Aleppo, la tomba della sinistra

Tue, 27/12/2016 - 18:01
di
Santiago Alba Rico

Per uccidere su larga scala, lo sappiamo, si deve mentire e in più insultare e disprezzare le vittime. Questo è quello che gli Stati uniti hanno fatto in Iraq o quello che Israele ha sempre fatto in Palestina. Nel 2003 tutta la sinistra condivideva questa denuncia accanto alle persone normali e degne; e si era indignata e commossa insieme alle persone normali e degne dopo il bombardamento di Baghdad o Gaza.

Beh, succede che quello che ci fa arrabbiare e ci causa dolore quando i carnefici sono gli Stati uniti o Israele sia diventato una routine mentale della sinistra nel suo rapporto con la Siria. Abbiamo accettato di mentire su larga scala perché il regime di al-Asad e i suoi alleati occupanti - Russia, Iran e Hezbollah – hanno ucciso su larga scala; e nel farlo non solo abbiamo abbandonato e disprezzato le vittime, ma ci siamo allontanati dalle persone normali e degne. Gran parte della sinistra mondiale si è realmente posta ai margini dell'etica e al fianco dei dittatori e dei molti imperialismi che sottomettono quella regione. In un'Europa nella quale cresce il neofascismo - e il terrorismo islamista - ad una velocità accelerata, questo nuovo errore, sommato a tanti altri, ci può costare molto caro.

Per consentire ad al-Asad di uccidere su larga scala è stato necessario mentire molto: è stato necessario negare che il regime siriano fosse una dittatura e affermare, oltretutto, che fosse anti-imperialista, socialista e umanista; è stato necessario negare che ci fosse stata una rivoluzione democratica trasversale, non settaria e con la partecipazione di milioni di siriani, molti dei quali di sinistra, che non si riconoscevano in una direzione di partito (una sorta di gigantesco 15M che aveva dato vita a consigli e coordinamenti locali); è stato necessario negare la brutale repressione delle manifestazioni, gli arresti, le torture, le sparizioni; si è reso necessario negare la legittimità dell'Esercito siriano libero; abbiamo dovuto negare i bombardamenti con barili bomba e l'uso di armi chimiche da parte del regime; è stato necessario negare o giustificare il massiccio bombardamento della Russia di Putin; è stato necessario negare la tolleranza di tutti (al Asad, Russia, Iran, Stati uniti d'America, Arabia saudita, Turchia) nei confronti della crescita di Isis; è stato necessario negare l'occupazione iraniana della Siria; è stato necessario negare l'imperialismo russo e il suo ottimo rapporto con Israele; è stato necessario negare l'indifferenza inerte degli Stati uniti, intervenuti solo per dare il via libera allo stesso tempo al regime siriano e all'Arabia saudita; è stato necessario negare l'embargo sulle armi, che ha lasciato la ribellione nelle mani dei settori più radicali, controrivoluzionari tanto quanto il loro regime; abbiamo dovuto negare l'esistenza di manifestazioni allo stesso tempo contro al-Asad e contro Isis (o altre milizie jihadiste) nei villaggi e nelle città distrutte e assediate; è stato necessario negare l'assenza di Daesh ad Aleppo, espulso dall'Esercito siriano libero nel 2014; è stato necessario negare la sofferenza e il terrore della popolazione aleppina sotto assedio; ed è stato necessario – questa la cosa peggiore - negare l'eroismo, il sacrificio, la volontà di combattere di migliaia di giovani siriani simili a noi e vche volevano quello che vogliamo noi; e ancora è stato necessario – peggio del peggio – disprezzarli, calunniarli, insultarli, trasformarli in terroristi, mercenari e nemici della "libertà".

Mai la sinistra, di fronte ad una rivoluzione popolare, si è comportata in modo così ignobile: non solo non ha simpatizzato con essa né - una volta sconfitta - onorato i suoi eroi e pianto l'esito, ma ha sputato loro in faccia e celebrato la loro morte e sconfitta. Coerente con questo negazionismo tipicamente imperialista (o stalinista) si è posta accanto all'estrema destra europea e ha represso le manifestazioni anche nelle nostre città, criminalizzando oltretutto la sinistra più sensata che, a fianco delle persone normali e degne, denunciava i crimini di al-Asad e dei suoi alleati, senza smettere di denunciare l'Arabia saudita, la Turchia e gli Stati uniti e – naturalmente – l'intollerabile fascismo di Daesh o del Fronte Al Nustra, in tutto e per tutto equivalenti a quello del regime.

