Palestina: la Grande Marcia del Ritorno può rafforzare il movimento per un’unico stato

Mon, 11/06/2018 - 10:49
di
Awad Abdel Fattah*

È ancora prematuro predire il destino della Grande Marcia del Ritorno ideata da un gruppo di attivisti, per lo più giovani, che con gran successo sono riusciti a coinvolgere l’intero panorama politico della Striscia di Gaza in un movimento di resistenza civile nonviolenta. La marcia è vista da molti come un passo avanti straordinario ed eccezionale che, se sostenuto, potrebbe dischiudere un nuovo orizzonte politico e strategico, permettendo ai Palestinesi - e agli Israeliani che si oppongono all’oppressiva apartheid di Israele - di lanciare un seria campagna che rivendichi una visione ed un percorso di lotta alternativi.

Sono due gli aspetti che rendono così innovativa questa sorprendente mobilitazione attorno al muro dell’apartheid di Gaza. Il primo è l’insorgere di giovani avanguardie, che ha spinto l’intero scenario politico palestinese ad impegnarsi pienamente in questa causa civile. Per oltre un anno, ho letto gli scritti di uno dei giovani leader del movimento, Ahmad Abu Rtema, e anche lui ha letto i miei. Abbiamo conversato più volte, prima che, assieme ai suoi compagni, contribuisse a realizzare l’idea della marcia. Era chiaro che Ahmad rappresentasse un modo di pensare nuovo e creativo tra i giovani della sua generazione, e che fosse affamato di conoscenza. A colpirmi fu anche la sua posizione civile nei confronti degli israeliani: l’idea di uno stato democratico unico nell’area della Palestina storica - in cui arabi palestinesi, inclusi i rifugiati, ed ebrei israeliani possano convivere con eguali diritti - è parte integrante delle sue convinzioni politiche.

Il secondo è l’appoggio di Hamas e di altre fazioni di Gaza alla Marcia del Ritorno. Questo indica un cambiamento nelle scelte politiche di queste organizzazioni, che potrebbe diffondersi nella società palestinese e nel resto del mondo. L’appoggio immediato di Hamas alla Marcia è in parte dettato dalle gravi crisi umanitarie e politiche che affliggono il movimento e l’intera popolazione di Gaza. Queste includono le crescenti tensioni interne e le pressioni esterne aggravate dall’implacabile aggressione israeliana, l’antagonismo dei governi occidentali e dei regimi arabi, e le ultime sanzioni imposte dal presidente dell’Autorità Palestinese Mahmoud Abbas, che hanno aggiunto al danno la beffa. C’è da dire che negli ultimi anni Hamas ha tentato, senza riscuotere molto successo, di riformare il suo programma e il suo discorso politico per renderlo più accettabile agli occhi della comunità internazionale, ed ha appoggiato in più occasioni la lotta popolare. Il sostegno del movimento alla Marcia del Ritorno fa parte di questa nuova strategia. Chi invece ha più interesse ad impedire questo cambiamento è Israele che continua a raffigurare Hamas come un’organizzazione terroristica, ed Abbas come colui che si oppone ai negoziati. L’esecuzione di manifestanti palestinesi lungo il muro di Gaza riflette in parte la frustrazione di Israele nei confronti di questo tipo di lotta, perché non può gestirne il carattere morale e nonviolento. La prova sta nell’ammissione stessa da parte di Israele di aver perso nelle ultime settimane la guerra mediatica su Gaza.

Dato che Israele non ha intenzione di cominciare una quarta guerra con Hamas, soprattutto vista la situazione sul confine settentrionale con la Siria, potrebbe decidere di mettere a tacere la resistenza civile a Gaza attraverso un accordo che allevierebbe temporaneamente la crisi umanitaria, senza offrire però alcun cambiamento politico o strutturale. Le notizie relative ai tentativi di Israele di raggiungere questo accordo temporaneo preoccupano gli organizzatori della marcia, perché questo potrebbe minare obiettivi politico-strategici più importanti, come la piena rimozione del blocco di Gaza e la crescente spinta per il diritto al ritorno dei palestinesi.

