Cerro Libertad e nuovo sindacalismo - #Tappa2

Tue, 12/09/2017 - 10:07
di
Delegazione CommuniaNet

Cerro Libertad: in spagnolo, cocuzzolo della libertà. Una “finca” occupata sull’altopiano di Jaen - zona che fino agli anni 80 era considerata il simbolo della ricchezza e della prosperità dell’agricoltura andalusa - poi progressivamente abbandonata e passata in mano ai costruttori edilizi per trasformarla in una zona residenziale. Con la crisi e la bolla edilizia del 2007, la proprietà passa in mano alle banche (le quali possiedono ad oggi il 40% dei terreni andalusi) e il progetto speculativo riparte. In questa zona, la banca BBVA controlla ben 600 ettari di terre.
Il SOC-SAT occupa allora la “finca” – ridotta ad un rudere – nel 2016, quando il leader del sindacato di Jaen, Andrés Bodalo, viene ingiustamente arrestato dalla Guardia Civil per un’aggressione mai avvenuta. Tutt’ora in carcere, la vicenda dello storico sindacalista è emblema dello stato di polizia e della repressione. L’occupazione di Cerro Libertad è anche un atto di protesta per richiedere la sua liberazione.
La pratica della riappropriazione e dell'autogestione dei terreni di proprietà delle banche è una forma di lotta consolidata del SOC-SAT: ad esempio, i 600 ettari di proprietà della BBVA vengono occupati dal sindacato nel 2013/2014, rivendicandone l’uso comune e collettivo dei lavoratori e delle lavoratrici. Nonostante l'occupazione ebbe grandissimo supporto popolare e molte manifestazioni di sostegno, la polizia ha represso duramente gli occupanti attraverso identificazioni, denunce e multe che complessivamente ammontano a 60.000 euro. Costretto ad abbandonare il terreno, il sindacato però non ha rinunciato a lottare per l'esproprio delle aziende, ottenendo che un’impresa agricola ne prendesse in mano la gestione, rilanciandone così la produzione e creando nuovi posti di lavoro.

Settantacinque ettari (di cui 65 di uliveti e 10 boschivi) strappati alla speculazione edilizia, Cerro Libertad si inserisce nel percorso di lotta e riappropriazione del sindacato. È un luogo partecipato dagli occupanti e dalla popolazione locale: l’obiettivo è formare una cooperativa di lavoratori e lavoratrici senza terra che si impegnino far tornare produttiva la “finca” e i suoi ulivi secolari, lasciati all’abbandono da troppo tempo, reclamando il diritto all’esproprio della terra (previsto dalla costituzione andalusa allo scadere dei 2 anni di occupazione) e all'autoimpiego.
Un’assemblea settimanale è aperta a chiunque abbia voglia di partecipare, mentre di giorno in giorno si organizza il lavoro da fare in base alle forze presenti: curare l’orto, lavorare alla ristrutturazione del casale, portare avanti la potatura degli ulivi, sono solo alcuni esempi. In prospettiva si vuole creare una filiera autonoma, alternativa e biologica: da un lato, costruire un frantoio per trasformare autonomamente le olive in olio, dall'altro diversificare la produzione agricola (che in questo territorio riguarda quasi esclusivamente la produzione di olive – l'Andalusia è il maggior produttore ed esportatore di olio d'oliva europeo) creando un vigneto, piantando legumi e alberi da frutta, nel pieno rispetto dell'ecosostenibilità del territorio.

Ad un centinaio di chilometri, circondata dalla coltre rocciosa della Sierra Nevada, emerge Granada. Nella città andalusa per eccellenza, il SOC-SAT organizza i lavoratori e le lavoratrici del settore dell'hosteleria (alberghiero). Bar, ristoranti e hotel nei rioni dell’Alhambra hanno portato ad una quantità spropositata di lavoratori in nero, sfruttati e con zero diritti. Prima l’agricoltura, il cemento nelle metropoli e poi il boom degli Airbnb e degli ostelli. Soltanto il 4% dell’esercito di riserva (15.000 unità schierate) che sgobba nelle calle del turismo e della movida di Granada ha un contratto, nonostante gli straordinari non pagati, i pochi contributi versati e l’assoluta precarietà in un settore che ad oggi rappresenta il principale vettore economico di crescita. Soldi e denaro soltanto per pochi, mentre schiere di studenti e disoccupati si barcamenano a raggranellare un po’ di soldi. È il ricatto della crisi.
In un quadro sociale dove la disoccupazione giovanile sfiora il 60%, il SOC-SAT costruisce un’azione di lotta tentacolare. “Fino ad ora abbiamo vinto tutte le vertenze. Nel momento in cui dovessimo perderne una, ragioneremo sul da farsi, ma per adesso continuiamo così!” racconta Paco, portavoce del Sindicato Andaluz de Trabajador@s, durante una cena di autofinanziamento dell’organizzazione. Non esiste una contrattazione collettiva o un'associazione di categoria che riesca a tutelare questa porzione di lavoro: ogni stipula è individuale, una stretta di mano nel vortice della disoccupazione. L’azione diretta e la mobilitazione diventano quindi le pratiche di lotta principali: tutti i lavoratori e le lavoratrici convergono su un caso specifico di sfruttamento e, per giorni, il bar, il ristorante o l’albergo in questione vengono picchettati. Denuncia e pressione sul padrone di turno e il concetto del mutualismo conflittuale prende forma, “perché la lotta è di tutti”. Nessuno è solo nelle fila del sindacato, gli sportelli rispondono quotidianamente ai bisogni e alle necessità del lavoratore. Ogni settimana, 60/70 casi di licenziamenti senza giusta causa arrivano negli uffici del Soc-Sat. “È difficile che la vertenza si esaurisca con l'intervento di un giudice – dice ancora Paco – è la lotta che restituisce dignità e giustizia”. Il sindacato non accetta la concertazione e pone ogni tipo di rivendicazione sul piano della vittoria senza se e senza ma: un circolo virtuoso dove l'immaginario – reale, autentico e concreto – si fonde alla fiducia per la costruzione di un'organizzazione molecolare il cui unico obiettivo è creare conflitto e cambiare “lo stato di cose presente”.