Sopra e sotto il 4 marzo

Tue, 06/03/2018 - 15:24
di
Thomas Müntzer

La realtà dava segnali evidenti. Ma, fotografata nero su bianco con i dati elettorali del 4 marzo, fa una certa impressione.
Cinque anni di governi fatti di arroganza, indifferenza alla realtà, politiche di austerity, riforme liberiste del mercato del lavoro e della scuola, inseguimento politico e culturale del clima anti-migranti con i vari decreti Minniti, hanno prodotto un ulteriore approfondimento della dinamica politica già emersa nel 2013.

Rispetto a quelle elezioni, che segnarono il crollo del Pd di Bersani e l’incredibile esplosione dei Cinque Stelle, il Pd di Renzi riesce a perdere 2 milioni e 500mila voti. Il Movimento Cinque Stelle ne guadagna al contrario 1 milione e 800mila, arrivando al dato storico del 32% con complessivi 10 milioni e 700mila voti, cosa del tutto inusuale per i partiti “nuovi” – come nota anche l’Istituto Cattaneo – il cui risultato alle elezioni successive al debutto spesso si traduce in una débâcle, dimostrandosi un fenomeno tutt’altro che passeggero. Liberi e uguali ottiene esattamente gli stessi voti presi allora da Sinistra e libertà (circa 1 milione e 100mila voti), mentre Potere al popolo con i suoi 370mila voti prende meno della metà dei 765mila raccolti dalla disastrosa esperienza della lista Ingroia. Il Centrodestra guadagna complessivamente 1 milione e 900mila voti, con un crollo di Forza Italia che ne perde 3 milioni e un’esplosione della Lega che ne guadagna 4milioni e 300mila – riuscendo nell’operazione di esistere anche al sud – e un raddoppio di Fratelli d’Italia che aumenta di circa 800mila voti. A questi si aggiungono i risultati dei nazisti di Casa Pound e Forza Nuova che, pur con risultati da zero virgola, sommati crescono di circa 300mila voti rispetto al 2013.
Gli astensionisti rimangono "primo partito", essendo più di 13 milioni, ma se è vero che queste elezioni segnano il minimo storico dell’affluenza nelle elezioni politiche, il 73% dei votanti è solo di 2 punti percentuali inferiore al 2013, e superiore a quello che un po’ tutti si aspettavano e su cui si erano basati anche molti sondaggi che davano l’affluenza intorno al 65%.

Se nelle elezioni del 2008 abbiamo assistito allo shock della scomparsa della sinistra radicale dal Parlamento e iniziato a toccare con mano l’eredità di anni di bipolarismo in cui destra e sinistra hanno annebbiato le proprie differenze, nel 2013 l’approfondirsi della crisi economica e la risposta del governo tecnico ha prodotto l’esplosione anti-casta e un sistema di fatto tripolare. Gli ultimi cinque anni di più o meno grandi coalizioni tra centrosinistra e centrodestra, e una legge elettorale pensata per indebolire Grillo e permettere una nuova coalizione tra Renzi e Berlusconi, hanno infine rafforzato lo spostamento di voti verso Cinque Stelle e Lega, mentre i due partiti da tutti pronosticati come futuri governanti crollano rovinosamente.
Ne esce una situazione più instabile che mai, in cui è difficile capire quale governo possa avere una maggioranza, con Di Maio disposto a giocarsi tutto pur di diventare premier, Salvini che non vuole mollare il nuovo ruolo di capo del centrodestra ad egemonia xenofoba, e Renzi che inventa le “fake-dimissioni” per non mollare il suo (disastroso) ruolo e non farsi mollare dai suoi parlamentari.
Sicuramente è grande per tutti la confusione sotto al cielo, ma la situazione non sembra comunque molto favorevole. Tanto che il giorno dopo i risultati ci ritroviamo a Firenze con un uomo bianco che spara e uccide senza motivo un uomo nero...

Gli effetti prolungati della crisi economica; la crescita delle diseguaglianze; la crisi profonda di strategia delle classi dirigenti che pretendono di dominare senza preoccuparsi del consenso e senza cedere nemmeno una briciola dei loro crescenti profitti; l’assenza di percezione della realtà dei residui della “sinistra storica”, con il Pd che ripropone Renzi anche dopo la sonora sconfitta al referendum e l’idea bizzarra di Liberi e Uguali di rifondare la sinistra con i dirigenti maggiormente responsabili dei governi liberisti e securitari dei vari centrosinistra; le iniziative rinunciatarie di fronte ai "governi amici" dei sindacati confederali; la debolezza dei movimenti, ad eccezione del fondamentale movimento Non una di meno, nel riuscire scalfire la narrazione dominante e mostrare il re nudo. E' la somma di tutto questo ad aver da un lato dato spazio al clima crescente di guerra tra poveri, spostando l’attenzione non sul 1% più ricco su cui si concentra gran parte della ricchezza ma sulle presunte colpe dei più poveri, sfruttati e senza diritti. Dall’altro ad aver incanalato tutta la richiesta di cambiamento nelle forze percepite come più lontane da quelle che hanno fin qui governato, in alcuni casi quasi a prescindere dai contenuti proposti.

