Un bloody mary per smaltire: domande e commenti su LcomeAlice

Mon, 09/06/2014 - 16:49
di
Nexus

Se questo spettacolo vi ha dato alla testa, quel che ci vuole è un bicchierone di bloody mary. Nelle ultime due settimane, ci siamo andati giù pesante: la vostra L è tornata in scena, ha fatto scena. Prima al Teatro Studio Uno, coinvolgendo nuovo pubblico e recensori (Gufetto, Ghigliottina, Persinsala, Kirolandia), poi allo spazio di mutuo soccorso Communia, rendendo "scena" quel che fino a pochi mesi fa era discarica.

"Scenarizzare", come direbbe Yves Citton, è un'attività che lavora sull'impalcatura della narrazione quanto su quella mentale: vedere e ricordare Communia come la stanza "ad orologeria" della giovane Alice, vale molto di più del semplice immaginare o ipotizzare una tale visione. Lo stesso vale per gli oggetti di artigianato steampunk che Davide del Progetto Steam ha realizzato e scelto per lo spettacolo. Essi sono veri e propri "artefatti cognitivi", oggetti materiali che incarnano indizi scatenanti pratiche e idee divergenti. Non si tratta di arzigogoli scenografici: i manufatti di Davide funzionano e sono unici. Se apri la chassis del telefono, scopri un ingresso audio compatibile per lettori mp3, così come, se guardi da vicino l'avambraccio meccanico di Alice, avverti il ticchettìo dell'orologio, il crocchìo degli ingranaggi.

Tutto questo serve a mostrare e incrociare mondi molteplici, caricare e accumulare resistenze in vista della scena e oltre. Il "teatro resistente di Alice", prolessi del saggio che ci ha dedicato Giuseppe Sofo, analizza questo tipo di conflittualità che critica i modi di produzione, i paradigmi della direzione artistica, i modelli spettatoriali e i limiti psico-culturali dell'oggetto-spettacolo, piuttosto che insistere sul presunto contenuto "socio-politico" della trama. Con L come Alice ci si autoproduce collaborando con altri autoproduttori, non per chiudersi ma per estendere il virus; il rapporto regista/attrice è portato volutamente all'estremo affinché generi una sovversione dello stesso; gli spettatori e le spettatrici vivono miratamente un'esperienza che mischia cinema delle origini (dove le proiezioni erano alternate a spettacoli di vaudeville, intermezzi musicali, presentazioni) e fantasmagoria (retroproiezione di "fantasmi" all'interno di un ambiente semi-illuminato, risalente alla fine del XVIII sec.); ed infine L mette in discussione il feticcio dell'oggetto-spettacolo come momento conchiuso in un'oretta di convivialità silenziosa e "gazzetteria rusticana" nell'arco di tempo atto a consumare una pizza.

Sì, lo spettacolo è anche quello, ma se non coinvolge la partecipazione dello spettatore prima e dopo la mise-en-scene, è destinato a divenire solamente un rito di passeggio. Per questo disponiamo intorno alla scena, sul web, nei luoghi, tutta una serie di briciole di pane per orientare questa passeggiata prima, dopo e durante lo spettacolo. Un esempio è la nostra valigia a doppia sacca, una bacheca di contributi plurimediali in continuo aggiornamento. Ma questo non è sufficiente, perché si tratta ancora di una una strada ferrata, mentre ci piacerebbe imbatterci in sentieri nascosti, caverne inesplorate, belvedere aggettanti sull'oceano che voi stessi potreste aver scoperto a nostra insaputa.

Quindi vi offriamo un bloody mary virtuale: immaginando il retrogusto di vodka farsi strada tra il pomodoro speziato, qui potete fare domande, confrontare versioni e ricostruire la storia della serata in cui vi siete sborniati di L.

Smaltire l'hangover in compagnia, non è parte della festa?
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