La Catalogna in basso e a sinistra

Tue, 05/06/2018 - 14:40
di
Raúl Zibechi*

Da lontano le cose si vedono diverse. A malapena si distinguono i contorni e gli oggetti grandi monopolizzano la visione, mentre i più piccoli risultano quasi invisibili. Per non parlare di quanto succede nel sottosuolo. Solo da vicino, nel condividere esperienze e tempi, suoni e silenzi, possiamo avvicinarci alla comprensione della realtà.

Ho avuto l’enorme fortuna di partecipare alle celebrazioni per il trentesimo anniversario della ONG Entrepueblos, che si è tenuto a Barcellona agli inizi di maggio, e di incontrare di nuovo i compagni con i quali abbiamo militato assieme durante l’esilio. Ho dedicato quasi tutto il tempo a conoscere le realtà del mondo indipendentista di base, che è più anticapitalista e antipatriarcale di quanto sospettassi.

Incontri con membri dei CDR (Comitati di Difesa della Repubblica), delle CUP (Candidaturas de Unidad Popular), dei collettivi territoriali, dei mezzi di comunicazione, dei movimenti e dei centri sociali e culturali che, come arcipelaghi, popolano la geografia della Catalogna. Nessuna organizzazione occupa il centro, in un mondo di galassie e arcipelaghi. Non sono stato con i dirigenti bensì con i militanti di base, e questo è più o meno ciò che ho potuto vedere.

Sabadell è una città operaia di 210 mila abitanti, a mezz’ora dal centro di Barcellona. Nel 1934 è stata la prima città della Catalogna a proclamare la repubblica. Alla fine degli anni ‘90, si è contraddistinta per le lotte antifasciste, l’occupazione delle case e la creazione di atenei. Tra il 2012 e il 2014 è stata protagonista di scioperi generali contro la destra che cercava di scaricare la crisi sui lavoratori.

Esiste un Movimento Popolare di Sabadell, composto da decine di collettivi: di operai, di donne, dalla potente Plataforma de Afectados por la Hipoteca [Piattaforma delle Vittime dell’Ipoteca] che riunisce nelle assemblee 500 persone, ha quattro edifici occupati dove alloggiano gli sfrattati e dispone di un banco alimentare autogestito. Inoltre, ci sono una decina di cooperative di consumo non gerarchiche e media liberi.

Mesi fa sono nati sette CDR che si propongono, dicono i militanti, di “territorializzare la difesa del referendum” per l’indipendenza. All’inizio la R era di Referendum ma poi si è tramutata in Repubblica. Nei primi mesi, alle assemblee partecipavano fino a 8 mila persone, una cifra astronomica per una piccola popolazione, che adesso si sono ridotte a meno di mille tra i quattro o cinque CDR che sono sopravvissuti.

In tutta la Catalogna sono sorti 300 CDR che lottano per i prigionieri e gli esiliati, in difesa dei 150 imputati per azioni di strada e dei 700 sindaci minacciati dalla giustizia spagnola. “La potenzialità”, dice un compagno del quale non farò né nome né descrizione perché la repressione è reale, “consiste nella capacità di mobilitare persone molto diverse”. Si riferisce non solo alle diverse opzioni politiche (dagli anarchici ai socialdemocratici) ma anche alle differenze di età, dove gli anziani giocano un ruolo decisivo di fronte alla repressione: gli “yayos” e le “yayas” [i “nonni” e le “nonne”] si mettono in prima fila per dissuadere/sfidare i poliziotti.

“I limiti”, prosegue, “consistono nella difficoltà a mantenere questo livello di mobilitazione”. Assicura che “il ciclo del processo è chiuso”, che le persone non hanno paura, che l’organizzazione di base è molto ampia e solida, ma il processo di indipendenza sarà molto lungo. “Ci tocca spaccare la pietra”, conclude tra i sorrisi.

In una riunione con quattro CDR di diversi distretti e quartieri, hanno assicurato che il movimento “non ha strutture”. Ogni CDR è sovrano nel fare o prendere iniziative per conto suo, sempre secondo i principi della non-violenza, della resistenza attiva e del rifiuto delle gerarchie. Uno dei grandi problemi è che le organizzazioni tradizionali dell’indipendentismo sono paralizzate dalla repressione: per questo il protagonismo corrisponde al movimento territoriale di base, la cui esperienza risale alla fine degli anni ‘90, nella lotta contro la globalizzazione.

I CDR realizzano un insieme di azioni molto diverse: collocano nastri gialli nelle piazze e nelle strade, bloccano le strade e sollevano le barriere dei pedaggi, si mobilitano a sostegno delle femministe, dei pensionati, degli sfrattati e dei lavoratori. “Ogni volta che c’è repressione, un maggior numero di persone si unisce alle assemblee”, assicura una ragazza di Rubí, alla periferia di Barcellona.

A breve termine, si propongono di mantenere la resistenza per dimostrare che non c’è normalità, che il paese è controllato dal governo di Mariano Rajoy (l’articolo è stato scritto poco prima della sua caduta, ndt). Al contempo, stanno adottando iniziative per creare “un’altra economia”, basata sulla lunga esperienza del cooperativismo libertario catalano, che cerca la disconnessione con il capitalismo. Concordano nell’affermare che è una lotta di natura trasversale: per l’indipendenza, contro il capitalismo e il patriarcato.

Una delle esperienze più notevoli è Coop57, una cooperativa di servizi finanziari che concede prestiti a progetti di economia sociale. È nata nel 1995 a seguito della lotta dei lavoratori di Editorial Bruguera, che hanno creato un fondo di solidarietà con parte degli indennizzi ricevuti (coop57.coop). Oggi ci sono 800 entità che sostengono il progetto, con 4 mila soci e quasi 20 milioni di euro in prestiti sociali annui.

Voglio sottolineare tre aspetti di questo movimento.

Uno: non ci lasciamo accecare dall’indipendenza (per noi che viviamo lontano e non siamo nazionalisti), perché è troppo complesso. La caratteristica anticapitalista e antipatriarcale è tanto potente quanto quella indipendentista.

Due: non guardiamo verso l’alto (Puigdemont o Torra, per esempio), bensì in basso e a sinistra. Lì, c’è una fonte di insegnamenti molto importanti che ci devono riempire di speranza, con cui possiamo dialogare e imparare.

Tre: il processo sarà molto lungo e non tutti la pensano così. Ho colto una tendenza a credere che ci sarà l’indipendenza senza grandi conflitti, qualcosa di impossibile in una realtà marcata da uno Stato spagnolo centralista che non ha mai rotto gli ormeggi con il franchismo. Però il prolungamento del processo può rafforzare le opzioni più antisistemiche.

*Fonte articolo: https://comune-info.net/2018/06/la-catalogna-in-basso-e-a-sinistra/