Non va confuso però, come fosse la stessa cosa, il voto alla Lega con il voto ai Cinque Stelle. Se è vero che anche il movimento di Grillo raccoglie una parte di elettorato incline alla guerra xenofoba tra poveri, i Cinque Stelle ormai – soprattutto nella sua “versione Di Maio” – si connotano come partito “pigliatutto”, raccogliendo istanze di cambiamento anche radicali, necessità di sicurezza e di nuova presenza dello Stato, voto utile contro le destre e richieste di buon Governo soddisfatte dalla lista di fantaministri “tecnici” presentata da Di Maio. Mantenendo un’aurea di alterità soprattutto grazie agli attacchi scomposti che continuano a subire da tutto l’establishment politico e mediatico, senza nessuno che noti ad esempio che il problema della Giunta Raggi a Roma non è “spelacchio” e nemmeno quanto siano più onesti degli altri, ma la sostanziale continuità politica, urbanistica e sociale, con le precedenti giunte di centrosinistra e centrodestra.

Di fronte a un tale quadro e a una campagna elettorale definita unanimemente come “la più brutta della storia”, c’è stato un solo momento in cui abbiamo trovato ossigeno e mostrato una vera ed efficace capacità di reazione comune: nella bellissima manifestazione del 10 febbraio a Macerata.

Noi siamo rimasti di lato in questa campagna elettorale, nonostante la proposta di Potere al Popolo avesse un posizionamento politico in larga parte condivisibile e, a prescindere dai voti, abbia raccolto varie simpatie e speranze grazie al ruolo e all’immaginario mutualistico creato dai compagni di Ex Opg. Ma dopo averci provato e riprovato, ciò che non ci convince è che si possa improvvisare per via elettorale, per di più in soli tre mesi e senza alcuna selezione degli interlocutori, l’immane oltre che urgente necessità di ricostruzione che abbiamo di fronte dopo la dissoluzione del movimento operaio.
I percorsi puramente elettorali, specie se finiscono per riproporre la contrapposizione tra una “vera sinistra” contro una “falsa”, rimangono ormai da 10 anni sistematicamente delusi di fronte alla sostanziale scomparsa della sinistra. Ci siamo passati un po’ tutti, pensiamo che sia giusto prenderne atto. Il problema non è più la “vera” e la “falsa” sinistra, o comunque non prioritariamente. Il problema enorme che abbiamo è la ricostruzione di fondo dei legami sociali e dell’idea stessa di solidarietà, e un necessario ripensamento della nostra stessa identità.
Ce lo diciamo da anni ma poi, forse perchè nessuno di noi trova soluzioni vincenti, quando arrivano le elezioni rimuoviamo le nostre analisi, speriamo generosamente nel risultato elettorale, e poi rimaniamo delusi.

Non diciamo di escludere per sempre possibili sbocchi elettorali, ma se oggi la situazione è questa, serve uno scatto e, per reagire efficacemente, la prima cosa da fare è non farsi stringere nel mezzo, magari pensando adesso a quale lista fare alle prossime europee.
Non rimaniamo nel mezzo allora, e ripartiamo da sotto e da sopra. Dalla manifestazione di Macerata, nata dal basso con grande capacità di mobilitazione larga e coinvolgente. Dal movimento femminista Non una di meno già dalla giornata di sciopero dell’8 marzo, che vivrà in Italia come in tanti paesi del mondo. Dalla messa in rete delle pratiche mutualistiche autogestite, sempre più diffuse nel nostro paese perchè in grado di dare risposte a problemi economici immediati ma anche di ricreare legami sociali e nuovo discorso politico. E ripartiamo anche da sopra, ricominciando a pensare, a formulare idee, confronti, elaborazioni all’altezza della fase di crisi in cui siamo immersi e con l'obiettivo di smontare e ribaltare le false narrazioni della realtà.
Lavoriamo di immaginazione, per farci trovare dove non ci aspettano, non dove ci hanno già misurato.