Porteous, da prigione a centro sociale autogestito: a Ginevra i movimenti si riprendono la città

Wed, 05/09/2018 - 19:02
di
Simone Ranocchiari

Una zattera XXL, così i giornali hanno definito l’imbarcazione che è servita da “cavallo di troia” per l’occupazione del Porteous, spettacolare edificio sospeso sul Rodano, a pochi chilometri dal centro di Ginevra. Prima di tutto però, bisogna fare un passo indietro.

Tutto comincia il 25 agosto, con la ventesima edizione della corsa delle zattere degli squat di Ginevra. Niente è autorizzato, ma giornalisti e polizia sono già piazzati da un pezzo sulle banchine quando un diversi gruppi di persone cominciano ad assemblare il propri vascelli. Almeno una decina le zattere che si sono lanciate nell’impresa di percorrere questo tratto di fiume, solitamente percorso da decine di ginevrini su gommoni gonfiabili e kayak. Una di queste cola a picco a pochi metri dalla banchina, mentre la più grande – con la sua spettacolare torre alta 4 metri e un pianoforte sulla prua – naviga senza problemi, grazie anche alle ruote ad acqua che permettono di dirigerla abbastanza agevolmente. La corsa, nonostante non faccia affatto caldo e cada anzi anche qualche goccia di pioggia, è esilarante: una zattera altalena, una composta da un enorme tappeto elastico fissato su dei barili di plastica, una in forma di sauna e ancora un’altra con dei palloncini argentati che compongono un eloquente “ACAB” navigano imperterrite lungo il fiume, mentre la gente nuota da un’imbarcazione all’altra. La corsa termina accanto al centro nautico cittadino, a vedersi da fuori abbandonato da tempo. Nello spiazzo circostante, una festicciola con birre e cibo a prezzo libero accoglie i “pirati” infreddoliti.

Dopo una rapida consultazione fra gli alberi accanto alla festa si decide di intraprendere il piano iniziale, nonostante le voci che dicono che la polizia sia già al corrente dell’idea di occupare quell’edificio abbandonato situato a circa 300 metri più in là, lungo il fiume. Una piccola équipe fa irruzione nell’edificio: lo spettacolo è impressionante, un’enorme vetrata riempita di decine di tag raccoglie uno spazio industriale fatto di doppie altezze ed incredibili fori circolari ed ottagonali. L’edificio è enorme. Nelle varie stanze sono tanti gli indizi che indicano che non è la prima volta che qualcuno esplora questa cattedrale della tecnica vecchia ormai più di mezzo secolo. Diverse occupazioni effimere vi hanno avuto luogo, di cui probabilmente un rave abbastanza recente.
Rapidamente il gruppetto si mette a pulire il pavimento ricoperto da vetri rotti e guano di piccione. Una volta ricevuto il via libera intanto, la zattera XXL riprende la navigazione per quelle poche centinaia di metri che separano la festa di arrivo della corsa dal Porteous, carica del materiale necessario per rendere vivibile questa architettura abbandonata nella speranza che barricarsi lì dentro possa essere la prima tappa verso la costruzione di un progetto collettivo come non se ne vedevano da anni questo angolo d’Europa: un centro socio-culturale autogestito.

Prenons la ville: i movimenti urbani escono dal silenzio

Per capire questa storia bisogna però fare ancora un passo indietro, quando a partire dalla minaccia di sgombero di Malagnou, uno dei pochi edifici ancora occupati di Ginevra, gli/le attivisti/e hanno deciso di uscire da una logica difensiva e lanciarsi in un percorso cittadino largo e rivendicativo, capace di incidere ben oltre le loro iniziali necessità. Difendere quelle quattro mura non era abbastanza, soprattutto dopo vent’anni di politiche repressive – possibili anche grazie al “tradimento” della sinistra moderata – volte a “ripulire” quella che era stata una delle capitali europee dell’occupazione e dell’autogestione. Dopo aver cercato il sostegno di attori sociali e politici spesso molto lontani dalle cerchie con cui erano abituati a confrontarsi, il movimento Prenons la ville (Prendiamo la città) si è lanciato in diverse manifestazioni che hanno invaso la città, concludendosi quasi sempre con delle occupazioni effimere [1].

