapporto con Stedile è quello più stretto. Lo storico leader di uno dei movimenti di massa più grandi al mondo, con 10 milioni di aderenti, sarà sabato 1 novembre alla Rimaflow per un dibattito sulla sovranità alimentare. L’iniziativa è organizzata per dare davvero il via alla campagna con cui la fabbrica sta cercando di acquistare un grande impianto per la produzione e distribuzione di aria compressa, “fondamentale per poter alimentare tutte le macchine necessarie e le attrezzature da officina di riuso”. Servono 15 mila euro e il progetto è supportato dalla piattaforma “Produzioni dal basso”.
Nel frattempo la fabbrica è diventata un punto di riferimento per Trezzano - al suo interno c’è una Cittadella dell’Altra economia - ma anche per altri lavoratori. Dopo Rimaflow le fabbriche in via di occupazione, e recupero, sono aumentate. Poche settimana fa è partito il progetto del Birrificio Messina, a Roma le ex officine Oz si battono per lo stesso obiettivo. A Orvieto, gli operai della Electrolysis, dopo aver letto della Rimaflow, vogliono rilevare lo stabilimento in crisi. Alla Rimaflow sono stati girati documentari internazionali, si raduna parte del No Expo milanese e si è costruito un punto di riferimento per la rete Genuino Clandestino che racchiude decine di produzioni artigianali fuori dai circuiti ufficiali. “Per sostenerci abbiamo anche prodotti alimentari come il Ri-moncello e la Ri-passata di pomodoro”. Da ora, però, inizia la sfida industriale. Con quindicimila euro ce la possono fare. Fare da soli è conveniente.

Zapatisti, marxisti, indignados, tutti dal Papa (S. C. da "Il Fatto quotidiano")

Nel tempo in cui la sinistra non sa dire nulla di sé, può capitare di entrare in Vaticano e trovare centinaia di esponenti dei movimenti sociali di tutto il mondo parlare sotto la croce di Cristo citando Marx. Di ascoltare il presidente boliviano, Evo Morales, proporre di “uscir fuori dal capitalismo”. Oppure sentir esaltare “il processo rivoluzionario” della lotta zapatista e il passamontagna sul volto del sub-comandante Marcos. Si possono incontrare campesinos, sindacati, marxisti e anarchici, gli indignados spagnoli e gli Steelworkers statunitensi. Oppure gli italiani del Leoncavallo, la fabbrica “recuperata” Rimaflow, la cascina, anch’essa recuperata, Mondeggi che fa parte della rete Genuino Clandestino. E ancora, nell’introduzione di monsignor Marcelo Sánchez Sorondo, Cancelliere della Pontificia Accademia delle Scienze Sociali, si sente parlare degli Indignados oppure di Occupy Wall Street come ripresa “del movimento di critica al capitalismo”.
L’Incontro mondiale dei movimenti popolari che si conclude oggi presso il Centro Salesianum di Roma, ha avuto ieri il suo momento clou con l’intervento del Papa e quello, distinto, di Morales nel pomeriggio. Un evento originale nato dalla volontà dei movimenti sociali provenienti da tutto il mondo e dalla scelta del papato che, non a caso, ha voluto partecipare in prima persona sia pure per una sessione di quasi due ore. A rappresentare la Santa Sede, comunque, sono stati incaricati il cardinale Peter Kodwo Appiah Turkson, presidente del Pontificio Consiglio della Giustizia e della Pace e monsignor Sorondo.
“Se parlo di terra, casa e lavoro sembra che il Papa sia comunista” ha esordito Francesco nella sua comunicazione di ieri mattina. “Ma terra, casa e lavoro sono parte dell dottrina sociale della Chiesa”. La volontà del Vaticano di offrire una sponda reale a una realtà che fino a ieri guardava solo alla sinistra degli schieramenti politici, è palese. La gran parte dei leader sociali presenti, si pensi al leader dei Sem Terra brasiliani, Joao Pedro Stedile, sono stati i promotori dei Social forum di Porto Alegre, hanno contestato i vertici globali. L’anima sociale dell’incontro, Juan Grabois, è leader dei Cartoneros argentini che, oltre a tenere un rapporto strettissimo con l’allora cardinale di Buenos Aires, Jorge Bergoglio, hanno animato le lotte di quel paese accanto ai piqueteros.
Le immagini nella vecchia, e suggestiva, sala nascosta in fondo alla Città del Vaticano - anche il Papa ha ammesso di non esserci mai stato prima - sono emblematiche. C’è l’abito istituzionale, ma indigeno, di Evo Morales, il cappello degli antenati del messicano filo-zapatista Lopèz Rodriguez. Ci sono i cubani del centro protestante Martin Luther King che perorano la causa dell’autogestione e del recupero di economie passivizzate. Il dibattito è libero. Le critiche alla Chiesa naturali. L’israeliano Michael Warshawski, sostenitore della causa palestinese, chiede a Monsignor Czerny del Pontificio Consiglio della Giustizia e Pace se non pensa che la Chiesa debba scusarsi per il sostegno al colonialismo. Altri, sostengono che l’etica è importante ma non basta, “serve l’azione dei popoli”.
La parola d’ordine scelta dal Vaticano è “camminare insieme”. È quella su cui insiste Francesco nel suo discorso in cui premette che non c’è “nessuna ideologia” in questo evento ma solo la voglia di dare voce a coloro che in genere non vengono ascoltati. Come immagine il Papa indica quella del “poliedro, figura geometrica con molte facce distinte”. Un modo per valorizzare uomini e donne, laici e cristiani, marxisti e non, tutti sono benvenuti. Il messaggio finale ricorda altri slogan: “Sigan con su lucha”, andate avanti con la vostra lotta.
La giornata non mancherà di provocare discussioni interne alla Chiesa. Nel corso dell’incontro il Pontefice si è sentito chiedere la riabilitazione della Teologia della Liberazione e i nomi di Frei Betto e Leonard Boff sono risuonati a voce alta. Oggi si chiude con il documento conclusivo e con la proposta, impegnativa, di costituire un “consiglio del movimento popolare”. “Le varie esperienze possono confluire in modo più coordinato” ha detto lo stesso Francesco. L’ipotesi è quella di un incontro all’anno. “Facciamo un sinodo socialista” aveva proposto qualcuno il primo giorno. La risposta degli organizzatori non è stata scontata: “Non siate troppo clericali, chiamatelo incontro, non sinodo”.