Referendum in Catalogna: lo Stato penale, le libertà e la democrazia

Thu, 21/09/2017 - 19:41
di
Jaime Pastor*

Siamo entrati nella parte finale della prova di forza intorno alla celebrazione del referendum convocato dal parlamento catalano per il prossimo 1 ottobre e nessuno è in grado di prevedere lo scenario che si profila per quel giorno, ma lo scontro sulla legittimità e sulla legalità di quel momento è inevitabile.
Da una parte troviamo il blocco di forze disposte a tenere il referendum e a votare SI in favore della Repubblica Catalana, soprattutto dopo la recente e chiara affermazione di tale volontà in occasione della Diada [Festa nazionale Catalana dell’11 settembre Ndt] e l’adesione, sia pure in forma di ambigua dichiarazione di “mobilitazione”, da parte di Cataluya en Comù.
A tale legittima aspirazione, confermata da alcuni recenti sondaggi (come quello pubblicato da eldiario.es che registra una percentuale del 60% degli intervistati favorevoli alla partecipazione al referendum), si aggiungono la grande manifestazione di Bilbao del 16 settembre (convocata in seguito all’interruzione da parte della Polizia locale, su ordine del Tribunale di Vitoria-Gasteiz, di una conferenza in appoggio dell’1-O), la partecipatissima iniziativa solidale tenutasi a Madrid il giorno 17 (grazie alla gratuita pubblicità di un giudice che aveva proibito di tenere l’iniziativa all’interno di una sala comunale), il dibattito e la manifestazione organizzati a Xixon e le numerose e svariate altre iniziative che aumentano di giorno in giorno in tutto lo Stato spagnolo.
Parliamo dunque di uno schieramento che si amplia progressivamente, grazie alla partecipazione crescente, evidenziando che la posta in gioco non è solo il referendum del 1-O, ma la difesa delle libertà e della democrazia in tutto lo Stato, di fronte alla svolta autoritaria del Governo.

Dall’altra parte si trova quell’intreccio di poteri economici e del “tripartito” [Partido Popular, Ciudadanos e PSOE Ndt] di regime, appoggiati dal potere giudiziario, mediatico e intellettuale [si riferisce al manifesto di persone di sinistra contro il referendum Ndt]. Un “serrate le fila” in piena regola costruito attorno all’aberrante concetto secondo cui, come sostiene Rajoy, “ciò che non è legale non è democratico”, con il proposito di sfoderare tutto l’arsenale legislativo, penale e poliziesco per impedire la celebrazione della consultazione. Si tratta di uno schieramento indubbiamente potentissimo, ma capeggiato dal partito più corrotto e servile dinnanzi al potere finanziario (basti citare lo scandalo dei 40 miliardi di euro “persi” per il salvataggio delle banche) e ai diktat della UE, che nelle prossime settimane, al di là della vicenda catalana, rischia seriamente di perdere consensi di fronte all’opinione pubblica.
Tale spiegamento di forze sta già attuando nella pratica, con perquisizioni di stamperie e di sedi di mezzi di comunicazione, la confisca di cartelloni elettorali, la proibizione di iniziative, la decisione del Procuratore Generale dello Stato di indagare oltre 700 sindaci favorevoli alla celebrazione del referendum e soprattutto il “controllo” diretto della spesa della Generalitat da parte del ministro dell’economia Montoro. Di fatto si è instaurato uno stato d’eccezione, che presuppone una pratica di violazione delle libertà, dei diritti e delle competenze delle Autonomie, come non si era mai visto dal 1978 ad oggi.

Non può quindi sorprendere che a molti di noi, questi giorni ricordino le pratiche repressive che subimmo nella nostra lotta contro la dittatura franchista. Le minacce esibite da Rajoy a Barcellona (“ci stanno obbligando ad arrivare dove non vogliamo”) confermano, inoltre, una volta incassato definitivamente il vergognoso beneplacito di Pedro Sanchez**, che lo Stato non rinuncerà a procedere nell’applicazione dell’art. 155 della Costituzione [riconosce al Governo potere di adottare “le misure necessarie” qualora una Comunità Autonoma non adempia agli obblighi imposti dalla Costituzione Ndt] né, se necessario, ad andare oltre per impedire che si ripeta un nuovo e più grande 9-N 2014 [il 9 novembre 2014 dopo varie vicende politiche e giudiziarie si tenne un referendum consultivo sull’indipendenza Ndt].

