Conflitto, autogestione, sfruttamento zero

Tue, 24/06/2014 - 10:21
di
CommuniaNet

“Precari a tempo indeterminato”. Con questo titolo abbiamo discusso a Roma dentro lo spazio di mutuo soccorso Omnia sunt Communia. Due giorni densi, a cui hanno partecipato tanti nodi del network nazionale, ma anche individualità ed esponenti di differenti lotte sociali.

Nei prossimi giorni pubblicheremo le relazioni e i materiali usciti dalle plenarie e dai workshop, con i quali vorremmo anche comporre un numero della rivista cartacea Communia, da far uscire per il prossimo CommuniaFest, fissato per il 19, 20 e 21 settembre a Roma.

Intanto alcuni elementi usciti dalle appassionanti discussioni di questi giorni.

Abbiamo provato ad analizzare la composizione del moderno proletariato, di chi continua ad essere costretto a vivere del proprio lavoro. Un’analisi statistica e sociologica dei dati essenziale, da cui si scopre una classe che cresce “a sua insaputa”, con una proletarizzazione di settori sociali ancora pervasi dalla mistica del “ceto medio”, con salari dei neolaureati del tutto simili a quelli degli operai specializzati, e con i piccoli negozianti sostituiti dai lavoratori dei grandi centri commerciali o da quelli della logistica intenti a portare a casa gli acquisti online.

In Italia ci sono 15 milioni di lavoratori con contratti a tempo indeterminato, circa 3,5 milioni di lavoratori con contratti molto differenziati tra loro ma tutti precari, 3,9 milioni di lavoratori autonomi tra cui esistono ulteriori forme di lavoro parasubordinato (partite Iva, etc.). E tra questi 2,3 milioni di lavoratori sono stranieri. A questi numeri vanno aggiunti non solo 3 milioni di disoccupati, ma anche 3,2 milioni di inattivi, persone che hanno smesso di cercare lavoro ma che vorrebbero lavorare.

I soggetti da cui si estorce plusvalore si estendono a figure professionali fino a poco tempo fa rimaste in disparte, le filiere di allungano e si diversificano. La "classe" quindi, è spalmata nelle tante piccole imprese, spesso delocalizzate in aree molto distanti, ma è fortemente unificata nella catena di produzione del valore. Una fetta crescente della società ma con una composizione variegata, in cui la diffusione del “contratto per antonomasia”, quello a tempo indeterminato, si è dimezzata in 10 anni. E in cui quella che dovrebbe essere una parentesi, il lavoro precario, dura ormai anche 10-15 anni. Il mondo del lavoro, sembra essere uscito da una parentesi storica del capitalismo occidentale, quella dei “trenta gloriosi”, e i rapporti di classe tornano alla loro normalità storica, con la precarietà che diventa, tendenzialmente, la norma.

Ma una volta analizzati i dati statici, ci siamo scontrati con i dati politici. La classe infatti non è solo la composizione di chi vive del proprio lavoro, ma diviene tale anche nella lotta antagonista con un’altra classe. Quando diviene “classe per sé”. Se l’operaio di fabbrica nel Novecento aveva rappresentato il soggetto centrale intorno a cui si era identificata tutta la composizione di classe, oggi un tale soggetto – sia in termini numerici che politici – non è rintracciabile. Anzi, sarebbe sbagliato condurre l’indagine e la pratica politica nella sua ricerca. Chi ci ha provato, non ha avuto risultati tangibili. Le teorizzazioni sulla nuova centralità del “Cognitariato”, dei lavoratori della conoscenza, a conti fatti si sono rivelate fallimentari. La società della conoscenza non ha innescato un nuovo soggetto centrale in lotta, né un nuovo "modo di produzione capitalistico". Ha piuttosto permeato varie soggettività lavoratrici e le complessive relazioni di classe, consegnandoci una "classe" più mutevole e dinamica di quanto possa sembrare in superficie.

Ma se non esiste un soggetto centrale, non si tratta nemmeno di realizzare un'aritmetica della riunificazione. La possibilità del moderno proletariato di giocare una partita antagonista sarà data dalla capacità di darsi un “progetto” dopo le sconfitte del Novecento. Serve una nuova grande narrazione di portata analoga a quella compiuta dal capitale con il “compromesso neoliberista” degli anni Ottanta.

Alle pratiche di lotta sono stati dedicati i workshop, che hanno analizzato a fondo la crisi dei soggetti sindacali, crisi ovviamente differente tra le strutture confederali e quelle di base e conflittuali, che comunque non sembrano strumenti sufficienti ad affrontare questa nuova fase. Abbiamo discusso a fondo dell’esperienza di autorganizzazione dei lavoratori precari dell’Istat, della lotta dei lavoratori portuali di Gioia Tauro, di come lo sfruttamento entra direttamente nelle università attraverso il lavoro gratuito rappresentato dagli stage, e della necessità di esperienze esemplari e di pratiche di mutuo soccorso.

Proprio alle pratiche di mutuo soccorso è stato dedicato un workshop specifico, con l’intento di fare un passo avanti teorico e pratico su un tema che sta attraversando diverse aree politiche della sinistra radicale e antagonista, e che ha radici lontane. In una tale fase di crisi, economica e di organizzazione politica della classe, il mutuo soccorso diventa uno degli strumenti decisivi per rispondere ai bisogni economici dei soggetti ma anche per supportare lotte altrimenti frammentate tra loro. Ma il rischio è quello di sostituirsi al welfare mentre questo viene distrutto e privatizzato, o costruire esperienze di autogestione ed autoproduzione che si chiudono in se stesse o, peggio, vengono sussunte dal sistema capitalistico o dalle burocrazie politiche o sindacali. Servono invece esperienze esemplari, ma per esserlo devono aggiungere degli aggettivi al proprio orizzonte. Non solo autogestione, ma autogestione conflittuale, che serva ad amplificare le lotte sociali in corso e che possa essere riproducibile. Non solo autoproduzione, ma “fuori mercato” e “a sfruttamento zero”, senza ricalcare molte delle esperienze cooperativistiche già conosciute . Non solo “lavorare senza padroni”, ma anche “lavorare contro i padroni”.

Con questo approccio ci siamo confrontati con esperienze come quella di S.O.S. Rosarno, nata dal conflitto sociale dei lavoratori migranti, con quella del progetto Netzanet di Bari, che dall’occupazione abitativa per il diritto alla casa si è posta l’obiettivo di costruire un’esperienza di autoproduzione. E ovviamente con l’esperienza della fabbrica recuperata Ri-Maflow, autogestita in risposta alla chiusura e la messa in cassa integrazione dei lavoratori.

Esperienze esemplari che nel momento stesso in cui rispondono ad un bisogno materiale dei soggetti in lotta danno uno strumento per continuare a lottare, delineando anche un diverso modello di società, basato sull’autogestione, la democrazia, l’uguaglianza e l’eco-sostenibilità. Un “progetto” insomma, reso credibile dalla lotta stessa.

La ricerca aperta sulla ricostruzione della soggettività di classe passa per la sperimentazione di esperienze esemplari di questo tipo. E l’opposizione sociale al Governo Renzi può avvenire solo mettendo in rete lotte sociali, piccole o grandi, che sono state in grado di assumere un significato generale che parli della condizione sociale di tutto il moderno proletariato. Nessun altra dinamica identitaria di una o l’altra area politica o di movimento, riuscirà a contrapporre una narrazione efficace a quella in questo frangente trionfante del liberismo del Governo Renzi.