L'alternativa in Grecia

Wed, 25/02/2015 - 10:58
di
Stathis Kouvelakis*

Iniziamo da un dato che dovrebbe essere incontrovertibile: l’accordo dell’Eurogruppo accettato dal governo greco è una ritirata precipitosa. La dittatura del memorandum viene estesa, l’accordo sul prestito e la totalità del debito vengono riconosciuti, la “supervisione”, nuova denominazione del dominio della troika, viene proseguita sotto altro nome, e ci sono scarse possibilità che il programma di Syriza possa essere applicato.
Un fallimento di tale portata non è né può essere un caso, né è il risultato di una manovra tattica concepita malamente. Rappresenta piuttosto la sconfitta di una linea politica specifica, che sta alla base dell’atteggiamento attuale del governo.

L’accordo di venerdì
Nello spirito del mandato popolare per una rottura con il regime del Memorandum e una liberazione dal debito, la Grecia ha avviato le negoziazione rigettando l’estensione del “programma” attuale, concordato con il governo Samaras, insieme alla tranche di 7 miliardi di euro, con l’eccezione del rendimento di 1.9 miliardi di euro dei bond greci a cui la Grecia aveva diritto. Senza acconsentire a delle procedure di supervisione o valutazione, il governo greco aveva richiesto un “programma-ponte” di transizione per quattro mesi, senza misure di austerità, per assicurare la liquidità e applicare almeno una parte del suo programma all’interno del pareggio di bilancio. Inoltre aveva chiesto ai creditori di riconoscere l’insostenibilità del debito e la necessità di un nuovo giro di negoziazioni a tutto campo.
Ma l’accordo finale equivale a un rifiuto di tutte queste richieste, punto per punto. Inoltre, implica un nuovo insieme di misure miranti a legare le mani del governo e a sventare ogni misura che possa indicare una rottura con le politiche del Memorandum. Nel documento dell’Eurogruppo di venerdì scorso, il programma esistente viene chiamato ‘accordo’, ma questo non cambia nulla di essenziale. L’“estensione” richiesta dalla Grecia (all’interno del “Master Financial Assistance Facility Agreement”) deve avere luogo nel “quadro degli accordi esistenti” e mira “a completare con successo la valutazione sulla base delle condizioni dell’accordo esistente”.
Viene inoltre affermato chiaramente che “solo l’approvazione alla conclusione della revisione delle istituzioni consentirà una qualsiasi erogazione della tranche in sospeso del programma EFSF corrente e il trasferimento dei profitti SMP 2014 [si tratta dei 1.9 miliardi di profitti provenienti dai bond greci a cui la Grecia ha diritto]. Entrambi questi aspetti sono ancora soggetti ad approvazione da parte dell’Eurogruppo.” In questo modo la Grecia riceverà la tranche che aveva inizialmente rifiutato, ma a condizione di tener fede agli impegni stipulati dai suoi predecessori.

Quello che ci troviamo di fronte è quindi la riaffermazione della tipica posizione tedesca consistente nell’imporre – come precondizione per ogni accordo e ogni futura erogazione di fondi – il completamento delle procedure di “revisione” da parte del meccanismo tripartito (che si chiami “troika” o le “istituzioni”) per la supervisione di ogni accordo passato e futuro. Inoltre, e questo rende del tutto palese che l’uso del termine “istituzioni” anziché “troika” non è altro che un’operazione estetica, il testo riafferma specificatamente la composizione tripartita del meccanismo di supervisione, sottolineando che le “istituzioni” includono la BCE (“in questo contesto ricordiamo l’indipendenza della Banca Centrale Europea”) e il Fondo Monetario Internazionale (“abbiamo anche concordato che l’FMI continuerà a svolgere il suo ruolo”).
Per quanto riguarda il debito, il testo cita il fatto che “le autorità greche ribadiscono il loro impegno inequivocabile a onorare i loro obblighi finanziari rispetto a tutti i creditori in maniera completa e tempestiva”. In altre parole, dimenticatevi ogni discussione sul “riaggiustamento del debito”, la “riduzione del debito”, per non parlare della “cancellazione della maggior parte del debito”, che costituiva l’impegno programmatico di Syriza. Ogni futura “riduzione del debito” è possibile solo sulla base di quanto era stato proposto nella decisione dell’Eurogruppo del novembre del 2012, cioè una riduzione dei tassi di interesse e una rinegoziazione, che, come si sa, è pressoché irrilevante dal punto di vista del peso di saldare il debito, dal momento che ha effetti solo sul pagamento degli interessi, che è già molto basso. Ma questo non è tutto, perché per il pagamento del debito la Grecia sta ora accettando pienamente lo stesso quadro delle decisioni dell’Eurogruppo del novembre 2012, al tempo del governo tripartitico di Antonis Samaras. Esso includeva i seguenti impegni: il 4.5% di avanzo primario a partire dal 2016, l’accelerazione delle privatizzazioni, l’istituzione di un fondo speciale per il saldo del debito – a cui il settore pubblico greco era tenuto a trasferire tutti gli introiti provenienti dalle privatizzazioni, gli avanzi primari, e il 30% di ogni eccedenza. È per questa ragione che il testo di venerdì menzionava non solo gli avanzi, ma anche i “finanziamenti necessari”. In ogni caso, il cuore del Memorandum, vale a dire l’ottenimento di assurdi avanzi primary e la svendita di proprietà pubblica all’unico scopo di riempire le tasche dei creditori, rimane intatto. Il solo accenno a un ammorbidimento è l’assicurazione vaga che “per l’obiettivo dell’avanzo primario del 2015, le istituzioni prenderanno in considerazione le circostanze economiche del 2015”.

