I "giubbotti gialli": come e perché farne parte

Tue, 11/12/2018 - 21:31
di
Alain Bihr*

Ormai non è più necessario sottolineare l'ampiezza di un movimento che non ha eguali, la sorpresa generale provocata dalla sua esplosione, la prolungata durata e la sua radicalizzazione che sta dimostrando. Piuttosto, sono la sua esistenza e la sua evoluzione che continuano a porre delle questioni teoriche e politiche.

Le caratteristiche sociologiche del movimento

I reportage giornalistici pubblicati a caldo, come le testimonianze dei militanti che hanno preso parte al movimento dei blocchi, permettono di sottolinearne l'eterogeneità in termini di composizione di classe, in netto contrasto con la sua concentrazione territoriale [1].

Non vi è dubbio sulla sua composizione pluriclassista, essendo comunque in gran parte costituito da proletari (operai ed impiegati, salariati e non), ai quali si aggiungono i membri degli strati inferiori dell'amministrazione (supervisori, tecnici) o della piccola borghesia (artigiani, piccoli imprenditori, ma anche contadini e gli stessi intellettuali, o i medici degli ospedali). Possiamo rilevare anche una presenza di donne e di pensionati/e molto più importante rispetto a quella delle mobilitazioni a cui siamo abituati.

Se questa eterogeneità non ha danneggiato il movimento, è perché tutti e tutte condividono un certo numero di punti comuni che hanno reso possibile questa convergenza. Si tratta di vittime delle politiche di austerità, praticate dall'insieme dei governi da ormai circa quattro decenni. Queste politiche hanno provocato il deterioramento delle condizioni di lavoro, di impiego e di salario; la difficoltà crescente di “arrivare a fine mese”; l'angoscia crescente del futuro, per se' e per i propri figli; il degrado o persino la scomparsa dei servizi pubblici e delle strutture pubbliche a cui si poteva avere ancora accesso; dal sentimento di non essere più rappresentati (né presi in conto o in considerazione) da nessuno (in particolare dalle organizzazioni sindacali, professionali e politiche), se non ogni tanto dai sindaci (ma che hanno sempre meno poteri); il sentimento di essere stati abbandonati, lasciati a se stessi per essere presi in giro, da quei governanti che non hanno più occhi, orecchie e voce se non per “i primi di cordata”!

Questi “espropriati” hanno ancora una forza collettiva fondata sulla solidarietà locale, basata sui luoghi di parentela e di vicinato, fatta di conoscenza e riconoscenza reciproca, ma anche di tutta una “economia sotterranea” di mutua assistenza, di scambio di servizi, di un dare e prendere che assicura al di là di tutto la possibilità di “uscirne”. Altrimenti, non si spiegherebbe perché uomini e donne hanno preso parte alle operazioni guidate dai “giubbotti gialli”, nel freddo di novembre, per giornate intere di seguito, fino a più di 10 giorni in alcuni casi.

La seconda caratteristica sociologica evidente del movimento è la sua localizzazione geografica nel rurale periferico. Questo perché le categorie sociali inferiori sono sempre più espulse dai centri urbani e persino dalle periferie urbane, a causa dell'aumento dei prezzi dell'imposta fondiaria, degli immobili urbani e dell'espansione delle città (secondo il piano di sviluppo dell'area urbana). D'altra parte, in questi luoghi, la dipendenza dal mezzo di locomozione individuale (l'automobile) è massima: serve almeno un'automobile per organizzare non solo gli spostamenti per andare a lavoro, ma anche per fare la spesa, portare i bambini a scuola e alle attività pomeridiane, andare dal medico, effettuare le pratiche amministrative obbligatorie, partecipare alle attività associative locali, etc.; questa necessità è dovuta dall'accentramento crescente delle strutture e dei servizi, privati e pubblici, nei centri urbani, dall'assenza o la carenza di mezzi di trasporto pubblici, dalla preferenza data alle abitazioni individuali che ha favorito la dispersione delle comunità.

