Le proteste in Iran

Thu, 04/01/2018 - 10:33
di
Kamran Matin*

Pubblichiamo questo articolo di Kamran Matin, ricercatore di studi internazionali e diplomatici presso l'Università del Sussex, che analizza la situazione iraniana. Nonostante lo scenario sia indubbiamente complesso e ci siano varie forze in campo ci sembra importante provare a dare una lettura di classe a ciò che sta accadendo in Iran consapevoli della parzialità delle molte analisi in campo.

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#IranProtests: le proteste delle classi subalterne in Iran, diffuse su scala nazionale, hanno slogan radicali rivolti alla totalità della Repubblica Islamica e alla sua leadership, indicando chiaramente la frattura irreparabile del “blocco storico” riformista-principalista che ha spinto senza pietà, con tempi e intensità irregolari, uno dei più sfrenati casi della contro-rivoluzione neoliberale nella regione, senza eguali da almeno tre decenni.

Come sempre accade nelle rivoluzioni, la storia dell'attuale movimento rivoluzionario ha anche una natura internazionale. Sulla scia del “movimento verde” del 2009 – esso stesso frutto indiretto della Banca Mondiale e del FMI che rivendicava i “programmi di adeguamento strutturale” degli anni '90 attuati sotto i presidenti Rafsanjani e Khatami – l'IRI (Islamic Republic of Iran) ha adottato strategicamente il discorso del nazionalismo iraniano, casualmente riscoperto e romanzato dal simbolismo Shi'a come un modo per restaurare la legittimità perduta della classe media iraniana, brutalmente repressa nel 2009. A tal proposito, alcuni degli slogan razzisti, anti arabi e monarchici apparsi in alcune delle proteste possono essere ricondotti agli effetti prolungati del regime iraniano, coltivati dall'implicito carattere di superiorità razziale e di aggressività progressiva del nazionalismo Shi-i-Persiano/Iraniano.

Il diffondersi della Primavera Araba in Siria e la seguente crescita dell'ISIS ha dato a questa strategia politicamente “curativa” dei siti geo-politici di pratica e valorizzazione. L'IRI ha fondato la legittimità politica nazionale attraverso interventi in regioni esterne, giustificati come necessari per preservare la pace e l'ordine interno – costantemente in contrasto con il caos e le catastrofi in Iraq e in Siria, nonostante in entrambi i paesi l'IRI sia stato un collaboratore chiave del bagno di sangue compiuto, ed uno dei maggiori attori nel perpetuarlo. Tuttavia, per milioni e milioni di poveri e affamati nelle città iraniane e per le classi medio-basse spossessate dei loro beni, i massicci investimenti dell'IRI nei conflitti regionali equivalgono ad un quasi-imperialismo, il cui prezzo è pagato con i loro mezzi di sostentamento.

Eppure, le sanzioni internazionali dovute alla disputa sul programma nucleare in Iran ancora forniscono un alibi plausibile per il governo. Con la conclusione dell'accordo nucleare con l'Occidente, l'allentamento delle sanzioni e la recente sconfitta militare dell'ISIS, la scusa delle sanzioni è stata rimossa dall'arsenale delle giustificazioni dell'IRI e, in particolare, dalla seconda presidenza di Rouhani. L'immediata origine delle proteste attuali può essere direttamente rintracciata nell'assenza totale di alcun miglioramento del welfare per le masse subalterne, nonostante il sollevamento dalle sanzioni.

La natura periferica e multicentrica delle proteste odierne le distingue da quelle del 2009, largamente limitate a Teheran e poche altre grandi città. Questo fattore ne rende molto più difficile la repressione. Al tempo stesso tali proteste, al contrario del 2009, non possiedono dei leader identificabili, né organizzazioni alle spalle. Questo è un'arma a doppio taglio: da una parte le proteste sono più difficili da reprimere, poiché non esiste un riferimento politico diretto che possa essere attaccato dallo Stato; dall'altro lato però, significa anche che non c'è alcuna bussola strategica a guidarle, né una leadership a definirne gli obiettivi specifici, a valutare la forza e la debolezza dello stato nei momenti di battaglia e ad istruire una risposta necessaria.

Se durature, le proteste hanno un'elevata probabilità di produrre i propri leader organici; ma affinché queste riescano a collegarsi e co-agire tra loro è richiesto un tempo considerevole e uno spirito d'iniziativa creativo. L'unica possibilità per cui potrebbe accadere è attraverso il perpetuarsi di spaccature politico-discorsive in alto, prevenendo così gli organi di repressione dello Stato di agire con una strategia unificata contro i manifestanti e la popolazione più in generale; cosa che appare probabile, a giudicare dalla prima reazione di Rouhani.

L'elemento preoccupante è che la leadership dell'IRI ha alle sue spalle l'esperienza della rivoluzione del 1979, delle proteste del 2009 e delle Primavere Arabe da cui attingere. E tutti questi casi suggeriscono che qualsiasi concessione fatta ai manifestanti accelererà la palla di neve delle proteste in una valanga, dalla quale è molto improbabile riuscire a sopravvivere. Eppure, per agire utilizzando tale conoscenza esperienziale è richiesta un'unità di proposta e intenti che l'IRI, come appena suggerito, non sembra al momento possedere.

Ulteriore fattore è la malattia e la possibile scomparsa dell'Ayatollah Khamenei, una possibile spiegazione all'inflessibile atteggiamento delle differenti fazioni interne allo Stato in termini di gestione delle proteste e delle loro stesse tensioni interne. Tutte cercano di ottenere un vantaggio politico prima che la lotta per il potere post Khamanei inizi seriamente. Questo può, probabilmente, essere il vantaggio strategico del movimento rivoluzionario.

Sfortunatamente, le forze di sinistra progressiste iraniane non si sono ancora riprese dalla campagna di sterminio fisica e politica portata avanti dall'IRI negli anni '80; hanno ancora un'influenza e un'organizzazione molto limitata, se non nulla, all'interno del paese. In ogni caso, qualunque siano le risorse e le energie al di fuori dell'infuori dell'Iran, è tempo di raggrupparle insieme e di mobilitarle attorno ad un programma politico minimo rivolto alle classi multiple della società iraniana. Devono essere comunicate e tradotte in scelte tattiche, attuabili lungo un percorso strategico che guardi oltre l'IRI.

Theda Skocpol ha ragione: le rivoluzioni non si fanno, arrivano. Ma una volta giunte la loro destinazione non è internamente determinata dalla struttura delle cause. L'azione ha un ruolo importante da svolgere. La sinistra iraniana si trova in una congiuntura storica di cruciale importanza. Deve agire insieme, superare le divisioni interne, e crescere dentro questa sfida storica. Un cambiamento radicale e progressivo in Iran avrà ramificazioni e ricadute sull'intera regione, e oltre.

*Fonte articolo: https://www.facebook.com/kamran.matin1/posts/10154898285282447
Traduzione di Federica Maiucci.