Turchia, il trionfo di Erdogan e la resa dei conti

Thu, 03/04/2014 - 18:19
di
Lea Nocera (da napolimonitor.it)

Turchia, notte di domenica 30 marzo. Dopo la chiusura dei seggi per elezioni attesissime e con una partecipazione che supera l’ottanta per cento, Recep Tayyip Erdoğan, capo del governo e leader del partito di giustizia e sviluppo Akp, è uscito sul balcone della sede di Ankara, insieme a tutta la famiglia (compreso il figlio che le intercettazioni inchiodavano in un caso di corruzione) per festeggiare il successo riportato alle elezioni locali. Erdoğan non ha perso occasione per celebrare la “grande vittoria” e le “nozze della Turchia” riferendosi al legame che lega il partito alla popolazione, minacciando i nemici «che saranno perseguiti fino dentro alle loro tane» in nome della giustizia. Ha poi attaccando pubblicamente Fethullah Gülen e i suoi alleati nei media, perché il «gioco delle cassette, delle intercettazioni ha perso». Insomma, se l’immagine del premier e del partito aveva cominciato a vacillare nei mesi precedenti le elezioni, il voto è diventato il mezzo per ritrovare vigore e una nuova carica che destano non poche preoccupazioni: la “seconda guerra di indipendenza” è stata vinta e si dà inizio alla caccia alle streghe.

Prima ancora però di avere via libera e andare a stanare i nemici bisognerà risolvere problemi imminenti. A due giorni dalle elezioni non si fermano le denunce di brogli. Non si tratta soltanto del blackout intervenuto durante lo spoglio in quasi metà delle province turche, dovuto, pare, a un gatto che si è infilato in una centralina e ha manomesso (si immagina senza volerlo) i cavi elettrici, come ha spiegato il ministro turco dell’Energia (e non è un pesce d’aprile, come ha invece scritto la Bbc). Per alcune città, tra cui la capitale Ankara, è stato richiesto formalmente l’annullamento del voto. In altre, come nella città di Yalova, il candidato dell’Akp ha vinto per un unico voto. Intanto fotografie che girano in rete mostrano schede elettorali ritrovate nei cassonetti, altre bruciate, e verbali corretti in cui non reggono nemmeno i calcoli matematici. A Istanbul il candidato del maggiore partito di opposizione ha chiesto la riconta dei voti. Intanto, da lunedì sera nella capitale si è riunita una folla, composta da molti sostenitori del Chp, sotto il Consiglio superiore degli affari elettorari (YSK) per protestare contro i brogli. Nel pomeriggio sono intervenuti gli idranti per disperderli.

Le tensioni sono sfociate anche in violenza: il candidato sindaco di un partito islamico (SP), arrivato secondo in una cittadina in Anatolia, è stato ucciso e tra i sospetti c’è il candidato vincente dell’Akp, mentre un altro candidato vincente del partito BDP è stato ferito con un colpo d’arma da fuoco. Intanto, a vedere i risultati ufficiali, si può constatare che le elezioni si sono chiuse con la vittoria dell’Akp. Un risultato non proprio inatteso ma comunque superiore alle aspettative, persino dello stesso partito di Erdoğan. L’Akp si è attestato su una media nazionale superiore al 44%, conquistando diversi punti rispetto alle ultime elezioni locali del 2009 dove aveva ottenuto il 38,8%. Vero è che questa tornata elettorale amministrativa aveva assunto i toni delle elezioni politiche e, in particolare, era considerato un test sulla figura del premier e sulla tenuta del partito, alla luce, prima, degli eventi di Gezi e, dopo, degli scandali di corruzione che avevano messo in crisi il governo. Si tratta comunque dell’ottava vittoria consecutiva alle elezioni per questo partito e del suo migliore risultato alle locali: un esito che offre motivi al primo ministro per sentirsi pienamente legittimato dall’elettorato, nonostante gli affari sporchi, le intercettazioni, le accuse di autoritarismo sempre più insistenti e serrate.

Istanbul resta nelle mani del sindaco metropolitano Kadir Topbas, noto per tutti i grandi affari che ruotano attorno ai progetti di trasformazione urbana, così come ad Ankara – dove è ancora in discussione l’esito ufficiale – Melih Gökçek si conferma ancora una volta sindaco, poltrona che occupa da dieci anni. In alcuni quartieri di Istanbul si registra la vittoria dell’opposizione, con il Chp, anche con risultati molto netti. A Beşiktaş, per esempio, il quartiere dello stadio e del gruppo ultras diventato famoso durante Gezi.