Come dice il comunista Yassin Al Haj Saleh, detenuto per 16 anni nelle carceri del regime e uno dei più grandi intellettuali ancora vivi, la Siria rivela lo stato della vecchia sinistra e certifica la sua morte. Quando sei anni fa si è prodotta una rivoluzione democratica globale il cui epicentro è stato il "mondo arabo", la sinistra non era preparata né per esserne protagonista né per approfittarne; e nemmeno per comprenderla. Oggi, quando la controrivoluzioni vittoriose rilanciano le redivive "dittature arabe" negli Stati Uniti e in Europa, la sinistra è rimasta fuori dal gioco come forza di resistenza e alternativa. Disturbati o infastiditi, tutti gli attori hanno abbandonato o combattuto le forze democratiche siriane e tutti - governi, organizzazioni fasciste e partiti comunisti – hanno finito per condividere la narrazione del “male minore” che condanna la Siria ad un'eterna dittatura, la regione alla violenza settaria e l'Europa al terrorismo senza fine.

Questa teoria del "male minore" (male minore l'assassino di centinaia di migliaia di siriani, bombardati, torturati o scomparsi!) è stata la matrice storica della "stabilità" regionale, opprimente e mortale per i popoli, che durante la seconda metà del secolo XX ha giustificato il sostegno occidentale a tutte le dittature dell'area.

Dopo una rivoluzione sventurata, quel modello del secolo scorso torna ora con ferocia raddoppiata, innestato e lubrificato da un settore della sinistra che applaude e si entusiasma della "grande vittoria" di Bachar al-Asad; un modello a tal punto appartenente al secolo scorso che si direbbe che alcuni vivono - questa "grande vittoria" - come se, 25 anni dopo e grazie a Putin, l'Urss avesse finalmente vinto la guerra fredda. Una cosa è certa: chi ha perso anche questa volta, in Siria e in Europa, e in Russia e in America Latina, sono la democrazia e la giustizia, le uniche soluzioni possibili di fronte agli autoritarismi, gli imperialismi, i fascismi - jihadisti o europei - fratelli trigemini che stanno guadagnando terreno senza resistenza, che si sostengono vicendevolmente e, perciò, potranno essere sconfitti solamente se si combattono contemporaneamente.

Come definire queste "rivoluzioni arabe" che oggi muoiono definitivamente ad Aleppo con la complicità del jihadismo e la compiacenza della grande alleanza internazionale, di destra e di sinistra, scagliatasi contro la Siria? Queste rivoluzioni sono state, soprattutto, una rivolta contro il giogo della geopolitica che ha mantenuto congelate, come sotto l'ambra, le disuguaglianze e la resistenza nella regione da almeno 70 anni. In un mondo di rapporti di forza diseguali fra gli stati-nazione, la geopolitica impone sempre limiti a qualsiasi politica di emancipazione della sinistra. La geopolitica – sia chiaro - non è di sinistra, e se deve essere presa in considerazione per avanzamenti progressivi realistici di fronte agli imperialismi e a favore della sovranità, non possiamo arrivare al punto di contraddire i principi elementari associati al carattere universale di qualsiasi etica della liberazione: quello che un tempo si chiamava “internazionalismo”, il cui slancio deve essere recuperato in una versione non identitaria e democratica.

Il cosiddetto "mondo arabo" (che è curdo, e berbero, e Amazigh e Toubou, ecc.) è l'esempio più doloroso di una regione intera, ostaggio della propria ricchezza petrolifera, sacrificata all'interesse comune delle potenze maggiori e minori in contrasto: la cosiddetta "stabilità". Quando i popoli della regione si ribellarono nel 2011 contro questo “equilibrio” mostruoso, senza chiedere permesso a nessuno e al margine di tutti gli interessi inter-nazionali, la geopolitica si è stesa su di loro come una camicia di forza, e la sinistra è corsa, accanto ai suoi nemici, ad annodarle le maniche e stringere i bottoni di ferro.

In un contesto nel quale l'egemonia statunitense si indebolisce, in cui le altre potenze ugualmente imperialiste diventano più indipendenti da tale egemonia e in grado di fissare le loro proprie agende e nel quale il campismo della seconda metà del XX secolo è sostituito da un vespaio di interessi reazionari contrapposti molto simile alla 1^ guerra mondiale – anche perché non esiste né una forza né un progetto anticapitalista o emancipatorio – la sinistra, senza comprendere nulla del “nuovo disordine mondiale” né del suo carattere reazionario, si è precipitata a consegnare il popolo siriano, legato mani e piedi, a un dittatore assassino, alla Russia di Putin, all'Iran degli ayatollah e, incidentalmente, allo Stato islamico e alle teocrazie sunnite del Golfo. Esattamente a quello che Paolo Bustinduy ha chiamato giustamente "disastro geopolitico".

