Sei cose da ricordare delle ultime elezioni in Turchia

Mon, 02/07/2018 - 15:39
di
Güney Işıkara, Alp Kayserilioğlu, Max Zirngast*

Le elezioni in Turchia di domenica scorsa – sia parlamentari che presidenziali – si sono concluse in quello che sembra essere un clamoroso trionfo del sempre più dispotico leader, il Presidente Recep Tayyip Erdoğan. Mentre, ad un certo punto, sembrava che l’opposizione avesse realmente una chance, alla fine i risultati sono stati molto chiari. Erdoğan ha vinto le elezioni presidenziali al primo turno e l’Alleanza Popolare, la coalizione elettorale tra il Partito per la Giustizia e lo Sviluppo (AKP) di Erdoğan e il partito fascista Movimento Nazionale (MHP), ha conquistato la maggioranza di seggi in parlamento.

Secondo i risultati preliminari, Erdoğan ha vinto la corsa presidenziale con il 52,6 per cento dei voti, mentre il suo principale rivale, Muharrem İnce, il candidato del partito centrista Alleanza Popolare Repubblicana (CHP) è stato in grado di raggiungere il 30,6 per cento. Nelle elezioni parlamentari l’Alleanza Popolare ha raggiunto il 53,7 per cento, mentre l’Alleanza della Nazionale (che comprende il CHP, il partito nazionalista Buon Partito e quello religioso-conservatore Felicity Party) ha strappato un 33,9 per cento. L’Alleanza Popolare avrà quindi 344 seggi su 600 totali, una maggioranza assoluta, mentre l’Alleanza della Nazione avrà solo 189 seggi. Il Partito Democratico Popolare (HDP), un partito di sinistra non allineato e pro curdo, ha vinto l’11,6 per cento dei voti e 67 seggi in parlamento.

Questi sono i numeri a crudo. Ma cosa significa tutto questo? Dobbiamo prendere in considerazione sei fattori da queste elezioni.

1. Le elezioni erano illegittime.

Tutti i partiti e i candidati presidenziali hanno rapidamente accettato i risultati. Mentre il candidato alla presidenza e il portavoce del CHP hanno inveito contro i primi tabulati poiché estremamente inaccurati, dopo poche ore hanno fatto completamente marcia indietro. Akşener, il candidato del Buon Partito, non ha rilasciato alcuna dichiarazione. Possiamo quindi immaginare che ci fosse un accordo dietro le quinte, o in ogni caso che chiunque, semplicemente, ha visto i risultati elettorali come più o meno validi.

In ogni caso, si sono verificate numerose irregolarità durante la giornata elettorale. Nel sud est, nella provincia curda di Urfa, per esempio, gli osservatori dei partiti all’opposizione sono stati mandati via con la forza dai seggi, e molte persone sono state colte nell’atto di comprare migliaia di voti. Nella stessa provincia, 4 persone sono state uccise dieci giorni prima delle elezioni, quando un candidato dell’AKP e la sua guardia del corpo hanno attaccato con le armi dei commercianti sostenitori dell’HDP. La maggior parte delle irregolarità commesse durante le elezioni si sono concentrate nelle province curde, dove c’erano pochi osservatori internazionali e molti osservatori locali sono stati espulsi a forza dai seggi.

La Turchia è ancora sotto lo stato di emergenza che Erdoğan impose in seguito al colpo di stato (fallito) del luglio 2016. Sotto il pretesto di combattere i sostenitori del colpo, Erdoğan e il suo AKP – alleato al fascista MHP – si sono impegnati in una vera e propria guerra contro le voci dell’opposizione, imprigionando decine di migliaia di politici e attivisti, prendendo gradualmente il controllo del sistema giudiziario e stabilendo un controllo pressoché totale su quasi tutti i media centralizzati. I partiti dell’opposizione e i candidati presidenziali – dalla destra fino alla sinistra con l’HDP e il suo ex premier e candidato ora in carcere, Selahattin Demirtaş – non hanno ricevuto alcuna copertura mediatica per la campagna elettorale.

Ciò che è chiaro – e ancor più importante di qualsiasi irregolarità individuale – è l’illegittimità complessiva delle elezioni stesse. Si sono tenute in pieno stato di emergenza, provocando azioni repressive di massa contro l’opposizione (in particolare quella socialista e quella curda), e si è assistito all’utilizzo di ogni mezzo necessario per assicurare il trionfo elettorale del blocco guidato da Erdoğan.

