Obama fondatore dell'Isis?

Mon, 22/08/2016 - 18:19
di
Ken Silverstein

Storia alternativa dell'ISIS: no, Obama non ha “creato” il gruppo terrorista ma lo ha fatto crescere grazie alle sue politiche. Un lungo articolo/reportage del giornalista statunitense Ken Silverstein ripercorre i momenti della nascita e della crescita di daesh in Iraq

Con gli Stati uniti concentrati sulle elezioni presidenziali più minacciosamente comiche della storia moderna, un ben più spaventoso spettacolo continua a svolgersi in Iraq, paese che ormai è in un processo di ininterrotto collasso verosimilmente irreversibile. L'imminente fine dell'Iraq è evidente ma è stata qui [negli USA, NdT] oscurata dal declinante interesse dei media; inoltre i periodici attacchi dei droni e le operazioni speciali di assalto contro l'ISIS tengono in piedi la finzione di un esercito americano che sta aiutando a mantenere il paese unito e in salute.

Su scala più grande l'amministrazione Obama – la cui politica in Iraq è quella di impedire la disintegrazione del paese prima di novembre per prevenire danni alle aspirazioni presidenziali di Hillary Clinton – sta facendo pressione sull'esercito iracheno per ricatturare Mosul, la seconda città più grande del paese. Ciò rappresenterebbe un successo per la propaganda di breve periodo ma, come la storia insegna, creerebbe un enorme disastro umanitario. Alla fine dello scorso anno l'esercito iracheno ha ricatturato Ramadi – una città molto più piccola di Mosul e dove l'ISIS è meno radicato. L'assalto ha dato inizio ad una massiccia fuga di rifugiati sunniti, che si sono riversati in campi improvvisati nelle aree curde e ha portato alla distruzione del principale ospedale della città, della stazione ferroviaria, della rete elettrica e di migliaia di edifici.

La maggior parte dei danni sono stati provocati dall'esercito iracheno addestrato dagli americani, che ora è essenzialmente una forza sciita composta da truppe regolari integrate con paramilitari. Un ex ufficiale superiore della CIA che ancora va regolarmente in Iraq mi ha recentemente detto che tre brigate da poco addestrate e armate dagli Stati uniti sono state silenziosamente incorporate nelle milizie sciite. “Ufficialmente non è previsto per noi lavorare con questi tipi, ma... le milizie sciite sono sulla lista delle unità militari disponibili di uno dei nuovi centri operazioni congiunti del Pentagono”, ha affermato. “Noi le stiamo addestrando e dando loro uniformi, e poi si mettono le fasce delle loro milizie e vanno in guerra.”
Il problema è che l'esercito iracheno sta lanciando attacchi sui civili sunniti, dopo averne catturato i territori, con molta più ferocia che contro l'ISIS. Recentemente ho ricevuto fotografie di guerriglieri sciiti in posa accanto alle loro vittime: una mostrava il corpo martoriato di un civile sunnita lanciato da un tetto con una corda stretta intorno al suo collo e un'altra intorno ad un piede – un metodo ormai comune di esecuzione.

Nel frattempo c'è ancora da occuparsi della questione dell'ISIS. Controlla ancora una notevole porzione di Iraq e Siria ed è diventato una vera minaccia globale dato che migliaia dei suoi migliori guerriglieri si sono ritirati per aiutare la causa in Libia e Nord Africa e ha periodicamente lanciato attacchi terroristici a livello globale. L'idea che gli Stati uniti e l'esercito iracheno siano sulla strada di “umiliare e infine distruggere” ISIS, come ama affermare il presidente Obama, è qualcosa preso sul serio soltanto dai membri creduloni della classe di pettegoli di Washington.

