Dal razzismo istituzionale all'accoglienza dal basso

Sat, 03/01/2015 - 19:38
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Rivoltiamo la precarietà - Bari

1. Lo spazio europeo può essere definito come una sorta di continente fortezza: formalmente libero al suo interno – per i cittadini europei – sempre meno penetrabile dall’esterno, tanto per i migranti economici quanto per i richiedenti asilo.
L'approccio politico utilizzato dall'Europa nei confronti dei migranti è cambiato nel tempo, sintonizzandosi sempre più alla necessità di forza lavoro a buon mercato e alla necessità di controllare le vite e i corpi dei migranti, indispensabile per depotenziare il dissenso di una forza lavoro iper sfruttata e priva di diritti.
L'Europa del secondo dopo guerra e del boom economico ricercava mano d'opera a basso costo dalle migrazioni interne e soprattutto dalle ex colonie, incentivando così i flussi migratori in entrata. Con la crisi petrolifera negli anni 70 e con la svolta neoliberista i paesi dell'Europa si sono muniti di dispositivi legislativi negli anni sempre più restrittivi nei confronti della soggettività migrante.
Un cambiamento sostanziale si è avuto con la creazione di un’istituzione politica sovranazionale, l'Unione Europea, che negli ultimi anni ha cercato una sempre maggiore convergenza tra gli stati membri in materia di immigrazione, promuovendo politiche che seguissero su un doppio binario: da una parte garantire la sicurezza della fortezza europea, libera e democratica al suo interno, ma impenetrabile dall'esterno, e dell'altra promuovere opinabili politiche di accoglienza e solidarietà per i richiedenti asilo, così come per i migranti economici, incentivando col passare degli anni la criminalizzazione di questi ultimi, definiti clandestini.
Infatti la legislazione europea per la tutela di rifugiati e beneficiari di protezione umanitaria non è assolutamente fuori da logiche contraddittorie e discriminanti; basti pensare alla convenzione di Dublino, che troppo spesso crea enormi difficoltà nella realizzazione del progetto migratorio degli stessi richiedenti, obbligandoli a stazionare nel paese dove hanno ottenuto la protezione.
Questo sul piano europeo. E’ indubbio però che la storia delle politiche migratorie italiane degli ultimi trent’anni sia una storia di fallimenti e di razzismo tutta made in Italy. L'attuale contesto normativo vigente in materia di immigrazione, la cosiddetta legge Bossi-Fini, è totalmente sbilanciata a favore di politiche repressive ed escludenti, propagandata per contrastare l'immigrazione clandestina, ma nella sostanza creatrice di sacche di irregolarità funzionali sia allo sfruttamento di forza lavoro di riserva sotto ricatto, che a delinquere al servizio della criminalità più o meno organizzata.
Lo stesso dispositivo se da una parte ha recepito le direttive europee istituendo il sistema di protezione per richiedenti asilo e rifugiati, dall'altra ha reso la condizione dei migranti economici estremamente vulnerabile, legando indissolubilmente il permesso di soggiorno al contratto di lavoro.
La Bossi-Fini ha dunque relegato la stessa soggettività migrante a vivere in una condizione di semi-invisibilità, in un Sistema Italia che negli ultimi vent’anni ha conosciuto lo smantellamento graduale dei diritti sul posto di lavoro, e la sua precarizzazione. Se per un cittadino italiano le conseguenze di queste politiche rappresentano ormai una condizione esistenziale di precarietà a tempo indeterminato, per un migrante che periodicamente deve rinnovare il permesso di soggiorno, perdere il lavoro significa perdere la possibilità di permanenza sul ‘nostro’ territorio, rischiando così di finire in un Cie (Centro di Identificazione ed Espulsione) e di essere rimpatriato.

