Le conferenze delle opposizioni in Siria: gli esiti e le prospettive

Sat, 19/12/2015 - 01:12
di
Aron Lund

Il Consiglio di sicurezza dell'Onu ha oggi approvato all'unanimità la risoluzione 2254 sulla Siria (una versione non ancora ufficiale si trova qui).
E' ancora presto per dare un giudizio compiuto su questa risoluzione che rappresenta comunque un novità per l'assenza di veti da parte dei diversi membri permanenti (in particolare della Russia che finora aveva bloccato qualsiasi presa di posizione significativa). Certamente la risoluzione è la sanzione della situazione determinata dall'intervento russo e la volontà statunitense di permettere un ruolo nella transizione ad Assad e al suo regime: un successo indubbio per Putin e Assad.
Dobbiamo comunque sperare che i vari monitoraggi funzionino e che la situazione umanitaria possa davvero migliorare (e questo dipenderà principalmente dal fatto che Assad e i suoi padrini si considerino appagati dei risultati ottenuti e almeno sospendano la loro guerra fatta di bombardamenti aerei e massacri di civili).
La risoluzione potrebbe portare ad un cessate il fuoco e all'inizio di trattative tra il regime e "il più ampio spettro di forze di opposizione". - come recita il testo della risoluzione ("favorire l'obiettivo di mettere insieme il più ampio spettro delle opposizioni, scelto dai siriani, che deciderà la propria rappresentanza nelle trattative e definirà le proprie posizioni negoziali così da rendere possibile l'inizio del processo politico").
La definizione di questa coalizione delle opposizioni sarà un momento decisivo, dove speriamo possa davvero imporsi la volontà delle/dei siriane/i che vogliono giustizia e libertà ma dove sappiamo peserà anche il gioco dei diversi attori regionali e internazionali. Questi soggetti dovranno anche decidere chi debba essere considerato gruppo "terrorista" (oltre a Daesh e Al Nusra, ovviamente).
Per capire meglio quali siano le attuali dinamiche politiche tra le forze di opposizione, proponiamo questo articolo pubblicato dall'Istituto Carnegie che ci sembra informato e utile a comprendere le caratteristiche e i limiti dei diversi settori dell'opposizione politica al regime di Bashar el Assad. (redaz. internaz.)

Ora sono finite tutte e tre le conferenze dei tre assortimenti di autoproclamati rappresentanti dell'opposizione siriana: una a Damasco, un'altra nel Kurdistan siriano e l'ultima a Riyadh, la capitale saudita. Per un contesto più accurato date un'occhiata all'articolo precedente su Syria in Crisis, invece per sapere cosa è e non è successo continuate a leggere.

La solita offerta da Damasco
La conferenza che si è tenuta a Damasco con l'approvazione del governo è stata promossa come un incontro della cosiddetta “opposizione patriottica” e si è svolta sotto lo slogan “Voce dell'Interno”, Sawt al-Dakhel. Hanno partecipato alcuni dissidenti moderati della vecchia scuola ma la maggior parte dei delegati erano riformisti inclini ad Assad, membri della società civile non rivoluzionaria, capi tribali legati al governo o altri soggetti con simili inclinazioni. Una dei partecipanti più noti, Majd Niazi, è una sostenitrice del governo talmente fedele da essere allontanata con discrezione da una serie negoziati sponsorizzati dal Cremlino all'inizio di quest'anno perché gli altri partecipanti non riuscivano a prendere sul serio il suo ruolo di membro della cosiddetta opposizione

Come ho scritto mercoledì scorso di base l'incontro di Damasco è stato un piano mediatico organizzato per delegittimare l'incontro di Riyadh e per trasmettere le immagini di un'opposizione interna verosimile che criticasse gli esuli sostenuti dalle potenze straniere. Senza dubbio alcuni dei partecipanti erano in buona fede ma l'incontro stesso non aveva nulla a che vedere con le forze antigovernative indipendenti che cercavano di organizzarsi.
La conferenza ha ricevuto poca attenzione a parte quella dei media di stato siriani, i cui resoconti consistevano in gran parte in citazioni dei delegati che attaccavano la conferenza di Riyadh. Secondo un quotidiano privato posseduto dal cugino del presidente la maggior parte dei discorsi, compreso quello di un diplomatico iraniano, condannava l'intervento straniero.