Da questo deriva il vincolo obbligato, per queste famiglie, di spendere per il carburante [2] e di conseguenza, data la loro precarietà di bilancio, queste fasce della popolazione sono estremamente sensibili rispetto all'aumento dei prezzi del carburante. È a causa dei continui aumenti dei prezzi nel corso degli ultimi mesi, seguiti da un aumento dei prezzi del petrolio anche sul mercato mondiale, insieme all'annuncio del prossimo aumento (al 1 gennaio: +6,5 centesimi per il litro di disel, +2,9 sulla benzina) come conseguenza della nuova tassa sulla consumazione interna sui prodotti energetici (TICPE), ad aver costituito la goccia d'acqua che ha fatto traboccare il vaso! Tanto più perché, poiché il Disel è stato per lungo tempo tassato meno rispetto agli altri carburanti, sul totale dei veicoli privati si conta ad oggi che il 60% di essi è a motore Disel. Per questa ragione sono state scelte determinate modalità d'azione (bloccare o filtrare la circolazione delle automobili per sensibilizzare gli automobilisti) e come simbolo quello del rallentamento (il famoso giubbotto giallo).

Le caratteristiche politiche ed ideologiche del movimento

La composizione sociologica del movimento è in gran parte sufficiente a spiegare i suoi limiti originali a livello politico ed ideologico. Le sue richieste immediate si sono limitate a richiedere un calo del prezzo dei carburanti, comprese le tasse che rappresentano il 60% di questo prezzo. Ma questa dimensione anti-fiscale attacca solo un aspetto minore della politica fiscale del governo, senza mettere in discussione l'insieme di quest'ultima, in particolare l'aumento delle imposte indirette a favore della fiscalità diretta e, all'interno di essa, la tassazione sul reddito da lavoro a favore del reddito da capitale, e quindi a favore dei redditi più alti e delle grandi fortune: vediamo infatti l'abbassamento della tessa d'imposta sulle società (le imprese: IS), la flat tax sui redditi da capitale, la soppressione per le fasce superiori di un'imposta sui redditi (IRPP), la soppressione dell'imposta di solidarietà sulle fortune (ISF) [3]. E i “giubbotti gialli” non hanno immediatamente messo in discussione la ripartizione delle entrate fiscali (la componente della spesa pubblica) a beneficio del capitale (si immagini ad esempio il credito di competitività sul lavoro – CICE – pari a circa centodieci miliari su 5 anni) a scapito del lavoro (tagli netti al finanziamento dei servizi pubblici e delle strutture pubbliche, di cui una parte costituisce la quota socializzata dei salari). Ma questi limiti non sono stati a priori sorprendenti per quella parte di popolazione che finora non aveva avuto, nella stragrande maggioranza, alcuna esperienza né formazione politica, e per questo si è mobilitata su una rivendicazione più immediata.

È stato proprio attraverso l'immediato utilizzo di tali argomentazioni che diverse voci si sono espresse per discreditare il movimento o, almeno, gettarvi un ombra di sospetto. Passiamo sopra al disprezzo ordinario dei “primi della cordata” per il “popolo basso”. Più sconvolgenti ed inquietanti sono state le voci provenienti dalla sinistra e persino dalla sinistra radicale. Il movimento è stato così qualificato come “poujadista”. Nella seconda metà degli anni '50, il poujadismo è stato un movimento essenzialmente composto da elementi della piccola borghesia (principalmente commercianti) e del piccolo capitale minacciato dalla penetrazione del grande capitale (in trasformazione oligopolistica) all'interno di alcuni settori dell'industria, del commercio e dei servizi così come pure dalla messa in opera di istituzioni caratteristiche del compromesso fordista tra capitale e lavoro salariato (nello specifico, la previdenza sociale). Mentre il movimento attuale è principalmente espressione di alcuni settori del proletariato minacciati dal continuo smantellamento delle conquiste del compromesso fordista. Unico punto in comune: l'antifiscalismo; ma quello che allora era un punto centrale per il movimento poujadista, il presente movimento dei “giubbotti gialli” l'ha già superato, come vedremo dopo.