Alla fine della manifestazione del 17 marzo 2018 ad esempio, un edificio del centro città, abbandonato da più di vent’anni, è stato occupato collettivamente, mentre tutto intorno il quartiere è stato protetto da barricate improvvisate, per permettere ai manifestanti di godere di un pezzo di città liberata, anche se provvisoriamente, alle logiche della finanza che forse più qui che altrove asserviscono i nostri luoghi di vita alle necessità del mercato. Le epurazioni degli ultimi anni a Ginevra non hanno riguardato solo gli squat ma si è trattato di un'operazione sistematica pensata per rendere il centro città uno spazio disponibile per le sedi di organizzazioni internazionali e grandi multinazionali. Un progetto che per di più è stato largamente sovradimensionato visto che gran parte degli uffici ricavati da queste politiche urbane sono oggi vuoti, se non mai utilizzati. Questo il contesto in cui si è sviluppato il movimento da cui è partita l’idea di intraprendere questa grande avventura e lanciarsi nell’occupazione di Porteous, una stazione di depurazione unica nel suo genere, sia per le tecniche utilizzate che per l’architettura, destinata a diventare, secondo i progetti del cantone, un centro di reinserimento per detenuti.

L’occupazione: fra incertezza, sostegno e progettualità

Vivere in una vecchia stazione di depurazione delle acque reflue non è facile. Eppure, nonostante i primi giorni siano stati abbastanza duri, gli/le occupanti sono riusciti/e ad organizzarsi rapidamente. Uno sleeping (dormitorio, con una parte non mista) accoglie da ormai una settimana gli/le attivisti/e a guardia del luogo, mentre la prima cucina improvvisata è stata rapidamente rimpiazzata da un bar-cucina autocostruito ad arte al di sotto dell’edificio, a pochi centimetri dall’acqua del fiume (utilizzata per lavare i piatti tramite un ingegnoso sistema). È questa parte del complesso, composta dallo spazio aperto situato sotto l’aggetto della costruzione, da un sala che vi si affaccia e dallo spiazzo circostante, che per ora serve da “spazio pubblico” per le attività che sono state organizzate, essendo la parte superiore ancora poco accessibile a causa delle barricate. In effetti, solo uno stretto passaggio permette agli occupanti e ai visitatori più curiosi di entrare all’interno. Tavoli e divani arredano questo spazio liberato, raccolti grazie alle tante donazioni ricevute a seguito dell’appello pubblicato dagli/dalle abitanti.

La gestione del posto ruota attorno alla riunione quotidiana del collettivo di occupazione: uno spazio di discussione in cui si definiscono insieme le necessità e la modalità per prendersi cura del posto, oltre ovviamente a come difenderlo da un eventuale sgombero, possibilità purtroppo per il momento tutt’altro che remota dato che il Cantone ha sporto denuncia contro gli/le occupanti.

Nonostante questa azione legale però qualcosa sembra muoversi nel senso giusto, come ci si rende conto leggendo i numerosi articoli di giornale e i servizi televisivi e radiofonici che sembrano presentare di buon occhio l’azione di Prenons la ville [2]. I progetti del cantone rispetto a questo posto giocano probabilmente a favore degli/delle occupanti. In effetti, come abbiamo detto, il progetto dello Stato di Ginevra (il cantone) è di rendere questo complesso, inaugurato nel 1967 e abbandonato dalla metà degli anni 90, un centro di reinserimento per detenuti. Una destinazione che non piace né al comune di Ginevra né al comune periferico sui cui è situato, Vernier, che ospita fra l’altro uno dei complessi residenziali più impressionanti della svizzera francofona, molto simile alle architetture delle banlieues francesi. “Costruiamo un mondo senza prigioni” recita lo striscione affisso pochi minuti dopo l’occupazione: un’idea che non dispiace neanche ai joggers e ai naviganti che, numerosissimi, si fermano a complimentarsi con gli/le occupanti (non è raro che qualcuno dal suo paddle o kayak gridi “bravi!” fra un colpo di remo e l’altro).