La contro-conferenza curda
L'incontro nel Kurdistan siriano merità di più l'etichetta di “opposizione”, sebbene i suoi partecipanti hanno ben poco in comune con la maggior parte di coloro che sono andati a Riyadh. All'inizio la conferenza doveva tenersi nella città di Rumeilan ma pare che alla fine sia stata spostata nella vicina Derik, Malikiya in arabo, e hanno partecipato un centinaio di delegati.
Anche questa conferenza è stata organizzata per lo più in risposta a quella di Riyadh, soprattutto dopo che da questa erano state escluse le forze prevalentemente curde in Siria a seguito delle pressioni turche. Dal 2012 il Kurdistan siriano è controllato da gruppi fedeli alla dirigenza del Partito dei Lavoratori del Kurdistan (PKK) con base in Iraq. Quando operano in Siria utilizzano numerose sigle e gruppi di raccordo ma la più recente – che include alcuni piccoli gruppi arabi e siriaci – è un'organizzazione ombrello chiamata Forze Democratiche Siriane (SDF).

Dall'inizio della guerra siriana la dirigenza del PKK ha giocato magnificamente le sue carte: dopo aver cacciato tutti i rivali curdi questo gruppo ora riceve il sostegno militare degli Stati Uniti tramite le SDF, mentre gli altri gruppi nella sfera del PKK, come il Partito dell'Unione Democratica (PYD), lavorano a stretto contatto con la Russia. Hanno brutti rapporti con quasi tutti i principali gruppi arabi di opposizione, senza parlare dei jihadisti, che hanno controbilanciato con dei legami ancora attivi con Assad. Sul piano materiale sono il gruppo che ha lavorato meglio degli altri: i curdi sembrano essere quelli che trarranno maggiori benefici da qualsiasi futuro colloquio di pace, sebbene la loro delegazione a Riyadh fosse quella in posizione peggiore visto che sono ai ferri corti con la maggior parte degli altri gruppi armati invitati. Temono invece di esserne esclusi del tutto a causa dell'inesorabile ostilità della Turchia nei confronti del PKK – quale che sia il nome che si scelgano al momento.

Ora il PKK ha cominciato a riconfigurare il proprio approccio politico per superare Ankara in astuzia e garantire la partecipazione curda nei colloqui di pace, che sia come parte dell'opposizione principale o nel ruolo di una terza forza separata – che sinceramente parlando è il ruolo che più gli si addice. Tramite l'utilizzo della nuova coalizione delle SDF l'organizzazione tende a nascondere la propria posizione di comando aggiungendo al gruppo dei non curdi e presentandosi più come un'alleanza di opposizione nazionale piuttosto che un progetto circoscritto alla dimensione regionale od etnica. In questo modo stanno cercando di ingraziarsi quella che potrebbe essere una massa critica di attori in grado, collettivamente, di scavalcare l'opposizione turca: americani, europei, russi, iraniani e il governo siriano.

A questo scopo la conferenza di Derik ha eletto quella che sarà conosciuta come l'Assemblea Democratica Siriana, un organismo di quarantadue membri che sarà il corrispondente politico delle SDF. Sebbene la maggior parte dei gruppi coinvolti nella conferenza fossero appartenenti o strettamente legati al PKK e alla sua rete in Siria c'erano anche alcuni gruppi ed esponenti locali tollerati dai lealisti del PKK, così come un certo numero di dissidenti arabi e siriaci.
Tra i delegati non del luogo e non appartenenti al PKK la maggior parte sembra legata in un modo o nell'altro al dissidente in esilio Haitham Mannaa: questo intellettuale di sinistra ed attivista per i diritti umani che vive tra Parigi e Ginevra ha appena abbandonato il Comitato per il Coordinamento Nazionale, una coalizione moderata con base a Damasco (ciò che rimane della sua dirigenza si è avvicinata sempre di più alla Russia e ha preso parte alla conferenza di Riyadh). Ha poi chiesto aiuto ai suoi alleati in esilio e in Siria per creare tre nuove organizzazioni: il suo Movimento Qamh, il Raduno del Patto per la Dignità e i Diritti e il più grande Gruppo del Cairo, tutte e tre presenti alla conferenza di Derik.