2. Il partito fascista MHP ha assunto un ruolo centrale.

Se c’è senza dubbio un vincitore, è il blocco nazionalista turco-sunnita, consistente nell’AKP, l’MHP e il Buon Partito. Sebbene quest’ultimo si posizioni nel clima attuale come una forza d’opposizione, non si distingue sostanzialmente dagli altri due in termini di progetto e visione politica. La divisione dei voti di questo blocco raggiunge quasi il 64 per cento. Tale successo va compreso nel contesto di una permanente mobilitazione ultra-nazionalistica nella sfera pubblica, insieme alla narrazione di guerra contro il terrorismo in generale e la guerra sostenuta contro i curdi in particolare.

Vale la pena di guardare i numeri per l’AKP e l’MHP nel dettaglio. Mentre Erdoğan sembra essere il vincitore delle elezioni di domenica, e certamente è stato dipinto come tale, non è davvero così inequivocabile. Erdoğan stesso sa che il suo partito ha incassato duri colpi, e non sembra essere molto felice per i risultati. L’AKP ha preso circa due milioni di voti in meno rispetto alle elezioni del novembre 2015 – una perdita del 7 per cento. Ha fallito anche nel conquistare i 301 seggi necessari per assicurarsi la maggioranza parlamentare. È solo grazie all’aiuto dell’MHP che Erdoğan è stato in grado di raggiungere la maggioranza.

Ciò significa, a sua volta, che la presa dell’MHP si è rafforzata. Il partito ha avuto un risultato sorprendentemente forte nelle elezioni. Nonostante la divisione a metà e il fatto che l’altra fazione (il Buon Partito) abbia ottenuto il 10 per cento dei voti, l’MHP è stato in grado di mantenere la sua quota attorno all’11 per cento. E lo ha fatto praticamente senza campagna pubblica verso le elezioni – il leader dell’MHP Devlet Bahçeli ha tenuto in totale due o tre comizi in pubblico, in confronto ai 107 di İnce. l’MHP è stato in grado di conquistare un incremento di voti estremamente significativo, soprattutto nelle regioni a maggioranza curda, anche se ha perso voti in molte delle rispettive roccaforti (quali le città del sud, come ad esempio Osmaniye, Adana, and Mersin). Se si è verificata una grande frode, ha favorito il MHP nelle regioni curde.

L’MHP è ben consapevole della propria posizione. Bahçeli ha dichiarato dopo le elezioni che il suo partito è diventato “un partito chiave in parlamento”. l’MHP sarà in grado di imporsi in maniera sempre più sicura e risoluta, specialmente rispetto alla questione curda. È verosimile che l’alleanza AKP-MHP avrà seguito nei prossimi mesi e sarà sempre più apertamente fascista.

3. Il CHP si sta spaccando.

Il CHP e il suo candidato alla presidenza Muharrem İnce erano abbastanza sicuri di riuscire almeno a spingere le elezioni ad un secondo turno. İnce ha condotto una campagna vivace, promettendo la restaurazione del paese e mobilitando milioni di persone demoralizzate.

I risultati, in ogni caso, suggeriscono la nascita di una nuova crisi all’interno del partito. Il CHP ha raggiunto 3 punti percentuali di stacco rispetto alle elezioni del novembre 2015 – una fine molto deludente per i suoi sostenitori. İnce – che ha portato il suo partito a guadagnare 8 punti percentuali ed è divenuto il primo candidato dal 1977 a ricevere oltre il 30 per cento dei voti – implicitamente, questa settimana, spingerà per prendere in mano il partito o, in alternativa, per stabilire una nuova formazione e prepararsi immediatamente per le prossime elezioni. Il leader del partito in carica, Kemal Kılıçdaroğlu, ha risposto non congratulandosi con Erdoğan, cosa che İnce ha fatto, ma parlando aggressivamente dell’arrivismo all’interno del partito. (Il fatto che Kılıçdaroğlu è stato il capo del partito per 9 tornate elettorali, tutte tra l’altro concluse in maniera deludente per il partito, e che ancora rifiuta di dimettersi, continuando a borbottare contro le persone aggrappate ai loro post e al carrierismo, appare piuttosto strano.)

Dall’altro lato, İnce ha annunciato che viaggerà per tutto il paese, partecipando a incontri in 81 province per ringraziare i suoi sostenitori. Non serve dirlo, questo è il modo di agire di un leader di partito. Una crisi – tale da poter far spaccare il partito – sembra imminente.

4. L’HDP ha sfidato le sue possibilità.

Un altro vincitore delle elezioni è stato l’HDP. Nonostante la repressione, nonostante l’esilio e l’imprigionamento di così tanti quadri politici (di nuovo, incluso lo stesso candidato alla presidenza), nonostante le violenze e le minacce durante il giorno delle elezioni (in particolare nelle provincie curde), l’HDP, ancora un volta, si è consolidato ed è entrato in parlamento, superando la soglia (altamente anti-democratica) del 10 per cento. Questo è un altro segnale chiaro che un forte partito pro-curdo è divenuto un’innegabile realtà nello spettro politico turco.