Inoltre, nonostante la denuncia sporta dal cantone, i due comuni già menzionati hanno espresso il loro sostegno, se non all’occupazione nello specifico, all’idea che quel posto debba diventare uno spazio culturale, creando così un conflitto istituzionale che gioca certamente a favore del movimento che si è riappropriato dell’edificio. Anche diversi lavoratori della nuova stazione di depurazione – situata qualche metro più indietro – hanno simpatizzato con il collettivo, senza parlare dei conducenti del barcone che più volte al giorno porta la spazzatura dal centro città alla discarica situata a valle dell’occupazione, i quali diverse volte hanno suonato il clacson o si sono avvicinati all’edificio per parlare con gli/le occupanti. Un accortezza che gli/le occupanti hanno ricambiato con applausi e anche con un paio di bottiglie di vino.
Il primo week-end di settembre, il complesso è stato preso d’assalto da decine di visitatori, nell’ambito delle giornate europee del patrimonio. Se il cantone ha vietato formalmente che le visite passassero all’interno dell’area occupata, tanti sono stati i partecipanti che hanno accettato l’invito degli/delle attivisti/e a fermarsi per discutere attorno ad un caffè. Molti sono saliti anche a visitare l’interno, sostenendo l’iniziativa con donazioni e incoraggiamenti (“buona fortuna!” o “continuate così” sono frasi che hanno scandito quella giornata).

Verso uno spazio autogestito aperto alla città

Nell’idea degli/delle occupanti però, coinvolgere l’esterno vuol dire ben di più che aprire le porte ai visitatori curiosi. Anche se le forme di questo coinvolgimento sono per ora tutt’altro che chiare.
Un’assemblea pubblica è stata organizzata fin da subito, attirando moltissime persone, singole o associate in collettivi. Inoltre sono stati diversi i contatti con il vicinato (che dà man forte in cucina o ancora nella fornitura d’acqua potabile). A una settimana dall’occupazione una seconda assemblea pubblica ha radunato più di una sessantina di persone di tutte le età. Se investire da subito l’insieme dell’edificio è quasi impossibile (lo stato in cui versano molti degli spazi e la loro dimensione richiede un investimento a lungo termine) sono tante le proposte che stanno emergendo in questi giorni: una sala polivalente, una biblioteca, un bar, una sala di arrampicata, un cinema, degli atelier e persino un piano bar acquatico per accogliere i naviganti.

La discussione che è stata organizzata con un militante francese e uno italiano sulle esperienze di autogestione a confronto tra questi due paesi è un altro segno di quanto il collettivo voglia costruire qualcosa di nuovo, ispirandosi ad esperienze diverse dagli squat in quanto luoghi sovversivi ma spesso chiusi in se stessi, come spesso è il caso in questa parte d’Europa, pensando invece a costruire uno spazio che possa essere il più aperto possibile all’esterno ma senza rinunciare alla dimensione politica e rivendicativa insita nel DNA del movimento. Nell’incertezza qualcosa sembra chiaro: non si vogliono riprodurre quelle forme di compromesso con cui le forze politiche progressiste in passato hanno cercato di ammortizzare la repressione dei movimenti di occupazione e autogestione. [3]

Se un accordo su un nome definitivo non è ancora stato raggiunto, scherzosamente si è detto di chiamarlo, almeno informalmente, “edificio 1”, lasciando intendere che l’epoca di una Ginevra “disciplinata” è volta al termine, e che questa occupazione altro non è che un primo grande passo verso una rivoluzione cittadina.

Note

[1] http://www.lemanbleu.ch/fr/News/Un-immeuble-pres-de-l-Usine-occupe-par-d...

[2] http://www.lemanbleu.ch/fr/News/Un-squat-au-fil-de-l-eau.html ; https://www.rts.ch/play/tv/12h45/video/porteous-ancienne-station-depurat...

[3] Forme di compromesso tipiche dell’epoca post-squat possono essere gli edifici assegnati a gruppi di associazioni: una soluzione che permette certo di mantenere una certa autonomia ma che priva molto spesso queste esperienze del loro potenziale sovversivo o più generalmente politico.

Photo Credits: Hugo Dreneau