Niente di nuovo sul fronte greco

Tue, 17/05/2016 - 21:46
di
Marco Bertorello

Nelle ultime settimane sembra di essere tornati a vedere un film già visto, quello che ha come protagonista principale la Grecia, genere drammatico.
Non è passato neppure un anno dall'ultimo accordo capestro imposto al paese ellenico per accettare una nuova tranche di “aiuti” da 86 miliardi di euro che ritorna la solita trama. Austerità, provvedimenti anti-popolari, scioperi, pericolo di insolvenza per lo Stato.

Il copione è sempre lo stesso a cambiare sono parzialmente gli attori in scena. Il popolo, il mondo del lavoro, sembra essere tornato protagonista. Si potrebbe dire in maniera straordinaria. Come da un po' di anni ci hanno abituato i greci. L'ultimo passaggio della scorsa estate avrebbe tagliato le gambe a tanti. Una nuova forza politica, Syriza, che si annunciava di rottura dopo aver vinto le elezioni ingaggiava un corpo a corpo con le elites continentali, scontrandosi con l'inamovibile Germania. Un referendum vinto al 62% indicava la strada del rifiuto di nuovi accordi capestro e della resistenza. Syriza non ce la faceva, capitolava. Nuovo Memorandum, pesante come i precedenti, ma con un aggravante ulteriore, in quanto i vincitori non fidandosi più pretendevano un Fondo a garanzia della messa in opera delle controriforme richieste. Nuove elezioni a fine estate con il crollo della partecipazione davano nuovamente mandato a Syriza di governare, la costola nata da una rottura alla sua sinistra non entrava neppure in parlamento. Demoralizzazione, primi scioperi minoritari e basati sulla disperazione della volontà.

Dopo questa potente dose di anestetico incomincia a farsi più chiaro ciò che implica l'ennesimo Memorandum. Principalmente ulteriore riduzione delle pensioni e aumento delle tasse. Dopo quella che è stata definita in questi anni l'emergenza sociale greca e persino la crisi umanitaria fatta di ritorno alla malnutrizione e alla carenza di cure elementari, torna a piovere sul bagnato. A febbraio ricominciano gli scioperi generali contro le nuove politiche di austerità in via di approvazione in forza degli accordi presi lo scorso luglio. Scioperano i dipendenti pubblici, gli agricoltori, il comparto privato, gli addetti ai trasporti. Le adesioni crescono. Città nuovamente paralizzate. In Europa tornano le fibrillazioni con un occhio agli spread e alle claudicanti banche continentali. Siamo ai tempi del quantitative easing, ma la prudenza non è mai troppa.

Perché l'orologio in Grecia sembra aver messo le lancette indietro? Come mai dell'«austerità espansiva» si vede solo il primo dei due fattori? Perché la Grecia non cresce? Eppure su questa possibilità faceva leva lo stesso Tsipras: gli ultimi aiuti, concordati dal suo governo, avrebbero dovuto consentire un pacchetto di provvedimenti per far ripartire l'economia ellenica. Eppure si teme nuovamente il default della Grecia, emergono distinguo, se non addirittura divergenze, tra i creditori, il Fmi ribadisce nuovamente che il debito pubblico è insostenibile e che tutte le controriforme che tutti i creditori stanno chiedendo non danno i risultati sperati a causa di questo macigno.

Su Lavoce.info, invece, l'economista Nicola Borri in questi giorni ha scritto che il problema non è il debito, che i tassi d'interesse concessi dai creditori sono irrisori, e che anche se venisse annullato o rimandato il pagamento, i problemi strutturali della Grecia le impedirebbero di ripartire e conclude che «i responsabili della situazione drammatica della Grecia non sono i creditori internazionali, ma i tanti governi nazionali che si sono alternati negli ultimi anni, gli interessi corporativi e, quindi, alla fine gli stessi cittadini greci». Quindi considerato che i cosiddetti compiti a casa i greci in questi anni li hanno fatti (riduzioni drastiche di salari e pensioni, destrutturazione del Welfare, privatizzazioni, ecc.), ma non abbastanza, è sempre colpa loro che in qualche modo provano a difendere quel poco che gli resta. Il debito e le difficoltà economiche continuano a cresce solo perché non si è ancora distrutto quel che resta dello Stato sociale di questo paese.

Meno male che a scaricare la coscienza dei greci arriva la Scuola Europea di Tecnologia e Managment di Berlino (presumibilmente imparziale) che certifica come di tutti gli aiuti della Troika giunti in Grecia sia rimasto solo il 5% degli stanziamenti per i cittadini. Il resto è ripartito per salvare le banche europee, soprattutto francesi e tedesche, ricapitalizzare le banche locali e saldare alcuni arretrati dello Stato. Questa tendenza a non centrare le tasche dei cittadini greci è confermata, o meglio si aggrava, con l'ultimo aiuto, quello concordato con Syriza. La scuola di Berlino, infatti, sostiene che degli 86 miliardi stanziati, nelle casse del governo rimarranno solo 300 milioni. Quasi 60 miliardi, infatti torneranno alla Troika per rimborsare i debiti passati e 25 saranno utilizzati nuovamente per puntellare gli istituti di credito nazionali.

Forse per la Grecia è tempo di provare a sperimentare percorsi differenti, fuori dalle logiche iper-competitive di mercato, ricalibrando la propria economia su un modello di sviluppo differente, che non scimmiotti quello dei vicini, recuperando risorse dalla terra e dal turismo, provando a riconvertire e potenziare un'industria volta al locale, centrata su risparmi energetici e ambiente. Se i sacrifici vanno fatti, meglio farli per uscire dal modello attuale, meglio farli per provare a sperimentare nuove forme di convivenza, piuttosto che per tutelare i soliti noti.