Le nostre “belle anime” di sinistra e di una parte della sinistra radicale hanno accusato questo movimento anche di fare da traino alla destra e all'estrema destra. Queste accuse sono state lanciate sulla base dell'osservazione delle proposte, degli slogan o dei comportamenti sessisti e razzisti all'interno dei collettivi dei “giubbotti gialli”; o sulla base della presenza, all'interno di questi collettivi, di simboli o di marchi della destra o dell'estrema destra nazionalista (la bandiera tricolore, La Marsigliese); e sul sostegno immediato ai “giubbotti gialli” da parte dei leader dell'estrema destra (Le Pen, Dupont-Aignan, Vauquiez) che provano a strumentalizzare il movimento per i propri propositi; infine, dalla partecipazione di militanti di estrema destra ad alcuni di questi collettivi.

Sebbene a più riprese i “giubbotti gialli” si sono dichiarati “apolitici” (è vero che l'apoliticismo è piuttosto di destra), bisogna quantomeno rispondere alle accuse precedenti. Oltre al fatto che gli atti e le parole razziste e sessiste sono rimasti episodi minoritari, i “giubbotti gialli” purtroppo non hanno il monopolio del razzismo né del sessismo. Da questo punto di vista, i militanti e le organizzazioni di sinistra e dell'estrema sinistra farebbero bene a curarsi dei propri panni sporchi. Inoltre, aspettare che un movimento popolare spontaneo sia ideologicamente puro per sostenerlo e intervenirvi equivale a condannarsi all'impotenza e mettere il carro davanti ai buoi: richiedere come punto di partenza ciò che può essere solo punto di arrivo. Similmente, è discutibile fare di una bandiera tricolore e de La Marsigliese dei simboli della sola destra o dell'estrema destra nazionalista; potremmo infatti ricordare il patrimonio rivoluzionario che esse incarnano, l'unico a disposizione di una popolazione privata di un altro al suo posto. Infine e soprattutto, non è tanto la presenza di elementi di destra e dell'estremismo nazionalista nel movimento dei “giubbotti gialli” di cui ci dovremmo allarmare, quanto l'assenza della sinistra a farvi da contrappeso e cacciarli dal movimento.

Critica dell'attitudine delle organizzazioni sindacali e politica della sinistra di una parte della sinistra radicale

Nel loro insieme, queste organizzazioni si sono in effetti tenute ai margini di questo movimento, almeno agli inizi. Dal lato politico, abbiamo assistito a un sostegno a malapena bisbigliato da parte del PS (non ancora ripresosi dalla sconfitta dello scorso anno) e del PC (più preoccupato dal suo congresso), passando per un sostegno più risoluto da parte di FI, NPA e AL (Alternative libertaire) ma senza comunque fare appello ad una partecipazione di massa al movimento – con l'eccezione di qualche individuo (Ruffin, Besancenot, Poutou). Quanto alle organizzazioni sindacali, hanno espresso una gradazione di atteggiamenti che va dall'indifferenza fino alla franca sfiducia, sconfinante a volte in un'ostilità palese (la palla torna come d'abitudine alla CFDT, di cui il segretario generale vi ha visto “una forma di totalitarismo”) – ad eccezione di qualche struttura locale o federale (CGT métallurgie, Sud industrie, SUD PTT, FO Transports) ed, evidentemente, di quella dei loro militanti o membri che hanno, al contrario, fatto più rapidamente la scelta opposta.