Ma non era sufficiente che i governi europei respingessero al mittente tutte le richieste greche. Dovevano anche legare mani e piedi del governo Syriza in maniera tale da dimostrare nella pratica che qualsiasi sia il risultato elettorale e il profilo politico del governo che ne emerge, un rovesciamento delle politiche di austerità non è possibile all’interno del quadro europeo esistente. Come affermato dal Presidente della Commissione europea, Jean-Claude Juncker, “non ci può essere una decisione democratica contro i trattati europei”. E questo viene ottenuto in due modi. In primo luogo, come indicato nel testo: “Le autorità greche si impegnano ad astenersi da qualsiasi smantellamento delle misure e a modifiche unilaterali alle politiche e alle riforme strutturali che avrebbero un impatto negativo per gli obiettivi di bilancio, la ripresa economica e la stabilità finanziaria, come valutate dalle istituzioni.” Dunque nessuno smantellamento del regime stabilito dal Memorandum, nessuna “modifica unilaterale”, e non solo per quanto riguarda le misure che hanno un costo di bilancio (come l’abolizione delle tasse, l’innalzamento delle soglie di esenzione, l’aumento delle pensioni, e l’assistenza “umanitaria”) come era stato detto inizialmente, ma in modo molto più ampio, includendo qualsiasi cosa possa avere un “impatto negativo” sulla “ripresa economica o la stabilità finanziaria”, sempre in accordo con il giudizio decisivo delle “istituzioni”.

Non è necessario specificare che questo ha delle conseguenze rilevanti non solo per la reintroduzione del salario minimo e la ricostruzione della legislazione sul lavoro che è stata smantellata negli ultimi anni, ma anche per le riforme del sistema bancario che potrebbero rafforzare il controllo pubblico (nemmeno una parola, ovviamente, sulla “proprietà pubblica”, che era presente nella dichiarazione fondativa di Syriza).
Inoltre, l’accordo specifica che “In vista della revisione delle istituzioni, l’Eurogruppo concorda che i fondi finora disponibili nel buffer HFSF dovrebbero essere tenuti dall’EFSF, privo di diritti di terzi per la durata della proroga MFFA. I fondi continuano ad essere disponibili per la durata del prolungamento MFFA e possono essere utilizzati solo per i costi di ricapitalizzazione e per i costi di risoluzione delle banche. Essi saranno rilasciati solo su richiesta da parte della BCE/SSM”. Questa clausola mostra come non sia scappato all’attenzione dei governi europei il fatto che il programma di Salonicco di Syriza affermava che “i capitali di avviamento per il settore pubblico e un corpo intermediario e i capitali di avviamento per la costituzione di banche a scopo speciale, per l’ammontare di un totale dell’ordine dei 3 miliardi, saranno assicurati attraverso il cosiddetto “ammortizzatore” di circa 11 miliardi per le banche previsto nel HFSF”. In altri termini, addio a ogni idea di utilizzare i fondi HFSF per degli obiettivi orientati alla crescita. Qualsiasi illusione ancora esistesse rispetto alla possibilità di usare i fondi europei per degli scopi estranei alla camicia di forza per i quali sono stati destinati – e ancora di più che essi potessero essere posti sotto la giurisdizione del governo greco – è stata così fugata.

