Ebola, il fallimento morale del capitalismo

Wed, 03/09/2014 - 17:29
di
Jean Batou*

Sembra che non ci siano dubbi che una varietà di pipistrello africano (pipistrello della frutta, della famiglia Pteropodidae, nda) sia la nicchia del virus Ebola (tipo Filoviridae); un germe costituito da una decina di proteine ed identificato per la prima volta nel 1976. Oggi si conoscono cinque tipi di Ebola; tra questi, quello che apparve per la prima volta nello Zaire (oggi Repubblica Democratica del Congo-RDC) e che attualmente colpisce l'Africa occidentale.

Sono questi mammiferi volanti che lo trasmettono alle scimmie e ad altri animali e anche, può essere direttamente, agli esseri umani, prima che questo agente patogeno provochi epidemie ricorrenti di una febbre mortale. I primi sintomi dell'Ebola sono di tipo influenzale e precedono l'astenia (uno stato di debolezza, tanto mentale che muscolare, caratterizzata da mancanza di energia e perdita di entusiasmo), la diarrea, il vomito, e, spesso, le emorragie, il che non impedisce di poterla confondere con altre condizioni patologiche. In più del 50% dei casi provoca la morte in una decina di giorni (ma dipende dalla zona geografica, nda)

Ebola e accaparramento delle terre

Dalla prima apparizione del virus Ebola nella RDC, una ventina di epidemie hanno colpito dieci paesi. Inizialmente il bacino del fiume Congo (Ebola è il nome di un affluente del Congo) e più di recente l'Africa Occidentale; in particolare la Guinea, Liberia, Sierra Leone e Nigeria. Tuttavia è più che probabile che l'ultimo scoppio di questa malattia provochi più vittime di tutte le altre epidemie censite fino ad oggi (2.345 morti dal 1976 al 2013). In effetti, per la prima volta, l'epidemia si è fatta strada verso centri urbani importanti come Conakry (Guinea), Monrovia (Liberia) e Freetown (Sierra Leone). C'è anche da considerare che le persone più colpite e sulle quali ha maggiormente gravato questo virus, sono le donne perchè sono quelle che si incaricano di accudire le persone malate.

Come spiegare la trasmissione alle persone di questo germe fino ad ora confinato alla fauna selvatica? Questa contaminazione ha la sua spiegazione nel contesto di un sempre più intenso sfruttamento economico della savana africana, una vasta zona di 400 milioni di ettari che si estende dal Senegal fino all'Africa del Sud e che la FAO e la Banca Mondiale presentano come la nuova Eldorado agricola mondiale. Le sue conseguenze più conosciute sono il regresso dell'agricoltura contadina in piccola scala a beneficio delle esportazioni dell'industria agroalimentare, lo sradicamento di milioni di piccoli agricoltori impoveriti e la concentrazione di terre nelle mani di grandi società internazionali. Queste manifestazioni di accumulo per esproprio sono in pieno fermento nei paesi colpiti attualmente dal virus Ebola. Si traducono nella deforestazione di ampie zone, il che fa si che le comunità precarie circostanti entrino in contatto con sostanze nutrienti potenzialmente pericolose andandole a cercare ogni volta più lontano e sempre più dentro alle foreste tropicali. Sempre di più, la mancanza di proteine li spinge a consumare "carne della savana" – scimmie, piccoli roditori, pipistrelli, etc. - il che li espone a nuovi agenti patogeni. La deforestazione e, probabilmente, il surriscaldamento climatico globale, sembra aver accentuato anche l'aridità e la durezza della stagione secca; due fattori favorevoli allo scatenarsi dell'epidemia. Fattori che hanno anche potuto favorire la migrazione e la dispersione dei pipistrelli portatori del virus.

Un virus nel cuore delle tenebre

I paesi colpiti dall'epidemia attuale sono stati particolarmente ambiti dagli investitori internazionali per diversi anni, per la grande disponibilità di terre coltivabili, la vulnerabilità del piccolo contadino dedito all'agricoltura di sussistenza e le condizioni politiche favorevoli (promozione della libera impresa e revoca dello Stato). Fu così che grandi investitori italiani (Nuove Iniziative Industriali) e statounitensi (Farm Land of Guinea) misero gli occhi sulla Guinea. Troviamo anche interessi malesi in Liberia (Sime Darby), svizzeri (Addax) e cino-vietnamiti in Sierra Leone, che controllano la produzione di biocarburanti in piena espansione.