Cento anni dopo, esiste una “terza via”?

La portata storica di questo scontro ed il bivio che si presenta davanti a noi, fanno presagire che qualunque sia lo scenario del prossimo 1 ottobre, il giorno dopo si aprirà una nuova fase della crisi del regime e dello Stato, ben al di là della questione del modello delle autonomie, già in crisi da tempo.
In tale contesto, la recente proposta di Unidos Podemos-En Comù Podem-En Marea di convocare un’assemblea straordinaria*** composta da parlamentari regionali, statali ed europei, nonché da consiglieri comunali di comuni con più di 50.000 abitanti, che esorti il governo di Rajoy a dialogare con la Generalitat e a trovare “soluzioni politiche democratiche”, come ad esempio un referendum concordato tra le parti, appare come un’iniziativa tardiva, per quanto ci si auguri che possa effettivamente realizzarsi prima della scadenza del 1 ottobre e possa costituire un freno nei confronti di Rajoy e dei suoi. Sembra chiaro che il PSOE sarà assente e che il Partito Popolare e Ciudadanos non sono disposti ad ascoltare nulla di quanto potrà uscire da tale incontro.
Tale iniziativa, come già sottolineato da alcuni, ricorda la “ribellione costituente” dell’assemblea dei parlamentari, celebrata il 19 luglio 1917 nel palazzo del Governatore nel Parco della Ciudadela di Barcellona. Nell’occasione 55 deputati e 13 senatori (di cui 46 catalani), prima di essere arrestati, nell’intento di realizzare “una profonda rinnovazione della vita pubblica spagnola”, proposero nuove elezioni ed un’assemblea costituente convocata da un governo che non fosse al servizio dell’alternanza bipartitica di allora e che incarnasse e rappresentasse la volontà sovrana del paese. Nonostante l’insuccesso, Cambò, leader di un catalanismo conservatore e autonomista, scese a patti con la Corona – così come poi fece con Franco – e uno dei membri del suo partito, la Lliga Regionalista, entrò nel nuovo governo del regime della Restaurazione.
Il secolo trascorso da quei fatti, non è passato invano. Ora, esauritasi l’esperienza regionalista e frustrata la via federalista dell’Estatut, il soggetto che reclama il diritto a decidere se separarsi o meno dallo Stato spagnolo, il cui sistema di alternanza è entrato in crisi, è un movimento sovranista e in maggior parte indipendentista. Il sistema quindi non può più contare, come nei decenni passati, su un leader come fu Cambò e come in un certo senso fu il corrotto Jordi Pujol, per garantire la governabilità con il bipartitismo. Oggi perfino un PDeCat [Partito Democratico Europeo Catalano di estrazione liberale Ndt] in declino è a favore dell’indipendenza e non si accontenterebbe di un “patto di natura fiscale” o di promesse federaliste fatte da un sistema che non è nemmeno disposto a riformare una Costituzione che ha perso totalmente la sua legittimità in Catalunya, a fronte della sentenza della Corte Costituzionale sull’Estatut.

