La rivoluzione sudanese e i presagi di potenziali minacce

Mon, 31/12/2018 - 12:42
di
Mohammed Elnaiem*

Per una settimana, i sudanesi si sono sollevati da quando un'onda rivoluzionaria è iniziata nella storica città di Atbara, nota per una tradizione di forte attività sindacale, di resistenza militante anticoloniale e di lotta rivoluzionaria. In effetti, il popolo sudanese si è sollevato in almeno 5 città, contro le misure di austerità e i tagli ai sussidi per il pane, che hanno provocato l'indigenza alimentare di molte persone, panetterie vuote e l'incapacità per le popolazioni sudanesi di assicurarsi i loro prossimi pasti.

La situazione è terribile; la Famine Early Warning Systems Network ha predetto una crisi a livello nazionale, con un aumento nel 2019 dei prezzi alimentari, già al 150-200% sopra la media, fino al 200-250%. Si prevede che si verificherà una carestia in tutto il Paese, colpendo il Nord Darfur, il Jebel Marra, il Mar Rosso e parti del West Kordofan, del Nord Kordofan, del Kordofan meridionale e del Nilo Azzurro prima di estendersi nella capitale.

Ma per molti la crisi è già arrivata.

In un Paese in cui il 75% del bilancio annuale è finalizzato alla difesa - nel tentativo di conservare un regime illegittimo - la questione della sicurezza è la vera ragione della malattia del regime. La decisione di separarsi da parte del Sud, dove si trova il petrolio, ha fatto si che il governo di Bashir debba guardare altrove per impedire la sua stessa scomparsa. Il Sud si è separato a causa dell'intransigenza dell'élite al potere e della sua incapacità di impegnarsi in uno sforzo di pace prima che l'élite sud sudanese – anch'essa senza reali interessi condivisi con la grande maggioranza del popolo sud sudanese – decidesse di creare uno stato indipendente per proteggersi da un sistema genocida (sfortunatamente, la loro indipendenza ha significato solo la nazionalizzazione della propria oppressione, e mezzo milione di persone sono già morte in una inutile guerra civile).

Ma sembra che il regime non impari mai. I continui assalti del governo contro il Darfur e le montagne Nuba - senza un impegno a stabilire la pace - hanno portato il Paese alla crisi che deve affrontare oggi. La cattiva gestione, provocata solamente da un Paese che spende più denaro per difendere il suo apparato di sicurezza che per nutrire la popolazione, ha portato alla disperazione che molti cittadini sudanesi stanno affrontando oggi. Quando i sudanesi vanno agli sportelli automatici, li trovano vuoti. Quando vanno in banca, possono prelevare solo un dollaro circa al giorno. Il prezzo del pane è passato da una sterlina sudanese a tre, dopo che il governo ha rimosso i sussidi per il pane nel tentativo di salvarsi attraverso l'austerità.

I sudanesi oggi chiedono la caduta del regime.

Il FMI ha stimato che il tasso di disoccupazione del Sudan è al 20%, il 5° peggiore al mondo, dopo Grecia e Macedonia (i cui governi sembrano essere più interessati alle loro dispute sulla rispettiva antica discendenza greca che a risolvere le proprie crisi). Ma il FMI, naturalmente, come ci indica la Grecia stessa, non è un innocente organismo di raccolta dati. In realtà anche il FMI è tra i principali responsabili delle ultime decisioni del governo sudanese.

La situazione è terribile e arriva dopo una visita del FMI a luglio. Nel solo 2018, quando il FMI ha imposto le sue raccomandazioni - apparentemente fondate su qualche teologia neoliberale – sono caduti diversi primi-ministri. Questo è vero per la Giordania all'inizio di quest'anno, ed è vero per Haiti, che al momento in cui scriviamo è anch'esso coinvolto in una sua rivolta contro la cattiva gestione del governo e la cleptocrazia. Da Haiti al Sudan, la gente oggi si sta sollevando e sta affrontando i proiettili dei rispettivi regimi, che siano sparati dalla polizia, dall'esercito o dalle milizie lealiste paramilitari. Dietro a tutto questo vi sono due colpevoli: i loro rispettivi governi e la più grande istituzione stabilizzatrice del mondo, il Fondo Monetario Internazionale. È stato su richiesta del FMI che il Sudan ha avviato le sue ultime misure di austerità

In Sudan, si stima che oltre 30 manifestanti disarmati siano già stati colpiti e uccisi. Martedì, la Sudanese Professional Association ha organizzato proteste davanti al palazzo presidenziale, dove si sono scontrate con proiettili letali. Nel frattempo, il re del Sudan (Omar Al-Bashir) ha messo in prigione 14 leader della National Consensus Force - una coalizione di opposizione - sostenendo che stessero lavorando a fianco di Israele (una frase ripresa dal manuale per dittatori degli Assad) per destabilizzare il Paese.