La sconfitta della strategia del “buon euro”
La controparte greca può davvero credere di aver ottenuto qualcosa, al di là della notevole creatività verbale del testo? Teoricamente sì, nella misura in cui non ci sono più riferimenti espliciti alle misure di austerità, e i “cambiamenti strutturali” menzionati (riforme amministrative e lotta all’evasione fiscale) non appartengono a questa categoria, una modifica che ovviamente va verificata alla luce della lista di misure che dovrebbe emergere nei prossimi giorni [è stata resa pubblica il 24 febbraio, N.d.T.]. Ma dal momento che è stato mantenuto l’obiettivo degli scandalosi avanzi primari, insieme a tutto il macchinario di supervisione e valutazione della troika, ogni idea di un allentamento dell’austerità sembra non avere contatti con la realtà. Le nuove misure, e ovviamente la stabilizzazione delle acquisizioni del Memorandum già esistenti sono una strada a senso unico finché il regime attuale prevale, viene ribattezzato e perpetuato.
Da quanto sopra emerge chiaramente che nel corso delle “negoziazioni”, con la pistola della BCE puntata alla testa e il panico bancario che ne è conseguito, le posizioni greche sono quasi interamente crollate. Questo aiuta a comprendere le innovazioni terminologiche (“istituzioni” invece di “troika”, “accordi attuali” invece di “programma attuale”, “Master Financial Assistance Facility Agreement” invece di “Memorandum,” ecc.). Una consolazione simbolica o un’ulteriore furbata, a seconda da come la si guardi.
La domanda che emerge, ovviamente, è come siamo finiti in questa situazione. Com’è possibile che, dopo solo alcune settimane dallo storico risultato del 25 gennaio, ci troviamo di fronte a questo contrordine rispetto al mandato popolare per il rovesciamento del Memorandum? La risposta è semplice: quella che è crollata nelle ultime due settimane è un’opzione strategica precisa che è stata alla base di tutto l’approccio di Syriza, in particolare dopo il 2012: la strategia che escludeva “mosse unilaterali” come la sospensione dei pagamenti e, ancora di più, l’uscita dall’euro, e affermava che:

• Sulla questione del debito è possibile trovare una soluzione favorevole con la partecipazione del creditore, seguendo il modello degli accordi di Londra del 1953 per i debiti della Germania – ignorando ovviamente il fatto che le ragioni per cui gli Alleati agirono in maniera generosa nei confronti della Germania non si applicano in alcun modo ai governi europei oggi rispetto al debito greco, e più in generale rispetto al debito pubblico dei paesi super-indebitati dell’attuale Unione Europea.
• Il rovesciamento dei Memoranda, l’espulsione della troika, e un differente modello di politica economica (in altre parole l’applicazione del programma di Salonicco) possono essere avviati a prescindere dall’esito delle negoziazioni sul debito e, soprattutto, senza provocare alcuna reazione da parte dei governi europei, al di là delle minacce iniziali, che sono state liquidate come un semplice bluff. In effetti, si prevedeva che metà dei fondi per il programma di Salonicco sarebbe provenuta dalle risorse europee. In altre parole, non solo le istituzioni europee non avrebbero reagito, ma in più avrebbero finanziato generosamente delle politiche opposte a quelle che hanno imposto negli ultimi cinque anni.
• Infine, lo scenario del “buon euro” presupponeva l’esistenza di alleati di una certa rilevanza a livello dei governi e/o delle istituzioni (il riferimento qui non è al sostegno proveniente dai movimenti sociali o dalle altre forze di sinistra). I governi di Francia e Italia, i socialdemocratici tedeschi e, infine, in una vera e propria esplosione di fantasia, persino Mario Draghi venivano invocati di tanto in tanto come potenziali alleati.