Un piccolo contadino testimonia così le conseguenze sociali del controllo della compagnia malese Sime Darby sulle terre più fertili della Liberia: "Adesso siamo a corto di cibo. Non abbiamo ospedali nè scuole. Non abbiamo lavoro. Non possiamo pagare gli insegnanti, che emigrano". Il problema è che l'accaparramento di terre da parte delle compagnie straniere continua a provocare da diversi anni un aggiustamento strutturale che, letteralmente, ha distrutto le infrastrutture pubbliche (soprattutto scuola e sanità) dei paesi più poveri dell'Africa subsahariana.

La prima nicchia dell'attuale epidemia sembra essersi sviluppata, a partire da dicembre 2013, nei paesi intorno a Guéckédou, nel sud della Guinea; un agglomerato che ha visto praticamente triplicare la sua popolazione in dieci anni (2000-2010) dovuto all'arrivo di rifugiati delle guerre civili in Sierra Leone e Liberia. Evidentemente le sue infrastrutture pubbliche non corrispondono ai bisogni da coprire e le autorità locali sono completamente screditate. Come era prevedibile, il personale medico, poco numeroso e sotto-equipaggiato, non dispone dei mezzi per fronteggiare il flusso di malati e proteggersi dalla contaminazione, cosicchè le sue fragilissime istituzioni sanitarie si trasformano in centri di propagazione dell'epidemia.

In condizioni simili, senza poter realizzare analisi sul campo per determinare se una persona è infetta o meno (per saperlo si devono inviare i campioni in Europa o in America del nord), l'epidemia è rapidamente sfuggita dal controllo. E poco a poco si è estesa agli agglomerati vicini, ancor più per il fatto che Guéckédou accoglie un importante mercato regionale, fino a raggiungere le capitali della Guinea, Liberia e Sierra Leone. C'è da considerare che, secondo gli studi epidemiologici attuali, ogni malato è potuto entrare in contatto con un numero che varia dalle 20 alle 40 persone che sarebbe necessario identificare e tracciare per 21 giorni.

Una epidemia medievale

In Europa o in America del Nord, non sarebbe difficile contenere il contagio di una malattia che si trasmette tra esseri umani attraverso fluidi corporei (saliva, sudore, vomito, urina, feci, sperma, sangue, ecc..). Contrariamente all'AIDS, il tempo di incubazione dell'Ebola è breve (una media di dieci giorni) e le persone colpite sono contagiose solo nel breve periodo durante il quale presentano i sintomi. Sarebbe sufficiente disporre di infrastrutture sanitarie in condizioni sicure (camici, guanti e mascherine, siringhe sterili, etc.) che permettessero di prendersi cura dei malati ed evitare che entrassero in contatto non protetto con i propri familiari, così come informare e seguire le persone che abbiano avuto relazioni con loro.

Tuttavia, in Africa occidentale, "il personale sul campo (...) afferma di non avere accesso al materiale indispensabile per autoproteggersi nè per proteggere i pazienti. Molti degli ospedali sono sforniti dato che il controllo dell'infezione è molto limitato e non c'è quasi nessun modo per determinare quali siano le persone a rischio" (Vox, 9/08/2014). "In Sierra Leone, nel paese di Kenema, diciotto medici e infermiere hanno contratto l'Ebola e almeno cinque sono morti"; le infermiere hanno smesso di lavorare: dovevano ricevere un supplemento di 13 dollari a settimana per lavorare 12 ore al giorno con dispositivi di protezione, però il governo non ha rispettato le sue promesse"; "In Liberia, interi settori del servizio sanitario sono alla deriva. (...) Gli ospedali di Monrovia, la capitale, sono sovraccarichi di pazienti con l'Ebola e rifiutano di accettare altre persone (...) per le strade si accumulano i cadaveri infetti: l'epidemia è sulla buona strada di assumere tinte medievali" (The New Yorker, 11/08/2014).

