Dossier Gilet Gialli #1: la rivolta delle donne

Wed, 16/01/2019 - 19:49
di
Le Monde* / Fanny Gallot*

Inauguriamo con questa prima puntata un dossier dedicato al movimento francese dei gilet gialli. Per comprendere meglio la complessità e alcune caratteristiche e dinamiche inedite di questo movimento rispetto alla tradizione del conflitto sociale in Francia, dedicheremo ciclicamente alcuni approfondimenti da punti di vista particolari, analisi su temi specifici, cronache e racconti. Cominciamo con due articoli, il primo apparso su Le Monde e il secondo su Contretemps, dedicati alle mobilitazioni delle donne in questo movimento: la manifestazione delle donne "gilet gialli" che ha coinvolto tutta la Francia la domenica 6 gennaio 2019, e un'analisi storica e attuale di Fanny Gallot sul ruolo delle donne nelle rivolte sociali d'oltralpe e della specifica composizione di genere dei gilet gialli.

CENTINAIA DI DONNE "GILET GIALLI" MANIFESTANO IN MOLTE CITTA' DELLA FRANCIA

A Parigi, Tolosa o Caen, le manifestanti si sono riunite domenica nella speranza di dare un'immagine “inedita” e pacifica del movimento.

“Macron, sei fottuto, le ragazze sono scese in strada”. Diverse centinaia di donne “gilet gialli” si sono riunite, domenica 6 gennaio, in diverse città della Francia, l'indomani del “acte VIII” (ottavo atto, ndt) che ha riunito circa 50mila persone in tutto il paese. Il loro obiettivo era quello di manifestare pacificamente e di dare un'immagine “inedita” del movimento, mentre le manifestazioni del giorno precedente sono state segnate da nuove violenze.

A Parigi, qualche centinaio di manifestanti si è radunato alle 11 sui gradini dell'Opéra Bastille per cantare la Marsigliese, con palloncini gialli alla mano. Hanno poi circondato la piazza, disturbando la circolazione, prima di dirigersi verso Place de la République.

“Nel fare questa prima manifestazione di donne, volevamo avere un altro canale di comunicazione al di là della violenza, perché tutto ciò che emerge nei media di questo movimento sono gli atti di violenza e in questo modo viene dimenticato il cuore del problema”, ha dichiarato Karen all'Agence France-Presse (AFP), infermiera di 42 anni venuta da Marsiglia e fondatrice del gruppo Facebook “Donne gilet gialli”. “Questa manifestazione non è femminista ma è destinata a dare un'immagine inedita al movimento”, ha insistito.

Sophie Tissier, 40 anni, “madre sola con due bambini”, ha spiegato al megafono di essere all'RSA da due anni e mezzo: “Per noi è molto difficile riuscire ad emergere nella società in quanto donne. Eppure siamo più pacifiche degli uomini e vogliamo mobilitarci in maniera pacifica. (…) Siamo molto numerose nelle manifestazioni, sulle rotonde, perché siamo quelle più toccate dal lavoro precario”.

PRECARIZZATE, DISCRIMINATE, INSORTE

A Tolosa, circa 300 donne “gilet gialli”, secondo i dati della prefettura, si sono riunite dietro un grande striscione nero sul quale si poteva leggere “Precarizzate, discriminate, insorte, donne in prima linea”. Le manifestanti si sono riunite alle 11 nella piazza Arnaud-Bernard prima di lanciarsi verso il corso del centro cittadino, circondate da una presenza discreta della polizia.

Gli slogan erano rivolti principalmente al presidente della Repubblica: “Macron dimissioni”, “Macron, sei fottuto, le ragazze sono scese in strada”, o ancora “Macron, se non vieni tu, saremo noi a venire da te”.

“Sono in piazza per l'avvenire dei nostri figli”, spiega Monique, una funzionaria di 64 anni, “stiamo lasciando loro una società marcia. Molti saranno disoccupati e le persone anziane dovranno lavorare sempre più a lungo. Non avranno diritto a prendere parola se non agiamo subito, il popolo ha diritto alla parola”.

A Caen, teatro di scene violente sabato scorso, un centinaio di donne, alcune accompagnate dai propri figli, sono partite dalla piazza del Comune per sfilare nelle strade al grido di “Le donne con noi”, “CRS prima di sparare il gas, dovete partorire”.

“Il governo vuole farci passare per dei teppisti, ma oggi noi siamo le madri, le nonne, le figlie, le sorelle di tutti i cittadini, e vogliamo dire che (…) la nostra collera è legittima. È durante le crisi sociali che i diritti delle donne sono più in pericolo”, ha dichiarato Chloé Tessier, 28 anni, insegnante di equitazione.

Anche a Saône-et-Loire, à Montceau-les-Mines, un centinaio di donne “gilet gialli” hanno manifestato domenica mattina. Tra le manifestanti una signora anziana, con un cartello su sui era scritto “Per la Francia dei nostri figli” e una giovane donna che spinge un passeggino con su scritto “Sono una figlia e non voglio figli in un mondo come questo”.

