Precipitare domandando e la prudenza del vecchio Antonio

Tue, 02/07/2019 - 19:57
di
Daniele D'Ambra

E' drammaticamente condivisibile il quadro della situazione italiana che Francesco Raparelli tratteggia nel suo articolo "Per colpa di chi?". Un paese invecchiato, incattivito, attraversato da diseguaglianze sempre più profonde, in cui l’arretramento in tema di diritti e servizi si combina ad una fortissima deriva securitaria, alla guerra ai poveri e tra poveri, ad una rigida disciplina dei comportamenti. Preferiremmo considerarlo materiale per la prossima stagione di Black Mirror, invece è la realtà quotidiana che ci troviamo ad affrontare noi che, indifferenti ai calci in culo per scelta o per necessità, invece di ripiegare all’estero siamo rimasti.
Non affascina vestire i panni di Hiroo Onoda postmoderni, meno che mai il martirio cristiano, viene quindi spontaneo domandarsi per cosa combattere e come.
La prima domanda può apparire scontata, ma non lo è affatto. Rispondervi in termini troppo generici è stata parte del problema fin da quando in piazza intuivamo, con più di qualche ragione, a chi avrebbero fatto pagare la crisi.
Anche perché, approfittando della già citata espulsione generazionale, grilli parlanti e aziende specializzate hanno riarticolato in forma di operetta quegli stessi contenuti per riproporli al segmento piccolo-proprietario colpito da crisi e politiche d’austerità.
Per compassione, o forse solo per sopraggiunta noia al tema, meglio non soffermarsi sulla (in)capacità della sinistra politica tradizionale di rapportarsi con queste istanze. L’accanimento oltre ad inutile rischia di essere autoassolutorio, ma anche questo spiega l’oggi al di là di miseria, pochezza e vergogne della borghesia italiana.
Parafrasando Eugene Ionesco "Dio è morto, Marx è morto e pure noi non ci sentiamo molto bene". La sottrazione di un futuro augurabile e prefigurabile, di una prospettiva strategica direbbero quell* brav*, ci lascia con armi se non scariche quantomeno mal ridotte e poiché intanto si cade da un palazzo di 50 piani la realpolitik rischia di divenire l’unico paracadute utilizzabile per l’atterraggio.
Fin qui niente bene.

La questione sicuramente non è facile – difficile mettersi a tavolino mentre si precipita – ma possiamo provare ad affrontarla proprio a partire dal tema delle convergenze. Mancate, possibili, desiderabili.
Su questo dovremmo tentare un approfondimento: per molto tempo, l'epoca dei social forum mi sembra un esempio utile, questa convergenza è stata intesa come una sommatoria di elementi diversi in lotta contro un nemico comune, a valorizzarne gli aspetti eterogenei e molteplici.
Emanciparsi dalla novecentesca epica riduzionista della classe operaia maschia e bianca è necessario oltre che fin troppo tardivo, ma forse dovremmo anche dirci che la cristallizzazione delle identità ha prodotto convergenze esterne guidate più da un elemento etico - la giustizia sociale - che da uno materiale, espressione di interessi combinati e organicamente contrapposti ad un sistema di produzione e riproduzione complessivo.
Prendendo l'esempio delle migrazioni, in merito a cui indubbiamente si gioca anche un'innegabile e sacrosanta battaglia di umanità, il rischio di non andare oltre è avvalorare – del tutto involontariamente – l'apparenza per cui su un piano materiale in effetti l'arrivo di stranieri è anzitutto causa di concorrenza sleale e dumping salariale, come purtroppo alcuni anche a "sinistra" arrivano a dire.
La conseguenza è che le alleanze sociali prodotte in questi anni possano sembrare mosse più dalla volontà di fare la cosa giusta che da un immediato ed evidente interesse soggettivo. Importa relativamente che questo alimenti la detestabile categoria del “buonismo”, molto di più che ci faccia perdere mordente sulla percezione di larga scala.