Tutto ciò è crollato nello spazio di pochi giorni. Il 4 febbraio la BCE ha annunciato la sospensione della maggiore fonte di liquidità delle banche greche. La fuga di capitali che era già iniziata ha acquisito rapidamente delle dimensioni incontrollabili, mentre le autorità greche, temendo che una tale reazione avrebbe segnato l’inizio del Grexit, non hanno preso la benché minima misura “unilaterale” (come l’imposizione dei controlli di capitali).
Le parole “cancellazione” del debito e persino “haircut” sono state rigettate nel modo più categorico possibile dai creditori, che sono divenuti furiosi al solo sentirle (con il risultato che sono state quasi immediatamente tolte di circolazione). Invece del loro rovesciamento, l’unico elemento “non negoziabile” è finito per essere il mantenimento dei Memoranda e della supervisione della troika. Nessun paese ha sostenuto le posizioni greche, al di là di qualche cortesia diplomatica da parte di coloro che volevano che il governo Greco salvasse almeno la faccia.
Temendo il grexit più di quanto temesse i suoi interlocutori, del tutto impreparato di fronte alla circostanza del tutto prevedibile della destabilizzazione bancaria (la classica arma usata dal sistema contro i governi di sinistra a livello internazionale per quasi un secolo), la controparte greca è rimasta essenzialmente senza niente su cui fare leva nelle negoziazioni. Si è trovata con le spalle al muro e con solo cattive opzioni a disposizione. La sconfitta di venerdì era inevitabile e marca la fine della strategia di “una soluzione positiva all’interno dell’euro”, o per essere più precisi di “una soluzione positiva a tutti i costi all’interno dell’euro”.

Come evitare la sconfitta totale
Raramente una strategia è stata confutata così inequivocabilmente e così rapidamente. Manolis Glezos di Syriza aveva quindi ragione a parlare di “illusione” e, mostrandosi all’altezza della situazione, a scusarsi con il popolo greco per aver contribuito a coltivarla. Precisamente per la medesima ragione, ma inversamente, e con l’aiuto di alcuni media locali, il governo ha cercato di presentare questo risultato devastante come un “successo della trattativa”, confermando che “l’Europa è un’arena per la negoziazione”, che “si sta lasciando alle spalle la Troika e i Memoranda” e altre simili affermazioni. Avendo paura di fare ciò che Glezos ha avuto il coraggio di fare – cioè riconoscere il fallimento di un’intera strategia – la direzione sta cercando di nascondere la verità, “facendo passare carne per pesce”, per citare un popolare modo di dire greco. Ma presentare una sconfitta come un successo è forse peggiore che la sconfitta stessa. Da un lato, trasforma il discorso del governo in ipocrisia, in una serie di cliché e banalità che vengono evocate al solo fine di legittimare retrospettivamente ogni decisione, trasformando il nero in bianco; e dall’altro, prepara inevitabilmente il terreno per le prossime sconfitte, più definitive, in quanto dissolve i criteri in base ai quali è possibile distinguere il successo dalla ritirata. Per far riferimento a un precedente storico ben noto alla sinistra, se il Trattato di Brest-Litovsk, con il quale la Russia sovietica assicurò la pace con la Germania accettando enormi perdite territoriali, fosse stato proclamato una “vittoria”, non c’è dubbio che la Rivoluzione d’Ottobre sarebbe stata sconfitta. Se, dunque, vogliamo evitare una seconda sconfitta, che questa volta sarebbe decisiva e che porrebbe termine all’esperimento della sinistra greca, con conseguenze incalcolabili per la società e la sinistra dentro e fuori il paese, dobbiamo guardare la realtà in faccia e parlare il linguaggio dell’onestà. Il dibattito sulla strategia deve finalmente ricominciare, senza tabu e sulla base delle risoluzioni del congresso di Syriza, che ormai da qualche tempo si sono trasformate in icone innocue. Se Syriza ha ancora una ragione per esistere come un soggetto politico, una forza per l’elaborazione di politiche di emancipazione, che contribuisca alle lotte delle classi subalterne, deve partecipare a questo sforzo per avviare un’analisi approfondita della situazione presente e degli strumenti per uscirne. “La verità è rivoluzionaria”, per citare le parole di un famoso leader che sapeva di cosa stava parlando. E solo la verità è rivoluzionaria, possiamo aggiungere, con l’esperienza storica che abbiamo acquisito da allora.

*Membro della Direzione nazionale di Syriza. Fonte articolo: https://www.jacobinmag.com/2015/02/syriza-greece-eurogroup-kouvelakis/ Traduzione di Cinzia Arruzza.