Una lotta efficace contro l'epidemia necessiterebbe disporre di notevoli risorse ma soprattutto di una collaborazione volontaria delle popolazioni colpite con gli operatori sanitari e le autorità, per esempio, con l'obiettivo di creare un cordone sanitario funerario – i cadaveri sono particolarmente contagiosi - e disinfettare le case dei morti. Questioni, tutte queste, assenti tra le popolazioni colpite che hanno tutte le ragioni per diffidare tanto degli interventi stranieri, soprattutto bianchi (OMS, MSF, UNICEF, Croce Rossa, etc.) quanto delle loro stesse autorità; quest'ultime, più interessate a dispiegare soldati per impedire lo spostamento della popolazione che a rafforzare economicamente e a farsi carico di tutte le misure sanitarie indispensabili.

Big Pharma se ne lava le mani

Da quando l'OMS (Organizzazione Mondiale della Salute) ha dichiarato che l'epidemia in Africa Occidentale era un'emergenza sanitaria, le case farmaceutiche più avanzate nell'aggiornamento di vaccini e antivirali come Tekmira, Sarepta, BioCryst, NanoViricides, Mapp Bio, sono salite in borsa. Ed effettivamente, anche se in piccole quantità, dispongono di sostanze pronte per essere testate su esseri umani (Reuters, 8/08/2014).

Secondo il professore Daniel Bausch (Tulane School of Public Health and Tropical Medicine), il principale ostacolo per la produzione di farmaci efficaci non è di ordine scientifico o tecnico ma economico: "Le case farmaceutiche sono poco interessate ad investire dollari in ricerca e sviluppo per il trattamento di una malattia che si presenta sporadicamente in paesi africani con un basso livello di vita". E' la ragione per la quale il Dr John Ashton, presidente della Facoltà britannica della Salute Pubblica parla della "bancarotta morale" dell'industria farmaceutica e del capitalismo (International Business Time, 3/08/2014).

Fino ad ora, l'Ebola non era riuscito ad interessare niente più che i militari in nome della prevenzione del bioterrorismo, ma le potenti case farmaceutiche rifiutavano di finanziare esami clinici indispensabili e molto costosi. Ora, dato il tasso di mortalità così alto di questo virus, l'OMS ha dichiarato eticamente accettabile l'utilizzo di sostanze non omologate sulle persone colpite. C'è urgenza, afferma Peter Piot, il co-scopritore dell'Ebola: "Una volta passata l'epidemia non ci saranno più sforzi di investimenti per cercare trattamenti e vaccini e quando tornerà a manifestarsi una nuova epidemia niente avrà avanzato in niente. Dopo quella del 1976, l'OMS affermò di volere mettere in piedi una squadra di intervento internazionale. L'iniziativa restò lettera morta." Il ricercatore chiede un finanziamento attraverso l'aiuto allo sviluppo di una ricerca orientata a offrire trattamenti gratuiti sotto la responsabilità dell'OMS (Le Monde, 7/08/2014).

La tragica epidemia attuale mostra fino a che punto la ricerca sfrenata del profitto privato sia incompatibile con la salute pubblica; in particolare quella dei poveri nei paesi dominati. Jean-Marie Le Pen, altro non fa che forzare la logica di tale barbarie fino alle sue estreme conseguenze quando dichiara che "Monseñor Ébola" ha i mezzi per fermare l'esplosione demografica in tre mesi. Però per andare oltre l'indignazione e modificare davvero il corso delle cose, è necessario rompore con l'attuale disordine mondiale. Per cominciare, la difesa della salute pubblica non può dissociarsi dagli obbiettivi ecosocialisti che perseguiamo perchè dipende dalle nostre condizioni di vita e perchè il produttivismo attuale favorisce continuamente l'emergere di nuove malattie, somatiche o fisiche, che il capitalismo mette a carico della società, a qualunque costo. In secondo luogo, l'industria e la ricerca farmaceutica non potranno rispondere alle necessità dell'umanità, in particolare dei suoi settori maggiormente impoveriti, a meno che non rinuncino a fissare le proprie priorità in funzione degli sbocchi commerciali e si lascino guidare dalle scelte democratiche delle popolazioni interessate, il che implica la loro socializzazione e finanziamento pubblico. Tutto questo non potrebbe cominciare investendo una gran parte delle formidabili somme che assorbono in modo parassitario gli interessi sul debito, tanto nel Nord come nel Sud del mondo?

*Da vientosur.info. Traduzioe di Sarah Mancini