La questione catalana: il fiume e gli argini

Thu, 13/09/2018 - 12:21
di
Jaime Pastor*

“Chiamano violento il fiume che scende correndo, impetuoso, ma nessuno dice che sono violenti gli argini che lo comprimono.” Bertold Brecht

Il nuovo corso politico comincia, ancora una volta, con la questione catalana al centro dell’agenda, politica e… giudiziaria. In effetti la Diada (ndt: festa nazionale catalana) dell’11 settembre e l’anniversario del referendum del 1° ottobre torneranno a dimostrare la volontà di un ampio e plurale movimento cittadino in Catalogna a voler esercitare il suo diritto di poter decidere sul proprio futuro e, più concretamente, sulla separazione o meno dallo Stato spagnolo.

Sarebbe un errore considerare questa aspirazione come un semplice progetto di una élite politica o economica (quando, inoltre, una parte di essa sta guardando con interesse personaggi come Manuel Valls...) capace di “manipolare” le “masse” ingenue, come dicono la maggior parte dei mezzi di comunicazione spagnoli e anche parte della sinistra spagnola. È piuttosto l’esperienza del fallimento della via “federale” del Nou Estatut, che ha condotto alla formazione di un nuovo soggetto politico in Catalogna, almeno dal 2012, al cui interno si esprimono varie correnti in disputa per l’egemonia. Fu questo soggetto molto plurale che, il 1° ottobre scorso, ha esercitato un vero atto di democrazia, disobbedendo di fronte alle minacce e alla repressione dello Stato spagnolo e ottenendo una mobilitazione inedita nella storia europea, tenendo conto delle circostanze in cui si è realizzata. È vero che non aveva tutte le garanzie necessarie per il riconoscimento internazionale, ma ricordiamo che ciò è dovuto ad impedimenti di ogni tipo imposti dallo Stato e non alla volontà di chi l’aveva convocato.

Di fronte all’innegabile realtà, confermata ripetutamente dai sondaggi, di una maggioranza sociale che rivendica questo diritto a decidere, limitarsi, come vorrebbe fare Pedro Sanchez (ndt: premier del Psoe), ad offrire la negoziazione di un nuovo Estatut (che dovrebbe prima passare per l’avallo del suo partito e, dopo, dalla Camera e dal Senato spagnoli) o, ancora peggio, opporre a questa rivendicazione la “muraglia” della Costituzione come ha fatto Pablo Casado (ndt: nuovo presidente del PP) a Avila (perché non lo fece davanti alla riforma lampo dell’articolo 135, in violazione dei diritti sociali?) vuol dire perseverare in una cecità che – come abbiamo già visto in passato – non farà altro che aggravare il conflitto, malgrado il consenso in alcuni settori della società spagnola. Compito in cui sicuramente Ciudadanos sta guadagnando il primo posto, impegnato com’è nella ricerca dello scontro, non solo con l’indipendentismo ma anche con tutte quelle forze che intendevano mantenersi equidistanti o che, semplicemente, non hanno appoggiato la sua fallimentare campagna contro le strisce gialle (ndt: della bandiera catalana).

Torniamo così nuovamente a scene già viste di un film che si ripete continuamente: quello di alcuni partiti politici maggioritari nello Stato spagnolo che, con la loro assenza di una risposta politica in grado di andare oltre al ricorso alla forza (come quell’articolo 155, con cui già minacciava Felipe Gonzales nel 1989 e che oggi si torna a brandire) agiscono come i veri responsabili della crescita del sovranismo e dell’indipendentismo in Catalogna. È certo che dentro questa comunità esiste un ampio settore contrario a questo progetto, ma l’unico modo per chiarire fino a dove si sia inclinata la maggioranza di questo paese è attraverso un referendum di autodeterminazione concordato.

Questa polarizzazione crescente sul piano politico si vede inoltre rafforzata dalla scelta di questi stessi partiti di favorire la via della repressione giudiziaria. Da ottobre dell’anno scorso abbiamo visto come il vertice del potere giudiziario, con i giudici Llarena e Marchena in testa, si è ostinato a qualificare come “ribellione” le proteste che si sono susseguite dal 20 settembre al 1° ottobre, di fronte al parere contrario manifestato da una ampia maggioranza di esperti in Diritto Penale e, più di recente, da tribunali tedeschi, belgi e scozzesi. Come scrive molto bene Ignacio Sanchez Cuenca nel giornale La Vanguardia il 1° settembre scorso: “L’accusa di ribellione risulta così stravagante che potrebbe essere motivo di barzelletta, se non fosse che ci sono dei politici incarcerati. La presa di posizione del Tribunale Supremo si può spiegare solo con un miscuglio di corporativismo, superbia e orgoglio nazionale ferito.” Per questo abbiamo ragioni più che sufficienti per esigere dal Procuratore generale dello Stato una ferma e urgente rettifica di questa accusa.