Uno dei più idioti momenti mediatici della campagna presidenziale è stato quando recentemente Donald Trump ha affermato che Obama è il “fondatore” dell'ISIS. E' fuori discussione che questa possibilità sia stata una messinscena da parte di Trump – e chiaramente lui e i suoi surrogati sono sufficientemente stupidi per crederci o cinici abbastanza per usarla come una argomentazione per i propri scopi politici – ma tutto il furore dei media che circonda i suoi commenti oscura una questione seria: come e perché ISIS sia cresciuto così rapidamente.
Ancora fino ad oggi, pochi nell'establishment della politica estera comprendono le origini del gruppo. “Nessuno tra i nostri analisti, soldati, diplomatici, politici o giornalisti ha finora prodotto una spiegazione sufficientemente articolata – anche col senno di poi – che predicesse l'ascesa del movimento” si legge in un articolo della “New York Review of Books” dell'anno scorso.

Ho viaggiato ampiamente l'anno scorso in Iraq, Libano e Giordania, per parlare con politici, capi tribali, sceicchi, ufficiali militari e dell'intelligence. L'opinione diffusa è che l'indulgenza senza fine del governo USA nei confronti delle politiche del corrotto e brutale regime sciita abbia permesso all'ISIS di prosperare.
A tal proposito è importante notare, e un sacco di resoconti dei media non lo fanno, che l'ISIS prende origine da Al Qaeda in Iraq, a sua volta emerso nei primi anni del periodo post-invasione, ma le due organizzazioni non sono la stessa cosa. ISIS, che è molto meno contenuto nel suo uso della violenza, fino a qualche anno fa non esisteva nemmeno in modo percepibile. La disastrosa invasione dell'amministrazione di George W. Bush del 2003 progettata dai neocon aprì la strada al collasso del paese nell'anarchia, ma l'ISIS è fondamentalmente un fenomeno post-Obama e quindi l'idea che la sua amministrazione abbia qualche responsabilità per la sua ascesa – che è ciò che Trump potrebbe aver voluto intendere con il suo modo unico e rozzo – non è così folle come può sembrare.

E l'amministrazione Obama ha contribuito in particolare all'ascesa di ISIS quando ha permesso che il regime del primo ministro Nouri Al-Maliki lungo otto anni commettesse estese violazioni dei diritti umani contro i sunniti, un atto che ha fomentato il loro odio per il regime di Baghdad. Oltre ciò, se le risorse finanziarie e militari americane, che sono state spedite al governo iracheno in quantità massive per molti anni, fossero state usate come richiesto, l'ISIS oggi non esisterebbe come lo conosciamo e i curdi e i sunniti – i secondi meno esplicitamente ma in numero crescente - potrebbero non essere così interessati a liberarsi dal controllo di Baghdad.
“Il governo ha affamato le province sunnite e brutalizzato la popolazione, perciò si è arrivati ad avere l'ISIS nel paese” mi ha detto un ex ufficiale superiore di intelligence iracheno. “La gente aveva due possibilità: lasciare Maliki da solo e vederlo prendere il controllo del paese per conto dell'Iran o lasciare agire l'ISIS. Questo era il minore dei due mali.”

Nussaibah Younis, esperto di Medio Oriente dell'Atlantic Council che recentemente ha guidato una delegazione di 23 membri in Iraq, ha affermato che c'è un diffuso malcontento nei confronti dell'élite politica ed economica che va oltre le linee di divisione etnica. “Il governo sta spendendo in salari il doppio di ciò che ricava con l'estrazione di petrolio” ha affermato. “L'economia è diventata una minaccia esistenziale, ma la classe politica non ha legittimità a causa della massiccia corruzione e non può fare scelte difficili senza essere rovesciata.” (Ho scritto un articolo per il numero di settembre di The New Republic che esamina la questione correlata di come la corruzione abbia giocato un ruolo così centrale nell'alimentare le fiamme dell'ISIS)
Younis ha affermato che ciò che rende la situazione ancor più grave è che gli appartenenti alla nuova classe dirigente sono visti come stranieri dai loro stessi connazionali perché praticamente tutti ritornati da un lungo esilio dopo l'invasione grazie al sostegno degli Stati uniti. “Loro non hanno vissuto nel paese durante le sofferenze del regime di Saddam e poi sono tornati indietro per succhiare via soldi e mandarli all'estero per supportare i loro stravaganti modi di vivere. La maggior parte di loro ha mandato le proprie famiglie oltremare a Parigi, Londra e Amman. I loro bambini frequentano scuole private mentre gli iracheni mandano i loro figli in scuole con 60 alunni per classe” mi ha detto “loro non credono nel loro paese e non se ne curano abbastanza per portarci i loro cari. E' un doppio influsso negativo.”