Le ragioni di tale atteggiamento sono molteplici. Un ruolo lo hanno avuto le precedenti critiche del movimento, insieme all'accusa di muoversi per conto dei datori di lavoro... dell'industria di trasporto stradale, che hanno sostenuto il movimento a causa della sua rivendicazione bandiera – prima però di ritrattare il tutto molto in fretta, di fronte alla pratica dei blocchi stradali. Ma andando più a fondo, bisogna puntare il dito contro l'ostilità che viene mostrata per principio nei confronti dei movimenti sociali spontanei (il movimento dei “giubbotti gialli” è nato da una petizione circolata sui social media) da parte di quei stati maggiori che hanno l'abitudine di far sfilare le proprie truppe dove e quando essi soltanto hanno deciso. Infine, bisogna puntare ancora all'estraneità di queste organizzazioni nei confronti di quelle fasce popolari dove non hanno (più) alcun intervento e che per loro sono diventate altrettanto estranee ed invisibili quanto lo sono per il potere. Questo la dice lunga sulla loro mancanza di contatto con il “paese reale” e su ciò che ne hanno guadagnato queste cosiddette avanguardie: rimanere indietro rispetto a un movimento popolare, almeno nei suoi inizi.

Evidentemente, tale attitudine non è solo un errore ma una colpa politica grave. Il movimento dei “giubbotti gialli” è certamente composito, diviso tra tendenze divergenti, grosso di possibili contrari. La sua piattaforma rivendicativa iniziale era povera e il suo orizzonte politico limitato (per non dire inesistente). Ma il suo potenziale di lotta era e resta enorme, come l'ha già provato l'arricchimento della prima e l'ampliamento del secondo [4]. E la missione delle organizzazioni sindacali e politiche anticapitaliste è precisamente quella di intervenire al suo interno e al suo fianco per amplificare e accelerare questo doppio processo e orientare il movimento in un senso globalmente favorevole agli interessi di classe dei suoi membri. Resta da determinare come.

Proposte per consolidare, estendere e rinforzare il movimento

Prima di tutto non intervenire dando delle lezioni e, ancora meno, dando l'impressione di voler recuperare il movimento al profitto di un'organizzazione qualunque né tantomeno di un programma politico definito. Al contrario, bisogna difendere l'autonomia integrale del movimento in rapporto all'esterno e la democrazia interna ad esso. E accontentarsi di difendere, al suo interno, una serie di proposte tra le quali lascio le seguenti alla discussione.

Riguardo alle forme organizzative. Promuovere la democrazia assembleare nei collettivi. Rendere ogni raduno un luogo di discussione e di decisione. Difendere l'autonomia dei collettivi locali invocando un sistema di coordinamento più ampio possibile tra di essi, su una base territoriale definita secondo le proprie esigenze. Mandare rigorosamente i delegati ai coordinamenti in questione. Non accettare l'istituzione dei cosiddetti rappresentanti nazionali incaricati di negoziare col governo. Cercare, per quanto possibile, di favorire l'avvicinamento alle organizzazioni e ai movimenti che si sono dichiarati favorevoli al movimento, al quale hanno offerto supporto senza tentativi di strumentalizzazione da una parte o dall'altra, a cominciare da quelle (essenzialmente, le organizzazioni sindacali e il movimento studentesco) che si sono già impegnate in azioni rivendicative su un terreno proprio. Perché il potenziale di malcontento e di rivolta nell'insieme del paese è immenso, come è stato provato sabato 1° dicembre nelle scene di sommossa a Parigi come in provincia (Marsiglia, Saint-Étienne, Le Puy-en-Velay, Tours) che non sono state l'espressione dei soli “casseurs” abituali.

Riguardo il contenuto rivendicativo. Proporre l'elaborazione di una piattaforma rivendicativa comprendente delle rivendicazioni immediate, ma difendendo la necessità di allargarle e approfondirle. Porto degli esempi:

- Abbassamento immediato dei prezzi del carburante da parte dell'intermediario della TICPE, che costituisce attualmente la quarta fonte di entrate fiscali dello Stato (dopo la TVA, l'IRPP e l'IS). L'istituzione di una prezzo amministrato in modo tale da evitare lo slittamento alla pompa.
- Forte rivalorizzazione delle principali rendite di cui vivono le fasce popolari mobilitate: portare lo Smic (salario minimo vigente in Francia, ndt) e le pensioni al livello del salario medio attuale (circa 1700 euro); rivalorizzare in maniera equivalente l'insieme delle prestazioni sociali; aumentare il salario sociale minimo oltre l'attuale soglia di povertà (ad esempio a 1200 euro).
- Adottare una messa in opera urgente di un piano di lotta contro la miseria. Trasferire tutti i senzatetto nelle abitazioni vuote, come garantito dalla legge.
- Stabilire una struttura degli affitti. Lanciare un programma pluriennale di isolamento dell'insieme degli alloggi, sociali o non, finanziati con fondi pubblici, a partire da quelli occupati dalle famiglie in uno stato di povertà energetica.
- Sgravi sulla fiscalità indiretta (ad esempio l'ampliamento dell'offerta di beni e servizi soggetti all'aliquota IVA ridotta, con l'imposizione di un prezzo massimo per evitare che i commercianti vi aggiungano la differenza). Riduzione della tassazione diretta che grava sul lavoro (ad esempio le tasse della CSG). Aumento della tassazione diretta sul capitale, sui redditi alti e sulle grandi fortune; recupero delle parti superiori dell'IRPP; aumento del tasso d'imposta sui redditi da proprietà sotto la protezione sociale; forte tassazione dei profitti, distribuiti sotto forma di dividendi; aumento delle tasse dell'IS; recupero dell'ISF. Soppressione del CICE e di tutte le scappatoie fiscali, il cui importo sarà riassegnato al finanziamento delle varie misure ecologiche e sociali indicate altrove.
- Adottare una moratoria sul debito pubblico, con l'apertura di una procedura di audit sul debito per determinarne la parte illegittima che non sarà rimborsata.
- Elaborazione di un manifesto rivendicativo contro il degrado dei servizi pubblici e, contemporaneamente, per il rafforzamento di tali servizi, in particolare per quanto riguarda i trasporti (riapertura delle linee ferroviarie locali chiuse, gratuità del trasporto pubblico), la sanità (istituzione di un periodo di presenza obbligatoria di giovani medici per colmare i deserti ospedalieri, riapertura degli ospedali e dei servizi sanitari chiusi, rifornendoli di necessarie e ulteriori risorse) e l'educazione (nessuna chiusura di classi nelle scuole primarie, istituzione di una distanza minima di percorrenza per gli studenti della scuola secondaria e messa in funzione di uno scuolabus sistematico, di risorse supplementari per le attività extrascolastiche).
- Abrogazione dell'insieme delle misure mirate allo smantellamento della protezione sociale: abrogazione delle misure che impediscono il rimborso per i medicinali; piano d'urgenza per provvedere delle risorse per gli ospedali pubblici e l'interruzione di tutte le sovvenzioni concesse alle cliniche private; introduzione del diritto alla pensione per tutti dopo 30 anni di attività sulla base del 75% del miglior reddito lordo di attività limitato a due volte lo SMIC [5].

Riguardo alle forme di azione. Senza abbandonare le operazioni di blocco o di filtraggio della circolazione automobilistica ai margini delle città (per parlare con gli automobilisti, incitarli a unirsi al movimento, metterli al corrente delle rivendicazioni), adottare nuove forme di azione adattate alle rivendicazioni precedenti (ad esempio, blocco o occupazione dei servizi pubblici per sostenere le richieste del personale di tali servizi e di informare il pubblico delle rivendicazioni in merito; investimento da parte dei municipi, dei consigli dipartimentali e regionali, degli uffici dei deputati e senatori per costringerli a trasmettere le rivendicazioni precedenti).

Ma, soprattutto, mi sembra necessario privilegiare le azioni decentralizzate ma coordinate in provincia piuttosto che delle azioni centralizzate su Parigi: per permettere a più persone possibile di prendervi parte; per permettere ai collettivi locali di restare padroni delle proprie decisioni e del proprio calendario; per paralizzare progressivamente il Paese; per sfinire il governo e le sue cosiddette “forze dell'ordine”, obbligandoli a moltiplicare i loro punti di intervento e il loro dispiegamento.

