Tobin Tax addio, c’è la Brexit

Mon, 31/07/2017 - 12:18
di
Marco Bertorello (da il manifesto)*

La normalizzazione del sistema, cosa diversa da una sua effettiva ripresa, conduce a un ritorno ai nastri di partenza del pensiero e della pratica economica.
Le politiche monetarie ultra-espansive hanno evitato il peggio e condotto, seppur con molti limiti, a un contesto di minor pericolo. Ci siamo allontanati dal precipizio. Quello che sembra ripartire sono dunque politiche economico-finanziarie basate su debito e finanza e sulla centralità del mercato iper-competitivo. Questa appare la governance post-crisi. Nulla di nuovo se non fosse per un certo ripiegamento dalla scala globale, un cocktail di restaurazione su scala minore.
L'ultimo segnale in tal senso è arrivato recentemente dai due ministri finanziari di Germania e Francia che hanno derubricato la famigerata Tobin Tax, la tassa sulle transazioni finanziarie. Di questa tassa se ne era parlato concretamente ai tempi del duo Merkel-Sarkozy, all'inizio del 2012. I due presidenti affermarono che «credevano nel principio della Tobin Tax». I tedeschi, poi, sottolineavano come tale provvedimento dovesse essere assunto a livello continentale o perlomeno di eurozona. Il problema, infatti, già allora era la contrarietà del principale centro finanziario, quello londinese. Da allora alcuni paesi come Francia, Italia, Ungheria hanno adottato la tassa sulle transazioni finanziarie in ambito nazionale, seppur in versioni a gittata ridotta, finendo per intercettare risorse modeste e non disincentivando le fitte trame speculative che si realizzano a ritmo quotidiano sui mercati globali. Intanto in Europa era iniziato un lungo e, come spesso accade, tardivo iter istituzionale non ancora concluso. In questi giorni i ministri delle Finanze francese e tedesco hanno affermato che restano favorevoli al principio, ma che ora si tratta di tenere conto delle novità intervenute con Brexit. Come dire che saranno costretti ad affossare questa tassa per approfittare dei capitali che dovrebbero uscire dalla City britannica. Insomma prima il provvedimento doveva essere sovranazionale, ma c'erano le resistenze d'oltremanica, ora c'è da essere competitivi con Londra e dunque non è più il momento di rischiare l'allontanamento di capitali con l'approvazione di nuove tasse.
La recente narrazione sulle potenziali opportunità che dovrebbero sfruttare città come Francoforte, Dublino e, persino, Milano non appare del tutto credibile. Perché dopo Brexit dovrebbe essere proprio la Londra finanziaria a pagare un prezzo elevato? Perché la finanza, apolide per definizione, dovrebbe preoccuparsi che il Regno Unito non faccia più parte dell'Unione europea? È prevedibile che nel divorzio in corso la politica conservatrice britannica difenda il centro finanziario globale piuttosto che il potere d'acquisto delle classi popolari, con tutto ciò che ne consegue in termini di provvedimenti di autodifesa. E proteggere questo centro non dovrebbe essere impossibile se Londra mantiene, e semmai aumenta, il suo ruolo di piattaforma offshore per i capitali provenienti da tutto il mondo a partire proprio dall'incremento degli sconti fiscali. La mancata approvazione della Tobin Tax, dunque, potrebbe dare il via all'abolizione della medesima tassa nei paesi in cui è già in vigore, innestando la tradizionale rincorsa verso il basso nelle condizioni di offerta per i grandi capitali.
Quanto tempo è passato da quando il presidente francese di destra affermava «crediamo che sia normale che chi ci ha messo in questa situazione, ovvero la finanza, fornisca un contributo»! Oggi tornano al centro i consueti meccanismi di valorizzazione dei capitali coniugati con i principi iper-competitivi di regolazione. Il senso di marcia dopo Brexit, prevedibile considerate le forze in campo, è quello di un sistema economico che rilancia i propri dogmi e aumenta le dosi di competizione.

*Fonte articolo: https://ilmanifesto.it/tobin-tax-addio-ce-la-brexit/