La situazione attuale di crescente polarizzazione non sembra lasciare margini per una “terza via”, per lo meno non prima del momento della verità: il referendum del 1 ottobre. Ci troviamo dunque di fronte a due posizioni contrapposte: una è quella del fondamentalismo costituzionale di giudici come il noto neofranchista Josè Yusty Basterreche che ha proibito lo svolgimento dell’iniziativa a Madrid o come il Procuratore Generale dello Stato, Jose Maza, che non esitano ad applicare la legge alla lettera, in nome dell’ ”unità della Spagna”.
L’altra è quella del “diritto a decidere”, un principio che perfino i detrattori del referendum riconoscono essere egemone in Catalunya. Vale la pena ricordare come la stessa Corte Costituzionale che ora ha sospeso la Legge referendaria del Parlament catalano, abbia stabilito nella sua sentenza del 25 marzo 2014, che tale diritto a decidere costituisce “una aspirazione politica suscettibile di essere difesa nel quadro generale della Costituzione” e che potrebbe servire per affrontare i problemi “derivanti dalla volontà di una parte dello Stato di modificare il suo status giuridico”.
Cosa hanno fatto da allora il PP ed il PSOE per sfruttare questa opportunità e raggiungere un accordo con la maggioranza del Parlamento catalano? Niente! E la cosa peggiore è che continuano ad essere indisponibili a ricercare una via legale per un referendum concordato tra le parti. Perciò, di fronte a questa porta chiusa e alla luce della giurisprudenza internazionale in casi simili, il referendum del 1-O ha tutta la legittimità necessaria per essere celebrato. Il riconoscimento internazionale del suo risultato dipenderà dal grado di partecipazione che si registrerà quel giorno e che indubbiamente costituisce la sfida principale, considerati anche gli ostacoli e le trappole poste dallo Stato.

Un diritto a decidere, dunque, che come abbiamo potuto ascoltare durante l’iniziativa del 17 settembre a Madrid, per bocca di numerose forze favorevoli al referendum, può essere esteso a tutte le questioni che attengono alla vita ed al futuro dei cittadini. Non solo la proclamazione di una Repubblica. Un diritto, insomma, il cui esercizio esprime la volontà di diventare popolo sovrano non solo nei confronti dello Stato spagnolo, ma anche dinnanzi alla UE della Merkel e Macron e all’oligarchia finanziaria.

Al di là delle riserve circa il percorso avviato dalla maggioranza del Parlamento o delle insufficienti garanzie su cui può poggiare la celebrazione del referendum, alla luce degli ostacoli posti dal Governo, qualcuno può forse dubitare che in caso di vittoria di Rajoy, del tripartitismo e del blocco di potere che li appoggia, assisteremo ad una regressione autoritaria ed ultracentralista, diretta contro tutti i popoli dello Stato e che diventerebbe molto più facile lo smantellamento definitivo delle nostre libertà e dei diritti sociali? Al contrario, un passo in avanti della disobbedienza sociale e istituzionale contro lo Stato, a partire dalla Catalunya, certamente aprirebbe la strada verso una diffusa contestazione non solo di questo governo, ma dell’intero sistema.

Perciò non c’è margine per defilarsi o dire, come sostiene un settore della sinistra spagnola, che il conflitto non ci riguarda. Perché la sconfitta di chi vuole esercitare il diritto al voto il 1-O, sarebbe una nostra sconfitta. Meglio quindi cantare come a Bilbao e a Madrid durante le manifestazioni di appoggio alla mobilitazione referendaria: “Si jol’estirofort per aquí/ i tu l’estiresfort per allà/segur que tomba, tomba, tomba/ ben corcada deu ser ja”****.

*Jaime Pastor è professore di Scienze Politiche presso la UNED ed editorialista di Viento Sur. Fonte articolo: http://vientosur.info/spip.php?article13016

** Pare evidente che il rieletto Pedro Sanchez (segretario generale del PSOE Ndt) sia stia dimostrando ben distante dalla promessa fatta di rappresentare un’alternativa a Rajoy, nella risoluzione democratica della questione catalana.

*** Dovrebbe tenersi domenica 24 a Zaragoza, ma il presidente socialista del Consiglio Comunale di Saragozza ha già dichiarato che intende impedire un’iniziativa anticostituzionale Ndt

**** L’Estaca: la canzone più famosa del cantautore catalano Lluís Llach, composta nel 1968. Uno dei simboli della resistenza al franchismo. Il fascismo viene visto come un palo a cui tutti siamo incatenati ma che, se tiriamo forte, tutti insieme, riusciremo a far cadere.

TRADUZIONE Marco Pettenella