La popolarità dell’Akp appare tutto sommato incontrastata. In parte è legata alla figura di Erdoğan, che riesce con i suoi discorsi a conquistare il consenso, unendo un certo carisma a parole chiave che affondano nel nazionalismo e nel populismo, ricordando di continuo che con l’Akp il paese è giunto a un livello di stabilità e di successo economico senza precedenti. Se quest’ultimo dato per certi versi è reale, per quanto vada verificata la solidità a lungo termine delle premesse economiche, non ci sono tuttavia grossi ripercussioni sulle condizioni generali di benessere della popolazione, anche a causa di una mancata redistribuzione della ricchezza. Eppure, dal punto di vista delle aspettative dei cittadini, si tratta di dati confortanti, oltre ad apparire come la prova di un riscatto sociale per una parte di popolazione che da Erdoğan e dal suo partito si sente rappresentata.

L’opposizione non riesce ancora a costruire un’alternativa valida. Il Chp ha grosse difficoltà a proporsi come una formazione in grado di rappresentare le masse. Il suo passato, fortemente legato alla tradizione kemalista ma anche al potere militare, lascia scettica una larga parte dell’elettorato. Anche se in questa tornata si è mostrato in risalita (con il 28,6% rispetto al 23,08% del 2009), un grosso limite del partito è quello di non riuscire a parlare alle masse. Il Chp, più che un’alternativa politica, viene percepito come una formazione delle elite delle classi medio-alte urbane, in cui si riversano spesso i malumori generali. Una parte dei voti a esso destinati, del resto, non sono stati che il frutto del cosiddetto voto utile, che una parte dell’elettorato ha preferito non far disperdere nelle numerose altre formazioni di opposizione.

Diverso il discorso per il Bdp, partito da sempre filo-curdo, che si fa portatore delle istanze della società civile, della rivendicazione dei diritti civili delle minoranze, e più in generale di una riformulazione del lessico politico. Il Bdp, che sembra aver confermato la media nazionale del 2009, riesce a riportare la vittoria in undici province su ottantuno, conquistando alcune città prima in mano all’Akp. Una vittoria che si sostanzia nelle regioni a maggioranza curda: un elemento che da un lato mostra il limite del partito, che non riesce a smarcarsi dal forte carattere identitario, dall’altro prova il fallimento della politica di apertura nei confronti dei curdi, da parte di Erdoğan. L’Hdp, corrispettivo del Bdp a Istanbul, o in altre grandi città come Ankara e Izmir, non è riuscito a ottenere grosse percentuali di voti, nonostante fosse molto legato a figure e a discorsi che hanno avuto un ruolo importante nelle proteste di Gezi. Sin da subito, tuttavia, è stato chiaro che a Gezi non si volessero né ci fossero diretti legami con i partiti, né tantomeno ci si poteva attendere un’immediata traduzione delle proteste nella compagine politica. L’attivismo, le rivendicazioni democratiche e per una pratica politica diversa sono emersi comunque anche nelle elezioni, attraverso l’impegno profuso in una continua vigilanza, e poi a favore di analisi alternative dei risultati elettorali, e ancora negli interrogativi aperti sulle modalità per costruire un’opposizione forte.

Il grande perdente di queste elezioni è, infine, Fethullah Gülen. Non sembra, infatti, che i numerosi tentativi di screditare l’Akp dall’interno, partiti da quello che è stato a suo tempo un importante sostenitore di Erdoğan, siano riusciti nel loro intento. Occorre, forse, chiedersi quanto il suo movimento si sia radicato in modo chiaro nel territorio e verso quali forze possa davvero orientare l’elettorato che finora ha sostenuto Erdoğan.

Alcune note positive sembrano comunque emergere. Ci saranno tre donne sindaco di aree metropolitane: di queste una è dell’Akp, e si tratta di Fatma Şahin, ex ministro della Famiglia; le altre appartengono al partito filocurdo BDP, che si è impegnato nell’inserimento regolare di candidate nelle sue liste. Saranno sindaco una giovane donna di ventisette anni e un’altra nota per essere stata una “sposa bambina”. Molte altre le donne nelle regioni curde ad avere ottenuto la poltrona di sindaco per municipalità più piccole. È questo, senza dubbio, un segnale di cambiamento che cerca di dare il Bdp. Infine, quattro candidati che hanno vinto, avevano firmato prima delle elezioni un protocollo presentato dalle associazioni LGBT dichiarando l’impegno a occuparsi delle questioni LGBT una volta in carica.

Queste elezioni locali non sono però che le prime di una serie di appuntamenti elettorali. Ad agosto ci saranno le presidenziali, alle quali Erdoğan, dopo l’esito di domenica scorsa, si presenterà con maggiore convinzione. Poi le politiche nel 2015 (ma già si parla di una possibile anticipazione a novembre) in cui ancora maggiore sarà la posta in gioco. (lea nocera – twitter: @lea_nocera)