*Fonte: https://www.lemonde.fr/societe/article/2019/01/06/des-centaines-de-femme...
Traduzione a cura di Federica Maiucci.

LE DONNE NEL MOVIMENTO DEI GILET GIALLI: RIVOLTA DI CLASSE, TRASGRESSIONE DI GENERE.

Da alcuni giorni i media parlano della grossa presenza di donne di tutte le età nelle mobilitazioni dei gilet gialli. Sul campo esse sono effettivamente presenti nelle rotonde e appaiono regolarmente nei media. Alcune figure sono anche emerse, come Priscilla Ludoski, che aveva lanciato la petizione che aveva raccolto quasi un milione di firme, oppure Jacline Mouraud che ha postato un video sul tema su Facebook alla fine del mese di ottobre(1). Denunciano la riduzione del loro potere d’acquisto, le ingiustizie fiscali, i bassi salari, ma anche la condiscendenza del potere e il suo disprezzo di classe, riassunti nella parola d’ordine di dimissione di Emmanuel Macron.

La partecipazione delle donne negli scioperi e nei movimenti sociali non ha niente di nuovo, in particolare contro il carovita. Dal XVIII secolo, fanno parte delle rivolte, che siano del pane, antisignorili o antifiscali: le donne conquistano una posizione di primo piano nella situazione, esortando gli uomini a seguirle. Arlette Farge scrive su questo soggetto:
“Nella rivolta le donne funzionano diversamente dagli uomini; quest’ultimi lo sanno, vi consentono eppure le giudicano. Tutt’un tratto sono esse che occupano il primo piano, esortano gli uomini a seguirle, occupando le prime file della rivolta. Gli uomini non rimangono sorpresi da questo momentaneo “mondo alla rovescia”, spintonati dai gridi e dalle incitazioni, si immettono nella folla. Sanno bene fino a che punto le donne messe in prima fila impressionano le autorità, sanno che temono poco, poiché sono meno punibili, e che questo disordine delle cose può costituire il pegno di un ulteriore successo del loro movimento. Sanno, accettano questi ruoli maschili e femminili, eppure allo stesso tempo giudicano: le donne, i loro gesti e i loro comportamenti. Affascinati, irritati, le vedono e le descrivono come fuori di sé, abusive, eccessive.”(2)

Queste poche parole di Arlette Farge che riassumono il ruolo giocato dalle rivoltose del XVIII secolo potrebbero valere anche per il ruolo delle donne nei movimenti sociali da una parte o nella vita politica dall’altra. Che siano promotrici della lotta o semplici partecipanti, si trovano spesso ad essere giudicate dagli uomini quando manifestano o fanno sciopero perché ciò costituisce alla fine una trasgressione di genere per la quale possono essere criticate o discreditate.

In ottobre 1789, si uniscono contro il caro prezzo del pane e marciano fino a Versailles per interpellare il monarca. Riportano a Parigi “il panettiere, la panettiera, e il garzone“ che considerano garanti di una vita dignitosa, e quindi responsabili della loro miseria. Prendono anche parte alle rivolte che cospargono il XIX secolo.

Allo stesso modo, nella “Belle Epoque”, la storica Anaïs Albert mostra che le donne delle classi popolari rimangono l’asse delle mobilitazioni contro il carovita, le condizioni di lavoro e i bassi salari così come nel caso delle Midinettes (sartine in lotta, ndt) nel 1917; e ciò perché incombe a loro il fabbisogno delle famiglie popolari e che si tratta di una buona parte del lavoro domestico che devono fornire (3).

Queste rivolte non sono semplicemente spontanee o spasmodiche, quindi non degne di essere ascoltate: anzi, la loro razionalità specifica è stata evidenziata dallo storico Edward Palmer Thompson a proposito della classe operaia in formazione in Inghilterra. Oltre la povertà, è il senso di ingiustizia che da origine alla mobilitazione, un evento vissuto dagli attori e dalle attrici come la rottura di un contratto sociale tacito.

Negli anni '70 le operaie in sciopero affermavano la dignità del lavoro, considerando che ci fosse rottura di questo contratto quando si trovavano umiliate, degradate quotidianamente dai capetti, vittime del disprezzo della gerarchia. Aldilà delle rivendicazioni salariali o di quelle legate all’organizzazione del lavoro, la dignità e il riconoscimento costituivano quindi un punto essenziale nelle lotte di allora, in cui erano posti in gioco i confini del giusto e dell’ingiusto.

Eppure, nella storia delle lotte miste, le donne tendono spesso a essere relegate al rango di testimoni, mentre sono principalmente i sindacalisti uomini a farsi carico dell’organizzazione e della strategia di mobilitazione. Nel contesto degli scioperi misti, nell'industria, le operai sono spesso relegate a una posizione di testimonianza a partire dalla quale si elabora, senza di loro, una strategia.