Ma non lo fa solo ora e in nome del “male minore" (Franco e Pinochet un male minore!).
Sconvolta e sopraffatta da queste intifada popolari che non ha compreso (a parte un pugno di “trotzkisti", che erano "trotzkisti" solo perché le comprendevano e le sostenevano), la sinistra mondiale ha reagito fin dall'inizio allo stesso modo dei governi e dell'estrema destra: appoggiando i dittatori. Per gli imperialisti questo non ha mai rappresentato un problema (“i nostri figli di puttana”), ma dovrebbe invece rappresentarlo per coloro che si definiscono “di sinistra”, che hanno finito per rinunciare a capire il mondo così come i loro principi etici e politici. Per abbandonare quelli simili a noi sul terreno, appoggiare i carnefici e lasciare che ammazzassero su larga scala, come abbiamo detto, è stato necessario sbarazzarsi della verità e sottomettersi agli stessi luoghi comuni culturalisti, islamofobi e razzisti della peggiore destra europea.

Scommettendo su uno schema geopolitico superato che impedisce di affrontare il "nuovo disordine mondiale", la sinistra ha abbandonato, di fatto, i suoi principi in cambio di nulla; o, per meglio dire, per favorire il ritorno in una versione ampliata e più feroce delle dittature, degli imperialismi e dei jihadismi. Questo grande successo geostrategico è stato ottenuto a costo di accettare una tripla contraddizione, incompatibile con l'universalità dell'etica della liberazione e brutalmente orientalista e occidentale.

Accettare questo giogo geostrategico – comunque illusorio e senza fondamenta - significa, in primo luogo, dichiarare senza vergogna che un madrileno ha il diritto di combattere una monarchia insufficientemente democratica e un bipartitismo corrotto e a desiderare, senza rischiare la vita, più democrazia e giustizia sociale per il suo paese, mentre un siriano dovrebbe invece sopportare una dittatura che lo imprigiona, lo tortura e lo assassina e rinunciare a qualsiasi accenno di democrazia e giustizia sociale.

Accettare questo falso giogo geostrategico significa, in secondo luogo, dichiarare anche che è molto più grave la detenzione di Andrés Bódalo in Spagna (consigliere municipale di Jaen en comùn, sindacalista, condannato in Andalusia) che quella di Yassin Al Haj Saleh o Salama Keile o Samira Khalil, tutte/i comuniste/i, in Siria; o che è molto più grave l'arresto di alcuni burattinai o il processo contro un consigliere municipale di Madrid che l'assedio per fame e il bombardamento di un intero paese.

Accettare questo falso giogo geostrategico significa, infine, rivendicare con tutta naturalezza il diritto degli spagnoli (o dei latinoamericani) a decidere se e quando e come gli “arabi” possono ribellarsi contro le loro dittature. I siriani, a quanto pare, devono fare quello che dice loro dall'esterno una sinistra che si è dimostrata impotente, inutile e cieca nel proprio paese.
Significa anche vivere come una minaccia, e non una speranza, la volontà democratica e le lotte sociali di altri popoli: quelli che lottano per le nostre stesse ragioni in condizioni più difficili e che diventano non compagni nostri ma nemici, non valorosi nostri simili con cui solidarizzare ma criminali “terroristi”, questo termine che così giustamente denunciavamo e relativizzavamo quando veniva utilizzato dai nostri giudici o dai nostri governi “imperialisti”.

Gran parte della sinistra araba, europea e latinoamericana – in sostanza - ha sacrificato l'internazionalismo ad un ordine geostrategico nel quale i popoli e le loro lotte democratiche non hanno più alcun amico e dove, ormai fuorigioco e in evidente riflusso, tale sinistra ha lasciato avanzare senza resistenza, ora in tutto il mondo, i regimi contro i quali si erano sollevati gli “arabi” nel 2011. Non abbiamo capito nulla, non abbiamo aiutato nessuno, abbiamo consegnato al nemico tutte le armi, inclusa la coscienza. La democrazia retrocede, dalla Siria in tutto il mondo. Aleppo è, sì, la tomba dei sogni di libertà dei siriani, ma anche la tomba della sinistra mondiale. Proprio quando più ne abbiamo bisogno.

da vientosur.info
Traduz. Piero Maestri