Oltre alle proposte precedenti, che possono e devono essere dibattute collettivamente all'interno del movimento, vi è soprattutto la necessità e l'urgenza di intervenire al suo interno per andare il più lontano possibile: queste sono questioni che non dovrebbero più essere dibattute dentro alle organizzazioni sindacali e politiche anticapitaliste. E, a prescindere da quel che ne sarà l'esito, questo movimento avrà rivelato l'esistenza di un immenso campo di strati popolari che devono costituire un vero ambito di intervento per tali organizzazioni, nei mesi e negli anni a venire. Altrimenti, non bisognerà più sorprendersi e lamentarsi di vedere questi strati popolari cedere ancora un po' ai richiami dell'estrema destra che, dal canto suo, attizzerà risentimento, seminerà xenofobia e razzismo e promuoverà il ripiegamento sulla propria identità.

Note.
[1] A queste due fonti di informazione, vorrei permettermi di aggiungerne una terza, più ristretta spazialmente ma più diretta e comprensibile, così come più soggettiva. Da molti anni, passo i due terzi del mio tempo in un piccolo villaggio in Déodatie (la regione di Saint-Dié-des_Vosges), il che mi ha permesso di osservare direttamente il buon numero dei fenomeni che illuminano l'attivazione del movimento dei “giubbotti gialli”. Nel corso del primo fine settimana di mobilitazione di quest'ultimi, in un raggio di 10 chilometri attorno a questo villaggio ci sono stati non meno di cinque blocchi che hanno avuto luogo (due ai principali ingressi di Saint-Dié, uno a Moyanmoutier, uno a La Petite Raon, uno a Raon-L'Etape). Il dipartimento di Vosges a conosciuto questo fine settimana circa ottanta blocchi, la maggiorparte concentrata ad est del dipartimento, ai piedi del massiccio dei Vosgi, qualcuno in altre località che non sareste in grado di situare sulla mappa: Provenchères-sur-Fave, Frapelle, Anould, Le Syndicat, etc.

[2] Come ha opportunamente ricordato Michel Husson, «I fondamenti microeconomici della stupidaggine», http://alencontre.org/economie/les-fondements-microeconomiques-de-la-con...

[3] Secondo una stima dell'OFCE, sono il 5% dei lavori più ricchi che sarebbero i principali beneficiari della politica socio-foscale dell'attuale governo, che (indipendentemente da altri fattori) li vedrà accrescere il loro potere d'acquisto del 2,2% nel 2019, in confronto col 2017, mentre il 5% dei lavori più poveri non avranno guadagnato che lo 0,2%: undici volte di meno! Cf. M. Plane et R. Sampognaro, «Budget 2018 : pas d’austérité mais des inégalités», Policy Brief de l’OFCE, n° 30, janvier 2018. https://www.ofce.sciences-po.fr/pdf/pbrief/2018/Pbrief30.pdf

[4] Si veda ad esempio la piattaforma rivendicativa adottata il 28 novembre in previsione dell'omologazione di un certo numero di delegati a Matignon (che alla fine non ha avuto luogo): https://www.francetvinfo.fr/economie/transports/gilets-jaunes/zero-sdf-r.... Anche il video visualizzabile al link seguente: https://www.youtube.com/watch?v=gJV1gy9LUBg. Così come la lista delle rivendicazioni nei «cahiers de doléances» pubblicati, il 2 dicembre 2018, su alencontre.org [https://alencontre.org/europe/france/france-debat-les-cahiers-de-doleanc...

[5] Buona parte di queste misure fanno già parte della piattaforma rivendicativa segnalata nella nota precedente.

*Fonte articolo: https://alencontre.org/europe/france/les-gilets-jaunes-pourquoi-et-comme...
Traduzione a cura di Federica Maiucci.