La conferenza di Riyadh
Passiamo ora all'argomento principale: la conferenza di Riyadh. Il 10 dicembre questo evento è stato accolto con ovvie acclamazioni da parte dei governi che lo avevano organizzato e dalle altre nazioni amiche dell'opposizione siriana. “Diamo il benvenuto al risultato positivo del raduno dell'opposizione siriana a Riyadh” ha scritto il dipartimento di stato statunitense in un messaggio di congratulazioni in cui si salutava “l'ampio e rappresentativo gruppo di 116 partecipanti”.

Durante l'incontro è stata redatta una dichiarazione finale che espone i principi per gli imminenti negoziati con il governo del presidente siriano Bashar al-Assad. Tra questi, secondo una bozza che ha avuto ampia diffusione, c'era “la fede nella natura civile dello stato siriano e nella sua sovranità su tutto il territorio nazionale, sulla base del decentramento amministrativo”. Il documento ha espresso anche l'impegno per “un meccanismo democratico attraverso un sistema pluralista che rappresenti tutti i settori del popolo siriano, uomini e donne, senza discriminazione od esclusione su base religiosa, settaria o etnica” organizzato attraverso “elezioni libere e giuste”. I delegati hanno promesso di “lavorare per preservare le istituzioni dello stato siriano, sebbene sarà necessario riorganizzare la struttura e la formazione delle sue istituzioni militari e di sicurezza”. Ci sarebbe un monopolio statale della forza armata. Hanno condannato il terrorismo e hanno posto l'accento sul rifiuto “della presenza di qualsiasi combattente straniero”.

Sugli imminenti colloqui i delegati si sono detti pronti ad avviare un processo politico sotto controllo dell'ONU come descritto nel comunicato di Vienna del 14 novembre, che chiede l'avvio dei negoziati intrasiriani dal gennaio 2016 ed un cessate il fuoco dal giugno dello stesso anno. Comunque i delegati hanno chiesto alla comunità internazionale di “costringere il regime siriano a prendere delle misure che confermino la sua buona fede prima dell'inizio del processo di negoziazione”, come ad esempio la fine della pena di morte, le tattiche che prevedono l'affamamento delle città ed il rilascio dei prigionieri. L'inizio di un cessate il fuoco è stato legato alla creazione di un governo di transizione come delineato nel comunicato di Ginevra del 2012. Sulla questione più cruciale la conferenza ha dichiarato che “Bashar al-Assad e la sua cerchia” dovranno lasciare il potere all'inizio del periodo di transizione e non alla fine.

Dulcis in fundo i delegati si sono accordati per creare un Alto Comitato di Negoziazione con il compito di eleggere e supervisionare un gruppo di 15 diplomatici che incontrerà la delegazione governativa e deciderà il futuro del paese. Ovviamente questo era il punto più difficile.

Ahrar al-Sham si ritira
Di solito gli incontri dell'opposizione siriana sono caratterizzati da un gran numero di furiose uscite di scena, ma in questo caso ce ne sono state solo due.
La prima è avvenuta tramite l'annuncio all'ultimo minuto di un boicottaggio da parte di Haitham Mannaa. È stato un atto leggermente ipocrita visto che era già chiaro che gli alleati di Mannaa avrebbero partecipato alla conferenza curda. La maggior parte delle persone coinvolte lo hanno ignorato.
Un danno maggiore è avvenuto quando è stato chiesto di firmare l'accordo ad Ahrar al-Sham, il gruppo islamista più forte ed aggressivo tra i partecipanti. Avendo già criticato l'inclusione di gruppi amici della Russia come il Comitato per il Coordinamento Nazionale, si sono ritirati di fronte a quella che secondo loro era una dichiarazione annacquata e incline al laicismo e a un Alto Comitato di Negoziazione pieno di fazioni anti-islamiste, pacifiste e quasi amiche del regime.

I ribelli armati presenti – diversi gruppi dell'Esercito Libero Siriano, Ahrar al-Sham, l'esercito dell'Islam, Ajnad al-Sham ed altri – hanno chiesto metà dei seggi nell'Alto Comitato di Negoziazione ma alla fine si sono accordati per averne un terzo ma conclusi i negoziati, verso le quattro o le cinque del pomeriggio, Ahrar al-Sham ha diramato un comunicato pubblico dicendo che abbandonavano la conferenza. Ciò ha causato una grande preoccupazione sia tra i dissidenti che tra gli organizzatori visto che il tentativo di includerli tra i principali gruppi di ribelli era uno degli obiettivi principali della conferenza di Riyadh.