Prima della quasi riuscita cattura di Erbil da parte dell'ISIS, nella città vi era un viavai di uomini di affari stranieri e turisti da tutto il Medio Oriente e l'Asia. Ma la gran parte era già sparita quando sono andato la scorsa estate. Le località turistiche come la famosa cittadella – che risale al V millennio A.C. e si dice sia la città abitata con continuità più antica del mondo – erano praticamente vuote.
La città era in uno stato disastroso. Bambini allineati lungo le strade principali che vendevano zucchero filato, palloncini e giocattoli economici. La popolazione del quartiere cristiano della città era raddoppiata arrivando a circa 120mila persone, rifugiati interni provenienti dai territori catturati da ISIS. Amici mi hanno portato in un giardino ristorante un tempo popolare e non c'era quasi nessuno. Abbiamo bevuto una birra e guardato video patriottici curdi proiettati sul muro: mostravano guerriglieri peshmerga dall'aspetto estremamente coraggioso che si preparavano ad andare in guerra, con le loro belle mogli che promettevano di aspettarli tornare. Dall'altra parte della strada rispetto al ristorante vi era una costruzione bombardata occupata da rifugiati.

La sicurezza era ovunque rigida in Erbil, ma era particolarmente pesante al Divan, un hotel di lusso a cinque stelle, dove ExxonMobil e Chevron avevano affittato interi piani per i loro manager petroliferi. Guardie con mitragliatori presidiavano barricate di fronte all'hotel, un centinaio di metri dall'entrata, e perquisivano con attenzione ogni veicolo aiutati da cani anti-bomba. Un giorno nel grande salone dell'hotel ho incontrato Dhari al Dolene, uno sceicco di una delle più grandi tribù di Anbar, e Abed Mohammal al Bulamili, uno dei pochi generali sunniti nell'esercito iracheno. Loro hanno entrambi casa ad Anbar ma la situazione era così pericolosa che mi hanno offerto di venire loro ad Erbil invece che far viaggiare me per incontrarli. Mentre un cameriere in uniforme ci serviva piccole tazze di dolce caffè turco e il generale ed io fumavamo una sigaretta dopo l'altra, i due uomini esponevano la loro teoria sull'ascesa di ISIS. Secondo loro il leader siriano Bashar al-Assad vedeva l'Esercito Siriano Libero, supportato dagli Stati uniti, come una minaccia di gran lunga peggiore per il suo regime rispetto all'ISIS – specialmente per il fatto che si parlava seriamente a Washington fino al 2014 di armare pesantemente l'ESL e anche di una invasione per rovesciarlo. Saddam e Muhammar Gheddafi in Libia erano già stati dispensati con la stesso esercizio di “costruzione della nazione” diretto dagli americani e la politica estera americana allora allegramente discuteva di quella come una “soluzione” per la Siria, perciò era un'idea che Assad vedeva con comprensibile allarme.