Non è quindi una precisazione accademica o un vezzo teorico quello che avanza McNally nel saggio presente in Social Reproduction Theory (2018) in merito all'intersezionalità [1]: attenzione a non riproporre in altri termini proprio il problema che si tentava di superare, è attraverso la comprensione delle relazioni interne - più che alla riproposizione di quelle esterne - di quella "unità del diverso" di cui è composta la totalità sociale contemporanea che può emergere una nuova classe probabile.
Angela Davis e il femminismo nero ce lo dicono in termini più comprensibili: nella concretezza delle nostre vite sfruttamento e oppressioni per quanto siano relazioni differenziate costituiscono un sistema integrale, reciprocamente condizionato, quindi non separabile.
Non si tratta di individuare il miglior candidato a sostituire la classe operaia come particolare-universale, ma proprio di capire come e in che forme questa convergenza possa concretamente prodursi in modo diverso dalla semplice somma.
Oggi la terza ondata femminista non è soltanto la punta più avanzata della conflittualità sociale, ma probabilmente è anche la soggettività in formazione che meglio può favorire questa convergenza, esattamente per la combinazione sociale che concretamente rappresenta nello scontro tanto sul piano produttivo che su quello riproduttivo, nella ridefinizione della pratica dello sciopero, attraverso il proprio protagonismo nella nuova sindacalizzazione diffusa, nel contrasto alla vulgata razzista che strumentalizza il corpo delle donne, nel suo carattere transnazionale.
Ovviamente nel dirci questo e pur considerandolo il principale piano di lavoro non ci scordiamo che intanto stiamo sempre precipitando e che il suolo appare sempre più vicino.
L’onda reazionaria monta, restringendo sensibilmente spazi di agibilità, libertà individuali e collettive.
Il problema di avere controparti istituzionali minimamente permeabili non è certo un dettaglio trascurabile, cruccio di elettoralisti incalliti. Anche perché di sicuro non si può dire, se non per effetto di una completa cecità politica, che sia irrilevante chi le rappresenta.
Andrebbero però evitati come la peste due approcci opposti e in qualche modo speculari: da una parte ripiegare in una postura che, alla Lindo Ferretti, ci fa ripetere in forma litanica “non si svende, non si svende, anche se non funziona, anche se non funziona”; dall’altra rimuovere le recenti esperienze dirette afferenti non solo al “Partito del PIL” e che a partire da alleanze volte ad evitare il peggio l’hanno in realtà causato proprio sui terreni dove oggi registriamo le offensive più profonde (lavoro, sicurezza, fenomeni migratori).
Il Vecchio Antonio, in un racconto zapatista di qualche tempo fa, riteneva sciocco sia guardare il dito che la luna - il sole nella versione originale – perché nel primo caso si perde la strada, nel secondo si inciampa facilmente. Non possiamo che alzare e abbassare continuamente lo sguardo, ponendoci domande sul vicino e sul lontano.
Con la vecchiaia non si diventa saggi ma attenti, diceva Hemingway, e forse è proprio di questa attenzione del vecchio Antonio che abbiamo estrema necessità.
Il tema, proprio per la gravità della fase, non può essere oggetto di affermazioni assolute e andrebbe calato negli specifici contesti, facendo corrispondere a domande serie risposte che lo siano altrettanto.

Per fare alcuni esempi concreti:
1) il governo in questione facilita o complica, mobilita o smobilita, processi di partecipazione? E’ dotato di una permeabilità rispetto a cui lanciare una sfida o unisce alla sordità anche la capacità di sussumere e assopire parzialità sociali altrimenti disponibili ad un protagonismo proprio?

2) in funzione della dimensione economica e politica del territorio che rapporti di forza siamo in grado di mettere in campo? Sono adeguati a produrre un’offensiva o ci costringono unicamente a muoverci al seguito se non a subirli?
3) In che modo riusciamo a mantenere un’autonomia critica, problema che di solito si pone a sinistra in termini proporzionali alla presunta vicinanza del governo (più o meno locale)?

Non ci sono risposte onnivalenti – anche perché da appassionato lettore di Adams l’unica valida resta 42 – ma già iniziare a porsi alcune di queste domande potrebbe essere un primo passo.
Accorto, come vuole il vecchio Antonio.

Note:

1. Intersections and Dialectics: Critical Reconstructions in Social Reproduction Theory, David McNally in Social Reproduction Theory, remapping class recentering oppression, a cura di Thiti Bhattacharya, PlutoPress 2018