Tiempo Argentino, storia di un giornale autogestito dai lavoratori

Mon, 30/05/2016 - 12:13
di
Valeria Cirillo

Una storia non nuova quella del giornale “kirchnerista” Tiempo Argentino la cui proprietà ad inizio anno sembrerebbe essere passata – assieme a quella dell’emittente radiofonica Radio America e dell’intero Grupo23 – dalle mani degli imprenditori Sergio Szpolski e Matias Garfinkel – quest’ultimo erede dell’elettronica BGH e del gruppo Madanes – al gruppo MDeluxe guidato da Juan Mariano Martínez Rojas. Nessun atto di compravendita, nessun discorso in pubblico, nessuna notizia concreta sugli intenti della nuova proprietà che ha invece – in maniera molto concreta – deciso di interrompere la stampa del quotidiano e il pagamento degli stipendi dalla fine del 2015 sino ad oggi.
Memori di un recente passato che ha visto in Argentina il fallimento fittizio di impianti di vario tipo all’indomani della crisi del 2001, i lavoratori del Grupo 23 – ed in particolare del quotidiano Tiempo Argentino – avviano a fine febbraio un presidio permanente dello stabile al fine di evitare lo svuotamento della sede. Il 5 febbraio 2016 Tiempo Argentino cessa di essere stampato apparentemente per una mancanza di fondi da parte degli ex imprenditori Sergio Szpolski e Matias Garfinkel che hanno tuttavia incassato oltre 800 milioni di pesos negli ultimi anni – dei quali 128 milioni risalirebbero al primo semestre del 2015.
Nel mese di febbraio i delegati dell’assemblea dei lavoratori e gli avvocati del sindacato di base Sipreba del settore grafico incontrano il legale del nuovo proprietario assieme alla responsabile delle relazioni industriali del Ministero del Lavoro argentino, ma il tutto si risolve in un nulla di fatto, nessuno stipendio è stato pagato e, soprattutto, l’ulteriore atto di presunta compravendita dissipa ogni dubbio sulla falsità del precedente, in capo a Martinez-Rojas, un prestanome della proprietà, con il compito di svuotare l’impianto e licenziare i lavoratori al fine di realizzare una vendita “più snella”.
Dopo svariati mesi di presidio permanente l’assemblea dei lavoratori il 19 aprile decide di costituirsi in cooperativa e attraverso il sostegno dell’istituto delle cooperative argentine – INAES – di avviare le pratiche legali per la costituzione della cooperativa. Dei 200 lavoratori della pianta originale circa 160 sono rimasti: giornalisti, disegnatori, maestranze, amministrativi e personale delle pulizie. Alberto Lopez Girondo – responsabile della sezione internazionale del giornale ed integrante della cooperativa – ricorda il sostegno che il nuovo Tiempo Argentino ha avuto dal movimento cooperativo e da quello delle imprese recuperate per i quali la possibilità di avere un mezzo di comunicazione autogestito risulta strategico.
Dopo una prima edizione cartacea stampata e distribuita il 24 marzo in occasione della massiva mobilitazione in ricordo della feroce dittatura argentina, a partire da domenica 24 aprile è partita l’edizione settimanale stampata del quotidiano e la campagna internazionale di abbonamenti mensili a sostegno.
La linea editoriale del giornale di stampo progressista non cambierà con la nuova gestione nonostante la molteplicità di orientamenti politici degli integranti della cooperativa, piuttosto l’idea è di continuare con un mezzo di comunicazione di opposizione al governo neoliberista di Mauricio Macri al fine di dar voce ad una parte di quel 49% di argentini che non ha votato a favore del governo.
Come la maggior parte delle esperienze autogestionarie sviluppatesi in Argentina all’indomani della crisi del 2001, le imprese recuperate operano in un contesto di mercato e per tanto sono sottoposte agli stessi parametri di ricavi e costi tali da consentire la remunerazione dei fattori produttivi, fra cui in primis il lavoro. Sicuramente non inseguono la logica del profitto di una gestione privatistica tout court, ed è proprio quest’ultimo aspetto a poter consentire nella maggior parte dei casi il mantenimento del lavoro.
Tuttavia l’elemento di maggiore interesse riguarda la possibilità che i lavoratori hanno di gestire collettivamente il proprio lavoro senza dipendere da un “padrone” e, in tal senso di acquisire una maggiore consapevolezza della loro posizione di classe.
Se e come questo potrà tradursi in una forma di cambiamento della società è ancora da definirsi, ma la volontà di mobilitarsi e di autorganizzarsi per tutelare i propri interessi, in definitiva quelli di una classe lavoratrice, è assolutamente lodevole e degna di nota.