Ad Assad non importava molto di ISIS, diceva Dolene sopra le note sfavillanti di un grande pianoforte dall'altra parte della stanza, ma lo considerava un ostacolo per le forze occidentali, uno strumento strategico che assicurasse la sua sopravvivenza. Lo aveva attivamente favorito finanziariamente e logisticamente perché non credeva rappresentasse una minaccia alla sua esistenza. Anche meglio, le atrocità che commetteva ISIS lo aiutavano a mostrarsi agli Stati uniti e alle altre potenze occidentali come un'alternativa migliore ad una Siria in mano agli islamisti radicali. “Tutto quel parlare di rovesciare Assad è scomparso dopo che ISIS era diventato una considerevole minaccia internazionale”, notava Dolene.
Maliki guardava ed imparava dal suo alleato siriano. Dalla fine del 2013 stava tramando per ottenere un incostituzionale terzo mandato come primo ministro, e provava invano a convincere l'amministrazione Obama che sarebbe stato l'unico ad impedire la presa dell'Iraq da parte dell'ISIS. Nel frattempo, mi diceva Bulamili, tagliava il supporto militare e finanziario ai sunniti, ordinava all'esercito di sequestrare le armi ai guerriglieri tribali di Anbar.
Quindi nel Dicembre 2013 le forze di sicurezza del governo uccidevano dozzine di persone in feroci attacchi contro dimostranti in accampamenti di sei province sunnite – e l'amministrazione Obama guardava in silenzio. I sunniti sentivano di non aver opzioni. Potevano accettare il regime sciita filo-iraniano di Maliki e perdere la loro sovranità o far entrare ISIS e sperare per il meglio.

Nel giro di un mese ISIS aveva creato un appoggio ad Anbar e preso il controllo di Fallujah. Anche se le origini di ISIS non potranno mai essere completamente determinate quello è il momento in cui è diventato importante in Iraq. Sei mesi dopo forze irachene con armamenti pesanti abbandonavano Mosul ad una piccola banda di guerriglieri dell'ISIS e il gruppo terrorista dichiarava il suo califfato. “L'esercito iracheno non fu cacciato via da Mosul” mi ha detto sarcasticamente un ex ufficiale di intelligence. “Si sono cacciati da soli”.
Allo stesso tempo ISIS invase Camp Speicher, un centro di distribuzione di armamenti, dove giustiziarono più di 1500 cadetti sciiti dell'aviazione irachena. Il gruppo terrorista riempì camion con equipaggiamento da centinaia di milioni di dollari e partì con svariate migliaia di jeep militari Humvees – armamento sufficiente a farli combattere per cinque anni. Nel frattempo Maliki ordinava alle forze di sicurezza irachene di ritirarsi di fronte agli attacchi di ISIS a Kirkuk, che era occupata (e mantenuta da allora) dalle forze curde su richiesta di cittadini disperati che avevano visto l'esercito del loro paese fuggire senza aver sparato un colpo.

ISIS prese Anbar ovest senza combattere e all'inizio convisse facilmente con la popolazione. Inizialmente ha portato relativa sicurezza per i sunniti, quanto meno in rapporto al trattamento che riservavano le milizie sciite. “La gente ad Anbar, specialmente le tribù dell'ovest, sono molto semplici, possono vivere con chiunque finché c'è pace” ha affermato il generale Bulamili. ”La popolazione locale sotto l'ISIS inizialmente viveva meglio dei sunniti rifugiati nelle tende da campo” (ma ISIS presto se la prese con i sunniti che obiettavano alla loro bizzarra e fanatica interpretazione dell'Islam e cominciarono a giustiziare i capi tribali che vedevano come loro nemici).

Intanto il governo iracheno – e buona parte del mondo – considera i sunniti collaborazionisti dell'ISIS. E così l'esercito iracheno e le milizie sostenute dall'Iran e le forze di volontari hanno cercato di distruggere qualsiasi cosa l'ISIS avesse lasciato in piedi. Le forze di sicurezza governative hanno ucciso molti più sunniti di ISIS e in particolare hanno preso di mira leader politici e militari chiave e guerriglieri tribali che gli Stati uniti avevano usato per sfrattare Al Qaeda dieci anni fa.
Dolene e il Generale Bulamili credono che la ritirata dell'esercito iracheno da Mosul e Kirkuk fosse stata ordinata da Maliki. Lui e i suoi sponsor iraniani erano felici di permettere ad ISIS di assaltare le aree sunnite e causare violenze sulle persone, perché credevano che l'esercito e i paramilitari a guida sciita potevano facilmente sconfiggere l'ISIS più avanti. Ciò si è dimostrato essere un errore di valutazione di proporzioni epiche.