Due segnali di speranza

Nonostante queste difficoltà negli ultimi anni sono emersi due elementi che offrono importanti segnali di speranza. Il primo è il crescente numero di palestinesi e di sostenitori non appartenenti alle tradizionali fazioni contrapposte che, come Ahmad, rivendicano un unico stato democratico nell’area della Palestina storica, come alternativa alla partizione, all’apartheid ed al colonialismo. Queste voci includono importanti intellettuali, accademici, attivisti ed organizzazioni, sia palestinesi che ebraico-israeliani.

Il secondo consiste nella ripresa della lotta popolare palestinese e nella crescente convinzione tra i palestinesi che questo tipo di resistenza debba essere ampiamente promossa e divenire una priorità per tutte le fazioni ed i movimenti. Nonostante la resistenza popolare e la disobbedienza civile siano sempre state parte integrante della lotta palestinese (e si siano sempre scontrate con la repressione dell’esercito israeliano), negli ultimi sei anni i palestinesi a Gerusalemme e nei villaggi vicini, così come in altre aree della Cisgiordania, hanno assistito ad una serie di “intifada” piccole ma degne di nota. La più interessante è stata l’intifada di 11 giorni contro l’installazione di metal detectors nel Haram al-Sharif (Spianata delle Moschee) che ha raggiunto il suo obiettivo specifico, ossia la rimozione dei dispositivi elettronici dall’area.

Come dovremmo interpretare e reagire a questi due sviluppi promettenti? Credo che la sfida sia connetterli e servirsene come stimolo ed ispirazione per costruire una co-resistenza sostenibile, guidata da una visione comune: un’alternativa unitaria e democratica al presente regime di apartheid. Visto il fallimento della soluzione dei due stati - che secondo me è una proposta ingiusta e razzista - ci troviamo in una fase storica in cui sia la visione di un futuro alternativo che i mezzi per realizzarlo sono diventati immuni a calunnia e diffamazioni, ed efficaci nel mobilitare l’opinione pubblica grazie alla loro moralità e di inclusività.

Come e da dove cominciamo?

Anche se Israele dovesse riuscire a reprimere la Marcia del Ritorno, o se altri stati o partiti dovessero riuscire a bloccare i suoi obiettivi strategici, la resistenza popolare dovrebbe continuare ad essere adottata come principale strategia di resistenza - non solo a Gaza, ma anche a Gerusalemme, in Cisgiordania, nei campi profughi nei paesi arabi e in Israele. Affinché questo obiettivo si possa concretizzare è necessaria una strategia di lotta dal basso, chiara e ben pianificata, composta da diverse fasi.

La scelta da parte di tutte le fazioni palestinesi di abbracciare la resistenza nonviolenta nello stile della Prima Intifada offre inoltre occasioni non solo ai palestinesi per partecipare tutti alla lotta, ma anche agli israeliani che si battono contro l’apartheid.

A inizio anno, circa 20 palestinesi ed israeliani si sono incontrati a Haifa ed hanno deciso dar vita alla campagna "One Democratic State Campaign" (ODSc). Il numero dei sostenitori - intellettuali, accademici, attivisti ed altri - che finora hanno aderito ha, in breve tempo, superato ampiamente le nostre aspettative, segno che i tempi per questo tipo di iniziativa sono maturi. La nostra missione è agire in modo organizzato per creare una coscienza politica alternativa che contempli l’obbligo morale di lottare contro ingiustizie, colonizzazione, divisioni razziste, e tutte le forme di oppressione.

Questo movimento può nascere dai palestinesi e dagli israeliani progressisti all’interno della Linea Verde, che fanno rete e si coordinano con gruppi di interesse nei territori occupati e nella diaspora. Tuttavia, per vincere questa battaglia collettiva, è necessario che questa coalizione progressista si trasformi in un movimento popolare di massa con ampio consenso pubblico.

Il percorso verso la liberazione, la libertà, l’eguaglianza e la giustizia sociale è lungo - e non è di certo semplice. Ma crediamo che sia l’unico percorso possibile per promuovere la vita, anziché più morte e distruzione.

Awad Abdel Fattah è un’ex-leader del partito Balad e co-fondatore della campagna “One Democratic State Campaign” (ODSc).

*Fonte articolo: https://972mag.com/how-gazas-return-march-can-elevate-the-one-state-move...
Traduzione a cura di Antonella Claire Vitiello.