Inoltre, nonostante alcune tendenze di liberalizzazione, l’HDP ha desiderato di incorporare altre organizzazioni socialiste e rappresentative delle forze popolari. Socialisti apertamente rivoluzionari come Erkan Baş del Partito dei Lavoratori Turco (TİP), Oya Ersoy dell’Halkevleri (Casa del Popolo), Musa Piroğlu del Partito Rivoluzionario (DP), e Murat Çepni del Partito Socialista degli Oppressi (ESP) saranno tutti in parlamento, tuonando costantemente contro la dittatura e il capitale. l’HDP è l’unico partito in parlamento, e per questo il solo partito maggiore nella politica turca, che si schiera apertamente contro l’alleanza patriarcale turco-sunnita (e nazionalista e islamista).

Resta da vedere che cosa succederà all’interno del CHP, ma l’HDP necessita di prendere iniziativa e di aiutare a rafforzare i movimenti popolari. Il movimento di liberazione curda in particolare è uno dei più importanti assi di resistenza allo status quo.

5. La vista dal basso non è così male.

Lo stato turco dispotico affonda le sue radici nell’Impero Ottomano e nella formazione della classe capitalista turca. Mentre questo rapporto di forze ha subito grandi trasformazioni e si è ora stabilizzato temporaneamente attorno all’AKP e al MHP, le dinamiche prodotte dal basso in opposizione allo stato, con poca o nesuna aspettativa nei suoi confronti, sono state un fattore costante nelle recenti dinamiche politiche turche, in particolare dopo la rivolta di Gezi del 2013.

Le forze scatenate da quella rivolta e dall’esperienza del Rojava (il cantone curdo autonomo nel nord della Siria) ancora spaventano l’AKP e Erdoğan, ben più delle rivalità interne allo stato o dei colpi di stato. Donne, aleviti, curdi, lavoratori e molti altri non hanno speranze per questo regime, e molti tra questi sono pronti a rompere con lo stato in quanto tale.

Per i movimenti popolari, i risultati elettorali, nonostante in qualche modo siano stati motivo di demoralizzazione, non hanno causato un completo disappunto. Mentre molti avrebbero adorato vedere, finalmente, la dipartita di Erdoğan, le relazioni sociali di potere rimangono largamente intatte – bisogna ammettere, con un po’ di potere guadagnato per Erdoğan e per il blocco AKP/MHP – e la campagna elettorale positiva, basata sulla solidarietà in tutti i campi popolari, dovrebbe fornire qualche speranza per il futuro.

6. Erdoğan non ha ancora vinto.

Le elezioni di domenica indicano che, nonostante tutto, il sistema politico e sociale in Turchia è ancora in una relativa impasse. L’equilibrio di poteri si è spostato leggermente a favore del blocco Erdoğan-AKP/MHP, con le elezioni che hanno rafforzato un sistema presidenziale dittatoriale già esistente. Eppure non è stata una vittoria decisiva. Un grosso pezzo del paese è ancora contro il blocco dominante, così come lo è stato dal 2013.

Dall’altro lato, la crescita di İnce del CHP e del Buon Partito di Akşener – che ha da poco dichiarato che non stanno “giocando ai giochi dei bambini” e che accettano l’HDP come “rappresentativo del movimento politico curdo” - suggeriscono chiaramente che le visioni divergenti interne allo stato e i circoli d’élite si stanno manifestando come frazioni con rappresentanza politica. Anche se il blocco Erdoğan-AKP/MHP resta quello dominante, non è come se Erdoğan stesse controllando tutto, o come se tutti si inchinassero al suo cospetto.

Dovremmo aspettarci una lotta per il potere imminente, interna al blocco Erdoğan-AKP/MHP, visto che l’MHP se la passa molto meglio di quanto ci si aspettasse (o meglio, se non ci fosse stato un accordo sulla frode sistematica a favore dell’MHP). Questa lotta per il potere potrebbe seriamente minacciare la forza dell’AKP se dovesse colpire nel bel mezzo di una crisi. E c’è davvero una crisi economica che aspetta alla porta.

La profondità e la gestione di questa crisi, la posizione dell’opposizione e, soprattutto, l’attività delle masse nelle strade, determineranno se Erdoğan sarà in grado si istituzionalizzare il suo dominio autoritario – o se continueranno a formarsi crepe e incrinature nel sistema esistente.

*Fonte articolo: https://jacobinmag.com/2018/06/turkey-elections-erdogan-akp-mhp-chp
Traduzione a cura di Federica Maiucci.