Il fatto che le proteste siano iniziate nelle periferie prima di mettere radici nella capitale è degno di analisi, perché la divisione e lo sviluppo diseguale tra centro e periferia – e la persistente ma misera realtà – ha sempre afflitto la storia del Sudan dalla sua nascita come repubblica nel 1956. In effetti, è lì dove si trova la contraddizione principale.

Nelle periferie, in particolare nelle montagne Nuba (sotto la direzione del Sudan People's Liberation Movement-North - SPLM-N), e nel Darfur (sotto la guida del movimento Justice and Equality), le lotte armate contro il governo sudanese sono in corso da quasi due decenni. Mentre ognuna ha le proprie particolari preoccupazioni, condividono una posizione secondo cui il governo concentra la sua politica solo verso il predominante e autoidentificato nord arabo, a scapito del resto del Paese (in realtà, si concentra solo sul riempire le tasche dei fedelissimi del regime). Questi gruppi armati si sono organizzati sotto il Fronte Rivoluzionario Sudanese. Temo che, se non evitano di avvicinarsi a Khartoum in un momento di destabilizzazione, e se non si incontrano con le opposizioni, allora potrebbero assediare la capitale e fare dono al presidente del pretesto per per giocare la carta della narrativa della guerra al terrorismo che gli servirebbe per mantenersi al potere.
È necessario che trovino un accordo immediato con l'opposizione. E l'opposizione deve liberarsi di sciovinismo e di un islamismo divisivo che porta almeno il SPLM-N a non voler discutere. L'opposizione deve abbandonare un approccio nord-centrico alla crisi sudanese e adottare la promessa di un processo di pace globale. Se l'opposizione e il fronte rivoluzionario non si accordassero, potrebbe accadere il peggio.

Finora nessun serio sforzo si è materializzato su quel fronte. In teoria, una situazione del genere potrebbe accadere coinvolgendo Yassir Saeed Arman - segretario generale dell'SPLM-N - e i suoi ex compagni del Partito comunista. Essendo un uomo di origine nordica con decenni di esperienza nella lotta rivoluzionaria ed essendo un visionario con stretti legami con la lotta sud sudanese, potrebbe favorire il dialogo con l'opposizione formale e impedire la deformazione - o l'escalation - di quella che fino ad ora è stata una rivolta pacifica contro un regime repressivo e assassino.

La situazione in Sudan è in un momento cruciale e le dinamiche interne del Paese vanno comprese a partire dalla prospettiva delle dinamiche geopolitiche globali. Finora c'è stata una rivolta civile con elementi armati nelle periferie che potrebbero avanzare prematuramente verso la capitale. Dovrebbero essere portati al tavolo dei negoziati e promettere di non intensificare il conflitto. L'alternativa potrebbe essere catastrofica.

Anche se di ascendenza sudanese, non sono un esperto e in realtà la mia famiglia e la mia famiglia allargata hanno dedicato alla lotta molto più di quanto abbia fatto io (a causa delle circostanze in cui sono cresciuto). Quindi accetto in anticipo eventuali errori nella mia analisi.

Nonostante ciò, queste sono le mie considerazioni finora.

1) All'inizio della rivoluzione siriana si è visto come la situazione si è deteriorata molto rapidamente in assenza di una forte coesione tra l’ala civile e quella militare. In effetti, i settori militari della lotta si sono trovati a dover allearsi con potenze straniere imperialiste e in assenza di una ideologia unificante - che ha lasciato spazio aperto a vari islamismi per radicarsi - facendo sì che il Paese diventasse il teatro di una guerra per procura. Nel frattempo i settori della lotta civile alla fine sono stati cooptati dai vari gruppi armati, ciascuno sotto il patrocinio di interessi in competizione (Arabia Saudita, Turchia, Golfo) ecc.

2) In Yemen abbiamo visto una posizione diversa, con la primavera araba che ha portato al potere il governo di Hadi, patrocinato dagli Stati del Golfo.