Varie fonti presenti alla conferenza mi hanno dato resoconti diversi ma pare che Labib Nahhas, il delegato di Ahrar al-Sham che è anche noto per essere una delle colombe del gruppo, abbia comunque deciso di andare avanti e partecipare alla cerimonia per la firma degli accordi – forse dopo essersi assicurato il sostegno di uno o più capi che non erano presenti. La firma ha avuto luogo intorno alle sei e mezza di pomeriggio e Nahhas ha posto il suo nome come rappresentante di Ahrar al-Sham.

Poi è iniziata la confusione: quando i giornalisti hanno fatto notare che sul documento c'era la sua firma numerosi dirigenti di alto rango dell'organizzazione (che non erano presenti a Riyadh) hanno risposto tramite i social media confermando la loro decisione di ritirarsi e di non firmare. Mentre scrivo questo articolo il mistero non è ancora stato svelato ma pare che Nahhas abbia più o meno agito di propria volontà e anzi che gli altri dirigenti in Turchia e in Siria avevano deciso di boicottare l'incontro. Numerose fonti mi hanno detto che questa è una lotta di lunga data tra i falchi e le colombe all'interno di Ahrar al-Sham ma sembra anche esserci un elemento esterno: i dirigenti e i membri in Siria stanno subendo le pressioni dei loro alleati del Fronte al-Nusra per abbandonare i colloqui di pace. Allo stesso tempo vengono pressati dai diplomatici stranieri che insistono che il gruppo si impegni a pieno nel processo delle Nazioni Unite pena la perdita del loro sostegno e il rischio di finire nella lista nera dei terroristi.

Se Ahrar al-Sham rinnegasse la firma di Nahhas, o provasse a salvaguardarsi, non dovrebbe essere necessariamente fatale per l'esito della conferenza di Riyadh: il gruppo potrebbe essere trascinato a bordo successivamente – e, per il momento, i sauditi e gli altri organizzatori stanno semplicemente procedendo come se non vi fossero dispute nella speranza che i dirigenti del gruppo alla fine ritornino sui loro passi. Ahrar al-Sham potrebbe anche decidere che questa ambiguità gli torna comoda e potrebbero semplicemente lasciare che entrambe le parti credano a ciò che vogliono, ma se alla fine il gruppo deciderà di prendere pubblicamente le distanze dalla conferenza potrebbe essere una pessima notizia per tutti coloro che speravano che dall'incontro emergesse un'ampia unità ed una delegazione diplomatica credibile.

L'Alto Comitato di Negoziazione
Anche se la conferenza è terminata devono ancora essere fatti degli aggiustamenti alla composizione dell'Alto Comitato di Negoziazione, visto che stanno circolando diverse versioni sui suoi membri. All'inizio dovevano essere 32, dopo l'aggiunta di altri ribelli, ma ora è aumentata di due unità dopo varie rinegoziazioni.
Dei 34 membri nove proverranno dalla Coalizione Nazionale, la principale alleanza di politici in esilio. Tra essi ci saranno l'attuale presidente, Khaled Khoja, il suo predecessore George Sabara, dissidenti veterani come Riad Seif e Soheir al-Atassi, Mohammed Farouq Teifour dei Fratelli Musulmani, il politico curdo Abdelhakim Bashar e l'ex primo ministro Riad Hejab.
Altri cinque proverranno dal principale rivale della Coalizione Nazionale, il più piccolo e moderato Comitato per il Coordinamento Nazionale. Tra di loro ci sono Safwan Akkash, un politico comunista che è anche segretario del gruppo, e i dissidenti veterani nasseriani Mohammed Hejazi e Ahmed al-Esrawi.
Altri nove sono iscritti come indipendenti, anche se di fatto legati a dei gruppi politici. C'è Louai Hussein, un intellettuale alawita di sinistra ed ex prigioniero politico che è anche capo del Movimento per la Costruzione dello Stato Siriano, un piccolo movimento pacifista. C'è anche Ahmed al-Jarba, un ex presidente della Coalizione Nazionale con forti legami con l'Arabia Saudita.