In queste condizioni, davanti alla sentenza grottesca che si annuncia per la fine dell’anno o l’inizio del prossimo, aggravata dalla reclusione in carcere preventivo delle accusate e degli accusati, è completamente legittima la campagna che si sta svolgendo in Catalogna (e anche in altri posti) con le bandiere a strisce gialle esposte nelle piazze o dalle facciate dei palazzi delle istituzioni pubbliche, contro il belligerante attacco scatenato da Ciudadanos e dai suoi alleati di estrema destra. Inoltre esigere, come fa la Pubblica Difesa, la rinuncia alla libertà di espressione da parte delle maggioranze che governano le istituzioni pubbliche, significa entrare in una deriva di “democrazia militante” che esclude il dissenso che, se venisse realmente applicata, correrebbe il rischio di estendersi ad altri conflitti e altri ambiti, come di fatto sta già succedendo con l’estensione delle accuse di “delitto d’odio” al libero esercizio della libertà di espressione e di creazione artistica.

Di fronte a questo panorama di blocco politico permanente e di repressione giudiziaria, la risposta della maggioranza delle forze dell’“opinione pubblica” alla sinistra del Psoe continua ad essere il silenzio o, nel migliore dei casi, una timida protesta che chiede la fine della prigionia preventiva e una riforma della Costituzione che consenta “un posto per la Catalogna” nella Spagna; o ancora a appoggiare la proposta di Pedro Sanchez, consapevole della sua mancanza di credibilità agli occhi della maggioranza della società catalana. Non sarebbe meglio prendere nota della risposta che l’attuale segretario della Ugt catalana ha dato di recente alla domanda “Che cosa chiederebbe alla sinistra spagnola rispetto alla Catalogna?”: “Mi piacerebbe trovare con tutte le sinistre dello Stato spagnolo, quella politica, sindacale, degli intellettuali, consensi simili a quelli che si sono forgiati con il “no alla guerra”. C’è un elemento che non è solo catalano, ovvero il tema democratico che tocca anche i twitters, i cantanti, i burattinai (ndt. categorie di artisti che recentemente hanno subito la censura) e anche i dirigenti sovranisti imprigionati e su cui bisogna lavorare. Difficilmente la gente della sinistra spagnola diventerà indipendentista, però la sinistra spagnola è stata troppo silente”.

Di questo si tratta: fare in modo che gli argini si allarghino e cessino di violentare il fiume che scende dalla Catalogna e, speriamo, da altri posti, per condividere un “No alla criminalizzazione del dissenso” e un “Si alle libertà, alla democrazia e al diritto di decidere”. Argini che, se non reagiamo in tempo, minacciano di essere sempre più stretti, come stiamo vedendo in questi giorni con la banalizzazione del franchismo – o a dirittura la sua rivendicazione senza compromessi - da parte del PP e di Ciudadanos, così come in tutta l’Europa con la militarizzazione delle frontiere contro persone che, provenienti da paesi affatto sicuri, reclamano il loro legittimo “diritto ad avere diritti”.

Non è questione, quindi, di una mera solidarietà altruista, ma bensì di essere coscienti di quello che è in gioco in Catalogna, come ci ha ricordato, aldilà delle divergenze che si possono avere con lui, il presidente (ndt: della Generalitat) Quim Torra, rivolgendosi nel suo discorso del 4 settembre scorso a “i cittadini di Spagna, che dimostrino di avere a cuore una soluzione politica e non repressiva per il conflitto tra Catalogna e le istituzioni dello Stato”, una questione che ci riguarda nella nostra aspirazione comune ad ottenere più libertà e al raggiungimento di una democrazia repubblicana. Infine, a stabilire una nuova relazione di uguaglianza tra popoli sovrani di fronte al despotismo oligarchico e austero vigente in Europa e alle false alternative provenienti da un’estrema destra che continua a voler ignorare quello che sosteneva il genetista recentemente deceduto, Luca Cavalli Sforza: che le razze esistono solo nelle menti dei razzisti.

Fonte articolo: https://vientosur.info/spip.php?article14149
Traduzione a cura di Nadia De Mond.