Dato il dichiarato sostegno da parte dei monarchi del Qatar al governo di Bashir (e probabilmente di vari altri che lo sostengono in segreto), è chiaro che una situazione simile allo Yemen potrebbe emergere – solo che però, permettetemi di dire, la differenza sarebbe questa: sarebbe come se l’alleanza del Golfo avesse appoggiato Saleh. In questo caso civili e gruppi armati si ritroverebbero sopraffatti dagli armamenti piu sofisticati dell’alleanza, probabilmente dalla stessa Alleanza saudita che Bashir ha sostenuto inviando soldati nel bagno di sangue in Yemen.

Potrebbe anche succedere che l’Arabia Saudita competa con il Qatar e alla fine acquisisca il sostegno di Khartoum. Questo scenario comporterebbe che gli stati del Golfo sosterrebbero Bashir contro la propria popolazione civile.

3) È possibile che avvenga il contrario, come in Siria. Qui in Sudan, gli stati del Golfo che temono le aperture di Bashir verso la Turchia e il Qatar potrebbero cospirare per armare ulteriormente l'opposizione e trasformare un movimento civile in uno scenario molto simile alla guerra civile siriana. La politica estera dell'Arabia Saudita potrebbe benissimo andare in questa direzione.

4) Date queste tre lezioni, è necessario che i gruppi armati operanti sotto l’ombrello del Sudan Revolutionary Front (i quali includano il Sudan Liberation Movement/Army così come il movimento Justice and Equality nel Darfur, il SPLM-N nel Sud Kordofan e gli stati del Nilo Azzurro) stringano un accordo immediato con l'opposizione. Tutti questi gruppi si trovano nelle regioni periferiche e per questo allearsi con il nord costituirebbe una mossa che potrebbe unificare il Paese. Direttamente sulla base di questo patto, dovrebbero essere fatti sforzi per garantire che non ci si affidi al sostegno dei Paesi del Golfo, degli Stati Uniti e della Russia. Questo va enfatizzato: qualsiasi intervento esterno sarà la morte della rivoluzione. Inoltre, i gruppi armati devono dichiarare una moratoria di tutte le attività armate contro le forze sudanesi fino alla stabilizzazione della situazione. Anche questo deve essere ripetuto in continuazione: non va fornita al regime la comoda narrativa della guerra al terrorismo.

5) I partiti di opposizione devono fare il possibile per isolare quei partiti borghesi che non hanno mai avuto a cuore l'interesse del Sudan. Questi due partiti,, dovrebbero essere coinvolti nel processo visto il loro consenso di base, ma non dovrebbero mai essere messi in prima linea. Dovrebbero essere emarginati.

6) Ciò richiederebbe una relazione più forte tra Mutamar al Sudan e il Partito Comunista sudanese. Questi due partiti dovrebbero essere in prima linea nella ricostruzione sudanese.

7) All'interno del Fronte Rivoluzionario Sudanese esistono già attriti per quanto riguarda la questione della sharia. Nell'opposizione, Ummah e Unionist party hanno un atteggiamento ambiguo rispetto all'applicabilità delle leggi islamiche. Se a condurre i negoziati fossero il Partito Comunista Sudanese e Mutamar al Sudan, si potrebbe giungere a un accordo per costruire un'opposizione secolare. Il Paese dovrebbe essere riportato ad un'era precedente alle leggi del settembre 1983, quelle che hanno rovinato il Paese. O così o la marea continuerà.

8) Si dovrebbero già avviare strutture parallele di governo, simili a quanto avvenne grazie al Partito Socialdemocratico in Russia alla vigilia della presa del potere dei bolscevichi. Quando i partiti politici sono già in grado di "parodiare" il futuro in un parlamento artificiale, possono iniziare a riempire un vuoto di potere una volta che la dittatura sarà caduta. Queste strutture dovrebbero includere membri del Fronte Rivoluzionario Sudanese e dell’opposizione. In caso contrario, un eventuale passaggio di responsabilità ai militari, come accaduto in Egitto, assicurerebbe la continuazione del regime, guidato però da un altro generale.

9) L’esercito dovrebbe essere considerato fin da subito un attore controrivoluzionario. È preoccupante che alcuni celebrino i militari per le piccole sacche di ammutinamento che sembrano essersi verificate in tutto il Paese. Si stanno semplicemente preparando per un Sisi 2.0. Mai fidarsi dei militari.

*Fonte: https://theblackbolshevik.wordpress.com/2018/12/26/the-sudanese-revoluti...

Traduzione di Piero Maestri e Miranda Lunato
(una differente traduzione è stata pubblicata da infoaut.org)