Infine undici membri verranno presi dai gruppi armati ribelli, cinque in più rispetto a ciò che si disse all'inizio della conferenza. Bisogna ancora vedere come verranno distribuiti i seggi e se saranno assegnati ad alcuni gruppi o legati ad individui eletti durante l'incontro. Comunque sono stati fatti molti nomi, tra cui quelli di Mohammed Alloush dell'Esercito dell'Islam e di Labib Nahhas, il delegato di Ahrar al-Sham, anche se bisogna ancora vedere se prenderà il proprio posto. Ci sono anche i rappresentanti di diverse fazioni dell'Esercito Libero Siriano, tra cui pare Bashir Menla del Battaglione Jabal Turkman e Hassan Hajj Ali della Brigata Suqour al-Jabal.

La composizione della commissione
Sebbene la lista dell'Alto Comitato di Negoziazione non sia ancora confermata vanno notate alcune cose: il problema più ovvio è il fatto che l'unico curdo eletto sia Abdelhakim Bashar, un dirigente di lunga data della Coalizione Nazionale molto vicino al Partito Democratico del Kurdistan in Iraq, che sostiene il suo Consiglio Nazionale Curdo.
Abdulbaset Sieda, un curdo attivo per decenni nella causa nazionalista, non è contento e mi ha detto che “molti curdi sono arrabiati per il fatto di avere un solo eletto su 33 o 34 persone. È un fatto totalmente inaccettabile”. Ha dato parte della colpa allo stesso Consiglio Nazionale Curdo, dicendo che avrebbe dovuto provare a mandare una propria delegazione a Riyadh per assicurarsi una rappresentanza curda nel sistema elettorale. Il fatto di non aver pianificato prima un collegio curdo ha fatto si che la procedura di voto si occupasse della loro esclusione.

“Ad ogni delegazione è stato permesso di nominare i propri rappresentanti dopo aver negoziato il proprio numero di seggi nel Comitato” ci ha spiegato Sieda. “La Coalizione Nazionale si è ritrovata con nove posti a sua disposizione così abbiamo cercato di creare una lista pluralista in cui ci fossero un curdo, un alawita, un cristiano, un membro della Fratellanza Musulmana, un rappresentante dei clan e così via. Tra i nove abbiamo nominato Abdelhakim Bashar.”
“Anche il Comitato di Coordinamento Nazionale aveva un membro curdo nella sua delegazione a Riyadh, Khalaf Dahoud – vicino al PYD – ma non è stato inserito nella loro lista di cinque persone. Non so il perché. C'erano poi alcuni curdi tra gli indipendenti ma dal momento che provenivano da molti gruppi diversi e non hanno potuto decidere in anticipo chi dovesse occupare i loro otto o nove seggi hanno dovuto fare una votazione interna per sceglierli, finendo per non eleggerne nessuno anche loro.”
“Ora, l'idea è che l'Alto Comitato di Negoziazione nominerà una delegazione che incontrerà il governo” dice Sieda, che è chiaramente preoccupato per il risultato del voto anche se ritiene che sia successo più per errore che per esplicita volontà politica. “Speriamo allora di poter correggere l'errore assicurandoci che ci siano dei curdi tra i negoziatori”.

Comunque per il momento l'Alto Comitato è in gran maggioranza arabo, a parte un paio di dissidenti turkmeni (Khaled Khoja e Bashir Menla). Dall'altra parte ci sono almeno alcuni rappresentanti di tutte le principali minoranze religiose compresi gli alawiti (come Mondher Makhous), i cristiani (Hind Qabawat) e i drusi (Yahia Qodmani). Sono rappresentate anche le tribù beduine con Salem al-Meslet, figura di spicco della tribù Jabbour, e Ahmed al-Jarba, un dirigente della confederazione Shammar. Parlando in termini più generali la lista ha una forte vena laica, anche se verrà molto diluita dagli undici membri nominati dai ribelli.

Per quanto riguarda la catastrofica mancanza di rappresentanza delle donne – per ora posso elencare solo Hind Qabawat e Soheir al-Atassi – bisogna dire che purtroppo è una tara della politica siriana. E non solo.