Lo scricchiolìo della Fortezza Europa

Thu, 10/09/2015 - 10:09
di
Gianni De Giglio

Prima il popolo greco col suo coraggioso e imponente OXI alle politiche di austerity imposte dalle varie 'Istituzioni'; ora un popolo proveniente dal martoriato Medioriente col suo portato di tenacia, con la potenza della speranza. Non poteva essere altrimenti, le certezze dell'Europa neoliberista, dell'homo eoconomicus ed individualista, stanno venendo sempre meno grazie alla presa di parola e al protagonismo dei popoli, alla loro irruzione sul palcoscenico della storia.

Ancora una volta sono i migranti in prima persona a creare l'ennesima crepa nella Fortezza Europa, mettendo a nudo anche la presunta coesione tra i paesi dell'area Schengen e lo stesso Trattato di Dublino, emblema degli egoismi e interessi nazionali. Ancora una volta sono i migranti alla ricerca della libertà di circolazione a mettere a nudo l'Europa della coesione solo verso la piena libertà di circolazione delle merci e dei capitali.

Se in questi giorni la Fortezza Europa è messa in discussione da sud verso nord nell'Europa dell'est, si tratta tuttavia di un fenomeno in cammino che soprattutto in Italia stiamo vivendo da qualche anno. La voglia di libertà di movimento l'hanno ribadita agli inizi del 2011 i migranti tunisini in rivolta, quando uscirono in corteo dalla tendopoli, voluta dal governo Berlusconi e allestita dalla Protezione civile a Manduria in provincia di Taranto, al grido di "Liberté Liberté"; semplicemente perché chiedevano un permesso di soggiorno che gli permettesse di raggiungere tranquillamente il resto d'Europa. La ribadiscono ogni giorno uomini, donne e bambini che attraversano il Mediterraneo, anche quelli che non ce la fanno. Le proteste nei diversi Centri di accoglienza del sud Italia, che si sono susseguite in questi anni sono l'avamposto di quanto visto alla stazione di Budapest, così come quanto continuiamo a vedere a Ventimiglia, dove migliaia di persone sono accomunate dalla stessa forza di volontà; persone che invece per i media e le Istituzioni è meglio continuare a etichettare solo come vittime, disperati, poveri cristi.

Ormai il dado è tratto, difficile credere ancora nella perenne pacificazione sociale, nel confronto senza conflitti teorizzato da social liberali e istituzionalisti in voga nel nostro tempo. L'agenda politica dei governanti europei ultimamente deve fare i conti con i soggetti sociali che provengono dal basso e dai vari sud del mondo. La cancelliera Merkel, il presidente della commissione europea Junker e pochi altri se ne sono accorti. Dopo essere riusciti per il momento a prevalere sul popolo greco, mostrandosi insensibili e cinici attuatori degli interessi della sola Europa liberista, in questi giorni stanno provando a rifarsi la maschera. La Merkel, in maniera intelligente e con un'ottima dose di retorica mediatica, sta governando una parzialità della 'marea migrante', quella proveniente dalla Siria martoriata da una guerra civile le cui responsabilità europee non sono assolutamente da poco.

Ma per chi continua a essere portatore degli interessi dell'Europa dei mercati c'è dell'altro. Anche in quest'occasione si deve continuare a rassicurare la cittadinanza europea che i confini interni ed esterni, il proprio territorio, rimangono ben sorvegliati e le minacce di eccessiva intrusione efficacemente governate se non contrastate. Se da un lato il vincolo liberale su cui si fondano le democrazie occidentali, che impongono il rispetto dei diritti umani e della dignità della persona, deve essere rispettato; dall'altro la stessa Merkel impone un freno alla libertà di circolazione al confine del Brennero tra Italia e Austria; Hollande lo pretende al confine tra Mentone e Ventimiglia; Cameron lo attua nei confronti dei migranti parcheggiati a Calais e Raioy a Melilla a sud della Spagna.

Ed ecco che lo spirito dell'Europa accogliente e solidale, quello dei suoi padri fondatori da Kant ad Habermas, si manifesta a giorni alterni, una tantum e nei fatti non affronta i nodi di fondo: le responsabilità dirette e indirette delle Istituzioni europee e dei suoi singoli stati nazionali nelle guerre civili, ambientali, alimentari presenti in Africa così come in Medioriente; l'istituzione permanente di corridoi umanitari che permettano a chiunque, dall'est Europa e dal nord Africa, di raggiungere dignitosamente l'Europa; il riconoscimento di un asilo politico europeo o di un permesso di soggiorno incondizionato.

A seconda delle circostanze, quindi la realtà da qualche decennio ci dice ben altro. I flussi migratori che si collocano all’interno dei processi di mobilità globale sono sempre più governati in funzione delle esigenze della deregolamentazione del mercato del lavoro, che domanda forza-lavoro usa e getta. La capacità del sistema economico e sociale in cui siamo inseriti sta proprio nella sua ecletticità nel riprodurre diversi rapporti di dominio e sottomissione alle proprie necessità di accumulazione della ricchezza. Su questo solco il management delle politiche migratorie cambia le sue sfaccettature ma rimane intatto nella sostanza.
I più importanti paesi dell'Unione Europea, inclusa l'Italia con la legge Bossi-Fini, continuano a dover far fronte a un'esigenza di fondo inderogabile: avvalersi di manodopera conveniente per livellare verso il basso le condizioni generali di lavoro, e contestualmente mantenere la separazione, tutta politica, del lavoro migrante dal resto della forza-lavoro per evitare il più possibile il dissenso, facilitare la disgregazione dei conflitti in corso affinchè non si trovino forme di coalizione e piattaforme unitarie. Come? Creando volutamente condizioni di precarietà nei percorsi di accoglienza e regolarizzazione dei migranti, rinchiudendoli nei ghetti con politiche di esclusione sociale per renderli sempre più vulnerabili, ricattabili, preda dello sfruttamento legalizzato nei vari settori dell'economia di mercato; preda dei continui traffici di persone che per sfuggire ai vincoli sempre più restrittivi della libertà di circolazione vanno ad alimentare flussi migratori invisibili che innescano sacche di continuo business. Facile additare le responsabilità ai soli scafisti o ai caporali. Questi sono il risultato del razzismo istituzionale dell'Europa dei mercanti e della finanza, della Troika, delle privatizzazioni, dello spossessamento dei diritti.

Senza cadere nella logica della differenziazione tra richiedente asilo, migrante economico o profugo, per noi rimane ineludibile continuare a supportare le rivendicazioni dei migranti, le loro resistenze e presidi permanenti in giro per l'Italia e l'Europa, continuare a praticare esperienze di accoglienza dal basso, percorsi e progetti concreti di cooperazione e mutualismo. Trovare le forme più efficaci per contribuire a rompere il muro del razzismo istituzionale, che fa di tutto per tenere separato il lavoro migrante con i lavoratori e le lavoratrici italiani/e, europei ed europee. Le campagne di solidarietà, la messa in rete di tutto questo, necessita anche di ben altro: uno scarto e scatto politico all'altezza del protagonismo sociale dei e delle migranti.