A Moulinex (fabbrica di elettrodomestici con manodopera prevalentemente femminile, ndt) nel '68, partecipano alle lotte e raccontano ai media ciò che vivono quotidianamente all’interno della fabbrica, ma sono i sindacalisti maschi che si riuniscono con la direzione e che negoziano mentre, parallelamente, alcune femministe elaborano una riflessione sull’articolazione tra lotte delle donne e lotta di classe, appoggiandosi sull’esperienza delle operaie senza necessariamente coinvolgerle in questa riflessione strategica.

In tutte le mobilitazioni sociali del periodo recente, l’implicazione delle donne è ugualmente forte, eppure sorprende. Questa implicazione appare ad ogni volta come una novità. La presenza delle donne è vista come segno di una mobilitazione eccezionale: se persino le donne ci si mettono … In realtà ciò che merita lo stupore è che ci si dimentica della loro partecipazione, detto in altre parole le si invisibilizza retrospettivamente.

Le donne si sono mobilitate in modo decisivo negli ultimi anni, con degli scioperi maggioritariamente femminili nel settore della sanità con le infermiere per esempio oppure in quello delle pulizie. Nell’autunno del 2017 le salariate di Onet fanno decine di giorni di sciopero per denunciare le loro condizioni di lavoro nelle stazioni mentre quelle dell’Holiday Inn si mobilitano contro le cadenze infernali. In questo momento lo sciopero delle donne delle pulizie dell’hotel Park Hyatt Vendome, per esempio, permette di rendere visibile non solo il loro lavoro ma anche le condizioni in cui viene svolto, la divisione sessuale e razziale del lavoro.

Oggi, con i gilet gialli, l’implicazione delle donne è in parte legata alla loro assunzione del lavoro domestico, al lavoro gratuito realizzato essenzialmente dalle donne (anche se le spinte del loro movimento non si riducono a questo): tocca sempre a loro far quadrare i conti della famiglia alla fine del mese.

In un contesto che rende impossibile realizzare questo compito per molte di loro, la mobilitazione consente di far apparire nello spazio pubblico ciò che rimaneva nella sfera privata: se in molte non ce la fanno più, è chiaro che i problemi vissuti di solito come personali hanno cause sociali, che il personale è politico.

Inoltre, parecchie donne implicate nei gilet gialli lavorano nel settore dei servizi alla persona dove le forme di organizzazione e di mobilitazione collettiva sono difficili da praticare a causa del tipo di lavoro. Mobilitarsi con i gilet gialli, vuol dire mettere in piena luce e politicizzare le loro difficili condizioni di lavoro e di vita. E’ tra l’altro ciò che risulta dai primi risultati pubblicati da un’inchiesta in corso sui gilet gialli (4). Molte di loro sono colf o assistenti a domicilio. Alcune crescono da sole i loro figli.

Ciò che cambia forse nella pubblicizzazione di questo movimento dei gilet gialli è che l’invisibilità delle donne viene parzialmente squarciata e dibattuta (anche se rimane solo una tendenza e certe serate su BFM TV per esempio danno di più la parola agli uomini). Un fenomeno probabilmente legato alla crescita di legittimità della parola delle donne in questi ultimi mesi.

Con la sequenza femminista che si dispiega a scala mondiale, dallo sciopero dell’8 marzo in Spagna alle mobilitazioni per l’aborto in Argentina, dal #MeToo negli Stati Uniti alla manifestazione del 24 novembre in Francia, una nuova ondata femminista si sta sviluppando. Favorisce la presa di parola delle donne nello spazio mediatico.

Da una parte la scelta dei portavoce dei gilet gialli è stata sintomatica della tendenza a far sparire le donne – sono solo due su otto portavoce – dall’altra c’è l’originalità di questo movimento di non avere una direzione, dove gli uomini potrebbero monopolizzare l’attenzione. Le forme di organizzazione democratica che si abbozzano a volte nel movimento non possono ignorare la parola delle donne. D’altronde si stanno mettendo in piedi iniziative femministe – assemblee, cortei di donne nelle manifestazioni - per rendere ancora più visibili le donne e le loro rivendicazioni nel quadro del movimento.

Fanny Gallot, storica e autrice di “En découdre”.

Note:
[1] https://information.tv5monde.com/terriennes/pourquoi-autant-de-femmes-en...
[2] Arlette Farge, « Évidentes émeutières », in Natalie Zemon Davis, Arlette Farge (dir.), Histoire des femmes XVIe-XVIIIe siècles, Paris, Plon, vol. III, 1991, p. 491 -496
[3] Anaïs Albert. « Les midinettes parisiennes à la Belle Époque : bon goût ou mauvais genre ? », Histoire, économie & société, vol. 32e année, no. 3, 2013, pp. 61-
[4]https://www.lemonde.fr/idees/article/2018/12/11/gilets-jaunes-une-enquet...
[5] https://information.tv5monde.com/terriennes/pourquoi-autant-de-femmes-en...

* Fonte: https://www.contretemps.eu/femmes-gilets-jaunes/
Traduzione di Nadia Demond