Debito e nuvole. La faccia triste della campagna elettorale

Thu, 18/01/2018 - 10:46
di
Marco Bertorello

L'avvio della campagna elettorale per le elezioni politiche di quest'anno dà il senso, semmai ce ne fosse stato ancora bisogno, del declino generale che sta attraversando il nostro paese. Diciamo che rappresenta un ulteriore indicatore negativo. Da anni le campagne elettorali sono fondate sulla spettacolarizzazione e la personalizzazione crescenti, quello che oggi si aggiunge è una sorta di gara funambolica a chi la spara più grossa, senza nessun nesso con la realtà o con i vincoli dettati dall'Europa che poi immancabilmente vengono rispettati da tutti i governi. Ecco allora che veniamo sommersi da qualcosa che assomiglia a un Festival delle promesse. L'abolizione del Jobs Act, della legge Fornero sulle pensioni, del canone Rai, delle tasse universitarie, oppure l'approvazione della Flat tax (che dovrebbe attestarsi tra il 15 e il 22%), di un reddito di base, asili nido gratuiti, e via di seguito. Senza entrare nel merito delle singole proposte, che non sarebbero tutte sbagliate, ciò che appare evidente è il fatto che suonino come false, come propaganda nel senso più deteriore del termine. Un mercato elettorale in cui ogni offerta è in cerca del maggior numero di clienti possibili, senza porsi il problema della qualità della merce in svendita. Non a caso nei social network ha preso corpo un fenomeno di derisione e ironia che se da un lato è segno di impotenza e incapacità a reagire, dall'altro dimostra che un'intelligenza sociale ancora esiste.

Quel che colpisce è come, in una gara a chi la spara più grossa, nessuno si ponga realmente l'obiettivo della copertura finanziaria. Come se non vi fosse un problema di risorse, di conti da pagare. Eppure ogni politica economica praticata in questi anni ha presentato un conto, in genere alle fasce più deboli, alimentando un processo di crescente sperequazione e diseguaglianza sociale. Non è un caso che il grande rimosso, non solo dalle prime mosse di questa campagna elettorale, ma persino dai programmi, è proprio il tema del debito pubblico. Come se la crisi dei debiti sovrani del 2011-2012 in Europa non vi fosse stata. La grande narrazione sulla fine della crisi sembra aver inebriato tutti. Anzi più le forze politiche sono state vittime dell'emergenza di quei mesi, più hanno rimosso il problema.

Potremmo dire che il debito è stato abolito, almeno in campagna elettorale. A causa del debito pubblico, però, Berlusconi era stato praticamente commissariato nell'estate del 2011 e oggi l'alleanza (?) di Centrodestra non ne parla affatto. Il Partito Democratico, nella sua «Conferenza Programmatica nazionale. Italia 2020», in ben venti pagine di testo fa un riferimento «a vincoli di bilancio» e al fatto che vogliano «superare il Fiscal Compact», per poi affermare che con il ritorno ai parametri di Maastricht nel rapporto deficit/Pil con il limite del 2,9% si libererebbero risorse «per ridurre la pressione fiscale su chi crea lavoro e sulle famiglie e investire con la massima forza su crescita, coesione sociale ed equità garantendo nel contempo la riduzione del debito pubblico con ulteriori misure specifiche». Tutto qui per i seriosi democratici. Come se con i parametri di Maastricht il debito fosse stato disinnescato. Si aggiungono poi misteriose «ulteriori misure specifiche» per risolvere il peso dell'enorme debito pubblico italiano, che viene trattato come orpello nelle politiche economiche, un dettaglio, e non come il problema dei problemi che grava da decenni sull'economia italiana. Il Movimento Cinque Stelle nel suo programma, alla voce “Economia”, si pone il medesimo obiettivo della riduzione del debito pubblico attraverso «forti interventi sui costi dello Stato con il taglio degli sprechi e con l'introduzione di nuove tecnologie per consentire ai cittadini l'accesso alle informazioni e ai servizi senza bisogno di intermediari», una sorta di gigantesca spending rewiew, realizzata mediante un'innovazione tecnica capace di ridurre in modo deciso il numero dei dipendenti pubblici. Anche in questo caso poche stentate parole per liquidare il tema del debito pubblico. La bozza di programma (ho trovato solo quella per il momento) di Liberi e Uguali rispetto alla pubblica finanza fa unicamente riferimento a un genericissimo «programma credibile di governo attento ai conti»!!! Infine c'è il programma della neo-lista Potere al Popolo a cui va riconosciuto il merito di sollevare il tema, indicando in maniera condivisibile come soluzione l'istituzione di una «commissione per l'audit sul debito pubblico in funzione della sua rinegoziazione e ristrutturazione andando a colpire la quota del debito detenuta dal grande capitale speculativo». Viene sottolineato il fatto che da anni lo Stato sia in avanzo primario e che tanta parte del debito accumulato sia il frutto del pagamento degli interessi. Il richiamo al pagamento di questi interessi alla finanza privata tuttavia rischia di non focalizzare il problema dell'uso del debito pubblico e privato nell'economia contemporanea, come appare estemporanea la proposta della nazionalizzazione della Banca d'Italia, ma almeno la questione debito pubblico viene posta.

Complessivamente le forze politiche eludono il problema o, nella migliore delle ipotesi, lo affrontano senza dargli la necessaria centralità. Eppure dopo la grave crisi del 2011, una crisi in cui si è persino temuta la bancarotta di alcuni paesi, tra cui l'Italia risultava il più significativo, si è avviata una fase di politiche monetarie espansive anche per la Banca centrale europea che ha condotto alla normalizzazione del quadro macroeconomico, ma che non ha risolto i problemi. Anzi la finestra temporale concessa dal Quantitative easing non è stata utilizzata per migliorare le finanze pubbliche. Troppo grande sarebbe stato il prezzo, insufficiente si è rivelata la crescita ottenuta con espedienti fondati sulla finanza. Il debito sovrano italiano è, al contrario, aumentato sia in termini assoluti sia in termini percentuali rispetto al Pil. Si aggiungano le regole di bilancio approvate in questi anni per un'operazione di risanamento che avrebbe dovuto produrre una crescita pari a quella dei tempi d'oro del dopoguerra. Una crescita che costituisce tuttora l'unica ipotesi in campo per la contrazione del debito.

Un nuovo shock finanziario, non escluso dai più accorti osservatori, potrebbe travolgere proprio paesi, come l'Italia, che in questi ultimi anni di relativa ripresa non sono stati in grado di risanare le proprie finanze, lasciando il paese con le armi spuntate per il futuro prossimo. In tale contesto l'Italia risulta essere uno dei paesi più vulnerabili, e per tale ragione nei prossimi anni il peso del debito si farà sentire sulle spalle dei più, impedendo politiche socialmente espansive. Nessuna inversione di rotta, dunque, è all'orizzonte. La dimensione del debito continuerà a impedire la realizzazione di quella lista dei sogni avanzata spudoratamente in campagna elettorale. Se le leggi del debito resteranno quelle tuttora dominanti, le politiche basate sull'austerità continueranno a dominare. Senza far saltare il tappo sarà difficile riuscire a bere del vino nuovo.