2. Aprire uno scorcio sulla realtà dei migranti nella Puglia “migliore” dell’ormai decennale governo Vendola significa denunciare l’inconsistenza retorica delle sue politiche. Nonostante la legge regionale 32 recante le “Nuove norme per l'accoglienza e l'integrazione degli immigrati in puglia”, che prevede la redazione del “Piano regionale triennale per l'immigrazione”, la sua reale applicazione rimane ancora solo sulla carta. E' quanto emerge dall'analisi del piano regionale per le Politiche sociali e delle esigue, se non assenti, risorse stanziate per accoglienza ed integrazione. Lo stesso vale per il Piano sociale di zona del Comune di Bari, che assimila gli immigrati ai cittadini baresi in condizione di estrema povertà, senza tener conto della situazione di partenza dei migranti e delle politiche ad hoc da dover mettere in campo per innescare reali processi di inclusione sociale, abitativa e lavorativa.
Bari, come tutte le città che ospitano un centro di accoglienza per richiedenti asilo (Cara), è stata al centro delle contraddizioni determinate dalle politiche di accoglienza arruffate e truffaldine, e del business che si è ramificato e che ha inciso direttamente sulla vita dei migranti. Un sistema di accoglienza fatto su misura per finanziare la cooperazione “bianco rossa”, per cui gli stadi, le tendopoli, le periferie delle piccole e grandi città da centri di permanenza temporanea e provvisoria, diventano ben presto soluzioni a tempo indeterminato.
Le periferie italiane sono diventate prigioni a cielo aperto per i migranti che necessitano di altre mete e di politiche di inclusione sociale per ricominciare daccapo una vita, ma vengono “istituzionalmente” trattenuti contro la loro volontà, diventando “capro espiatorio” di processi di criminalizzazione. Vengono presentati come soggetti privi di relazioni umane, come se non abbiano a differenza nostra l'esigenza di una vita affettiva, di una quotidianità fatta di sentimenti, di un lavoro, di una casa per condurre un'esistenza dignitosa. Vengono presentati come soggetti estranei, pericolosi, a cui bisogna privare qualsiasi diritto basilare e su cui speculano le destre più o meno fasciste, fomentando pulsioni razziali e xenofobe.
Questo quadro desolante, effetto del ‘razzismo istituzionale’ continua a scontrarsi, soprattutto nell’Europa del mediterraneo, dalla Spagna alla Grecia, con una serie di percorsi di autodeterminazione e di lotta messi in campo dai migranti in risposta all’inefficacia ed assenza di interventi di accoglienza, che vadano oltre gli interventi militarizzati di ‘Mare nostrum’ ed affini; consistenti ad esempio nel soddisfacimento di bisogni fondamentali, tra cui l'ottenimento di una casa e la conseguente residenza.

3. Nel concreto a Bari sono ormai diversi anni che ci ritroviamo a supportare migranti che rivendicano semplicemente welfare. Nel dicembre di 5 anni, a poche settimane dall’occupazione del Ferrhotel, più di cento migranti rifugiati politici occupavano un ex liceo classico, il Socrate, abbandonato per inagibilità e lasciato al degrado.
Un'esperienza di riappropriazione di spazi abbandonati per il diritto alla casa ma anche luogo di mutuo soccorso, che i migranti stessi hanno fatto rivivere. Una struttura pubblica nel cuore della città, che pratica la cultura del riciclo e del riuso: le 30 camere infatti sono state arredate con mobilio di scarto e rimesse a nuovo dagli stessi abitanti. Durante le assemblee e le riunioni viene discussa la gestione della vita interna e degli spazi comuni. I migranti che ci vivono più stabilmente sono organizzati nell'Associazione Socrate, che funge anche da referente giuridico per il "progetto di autorecupero", consistente nel recupero edilizio e messa in sicurezza della struttura che da ex liceo inagibile ormai è diventato per molti una vera e propria casa. Dopo 5 anni questo percorso di lotta e accoglienza dal basso è stata riconosciuta dalle Istituzioni locali attraverso la firma di un Protocollo di intesa. Riconoscimento al quale però non è tuttora seguito alcun tipo di iniziativa reale, nonostante le sollecitazioni da parte degli abitanti e nonostante siano stati richiesti più volte interventi basilari di carattere socio-sanitario. Il Protocollo di intesa è sicuramente un ottimo risultato, che però ha bisogno di essere concretizzato a partire dall'ottenimento di fondi pubblici (europei e nazionali) necessari alla ristrutturazione della struttura, da parte delle Istituzioni locali e firmatarie del Protocollo, a partire dal Comune di Bari, proprietario dell’immobile, che ha la possibilità di rendere concreto un’esperienza di accoglienza dal basso ed autorganizzata.
Col tempo il Socrate è diventata anche la cornice del progetto di mutuo soccorso e di buone pratiche a sfruttamentozero: “Netzanet”, una prima esperienza di lavoro in cooperazione per alcuni migranti del Socrate e per alcuni precar* e student* di Bari. Nato anche come sfida al caporalato nelle campagne pugliesi e come idea di economia solidale, fuori dalle logiche della sopraffazione e dello sfruttamento, non solo dei migranti.