L'idea di Dolene e Bulamili che Assad e Maliki facilitassero ISIS può suonare complottista, ma ho sentito una simile se non identica narrazione da altri esperti, inclusi alcuni accademici americani e analisti di think tank.
Younis notava sull'Atlantic Council che il regime di Assad diffondeva una narrazione che etichettava tutti i propri nemici come terroristi e perciò “la comparsa di ISIS è stata una benedizione” per lui. “Potrebbe non aver attivamente alimentato ISIS ma c'erano legami tra il suo regime e il gruppo terrorista”, ha affermato, segnalando che il governo di Assad aveva comprato petrolio dall'ISIS. E da un punto di vista strategico militare Assad ha ampiamente lasciato fare a ISIS e ha concentrato le proprie forze sui cosiddetti ribelli “moderati”, finanziariamente sostenuti dagli Stati uniti e generalmente cari ai media occidentali.

Younis ha affermato che il ruolo di Maliki è più difficile da determinare, ma ha concordato che la comparsa sulla scena del gruppo terrorista inizialmente serviva i suoi interessi politici ed esso, secondo la più generosa interpretazione, ha affrontato male e sottovalutato il pericolo. Prima dell'emergere del gruppo in Iraq Maliki stava provando a reprimere l'enorme e crescente protesta sunnita contro il regime, che aveva guadagnato simpatia globale. Come Assad, ha opportunamente etichettato tutti i suoi oppositori, armati e non, come “terroristi” e “jihadisti” e ha periodicamente inviato l'esercito per assalire i campi dei dimostranti, sapendo che ciò avrebbe radicalizzato i sunniti. Quando gente che protestava sparpagliata cominciò a sventolare la bandiera nera dell'ISIS Maliki ebbe il pretesto che gli serviva per mandare le truppe e spazzare via i campi.

Per Maliki e i suoi sponsor iraniani la caduta nelle mani dell'ISIS di alcune aree sunnite non era qualcosa di preoccupante in quanto fomentava caos e distruzione. Ma ciò che Maliki si aspettava, ha affermato Younis, era un “caos contenuto” in poche aree dove l'esercito iracheno e la Guardia Rivoluzionaria iraniana potessero mantenere le cose sotto controllo. “Maliki non pensava ISIS fosse un pericolo serio e pensava che distruggendolo avrebbe rinforzato la sua legittimità”, ha affermato Younis “Aveva torto. Ciò che ha ottenuto è stato il caos totale e l'invasione da parte dell'ISIS di un'ampia parte del paese, arrivando a minacciare Baghdad.” (Nonostante tutto Maliki rimane l'uomo più potente di tutto il paese, se ottiene ciò che vuole tornerà presto come primo ministro.)

Ci sono stati infiniti momenti in cui l'amministrazione Obama avrebbe potuto controllare Maliki e farsi sentire sulla brutalità e il ladrocinio del regime sciita, ma per ragioni incomprensibili e sconosciute non ha mai agito attivamente. Intanto i curdi sono ampiamente tagliati fuori da Baghdad, che ha rifiutato di passare moltissimi aiuti americani che erano indirizzati a loro e ha lottato per raccogliere denaro per pagare i servizi governativi e la guerra contro ISIS.
I sunniti sono in uno stato ancora peggiore. Anbar è stata cancellata e i suoi abitanti sono stati impoveriti perché il regime sciita ha trasferito ampie risorse all'Iran e la corruzione si è mangiata miliardi di dollari di risorse che sarebbero dovute andare ai sunniti. “L'80% del mondo musulmano è sunnita e ai loro occhi sembra che abbiamo consegnato il paese all'Iran”, ha affermato una ex fonte CIA - “Siamo oggettivamente in combutta con l'Iran quando si tratta di Iraq. La situazione è umiliante per i sunniti e sta alimentando le fiamme di ISIS.”

Quindi Obama ha “fondato” l'ISIS? Ovviamente no, ma è giusto considerarlo in parte responsabile dell'ascesa del gruppo come la minaccia terrorista più letale del mondo.

http://washingtonbabylon.com/
Trad. Giuseppe Lingetti