4. Un altro percorso di riappropriazione per il diritto alla casa e di autogestione che abbiamo supportato nell'ultimo anno è stato quella della Casa del rifugiato. Fallite le politiche di accoglienza della cosiddetta emergenza Libia del 2011, le istanze dei migranti per il soddisfacimento dei bisogni basilari: dall’organizzazione di corsi di italiano all’assistenza per il rinnovo dei documenti e a quella socio-sanitaria – si sono concretizzate in quella che vogliamo chiamare ‘accoglienza dal basso’. Che non significa fornire carità o assistenza fine a se stessa, bensì creare esperienze di solidarietà all’interno di un percorso rivendicativo e conflittuale, affinché le Istituzioni riconoscano diritti fornendo dei servizi pubblici di base. I migranti che hanno vissuto per quasi un anno all’interno dell'ex convento di santa Chiara (Casa del rifugiato) nonostante le difficoltà insiti nei processi di ‘autogestione migrante’, sono riusciti in pochi mesi a recuperare lo scheletro di una struttura e renderla una casa a tutti gli effetti per più di 150 rifugiati politici. Un pratica di autorganizzazione che non ha ricevuto alcun supporto da parte delle Istituzioni locali, capaci solo di saper cogliere il momento più opportuno per attuare uno sgombero “umanitario” dell'edificio, trasferendo forzatamente gli abitanti in una tendopoli all'interno di una struttura fatiscente ed inagibile, promuovendo ancora una volta politiche di accoglienza escludenti e disumane, ghettizzanti. Di fronte alle quali i migranti stessi hanno deciso compatti di continuare la vertenza col Comune e la Prefettura di Bari.
Non possiamo che constatare come i processi di autorganizzazione dei migranti e il lavoro di collettivi ed associazioni sia necessario ma ancora non sufficiente. Ogni giorno ci scontriamo con le nostre condizioni materiali che spesso ci impediscono di dare ancora più spinta alle nostre pratiche e alla nostra idea di accoglienza solidale, di lavoro senza gerarchie, di welfare senza burocrazie e ad uso privatistico delle risorse pubbliche, come ‘Mafia capitale’ ma non solo, ha ben evidenziato.

Questo nuovo modo di pensare, ideare pratiche comuni e realizzarle, si fanno politica, costruiscono nuovi spazi ed embrioni di una società realmente democratica ed orizzontale, dove tutti possano essere partecipi dei processi decisionali, attraverso la condivisione, lo scambio, la rivendicazione. Marginalizzazione cronica e frammentazione sociale accompagnate dalla narrazione tossica dominante non può che essere messa in discussione e rovesciata da forze sociali attive, capace di emanciparsi. E' per questo motivo che la riproducibilità di queste pratiche fondate su percorsi di riappropriazione, di mutuo soccorso conflittuale da una parte e di solidarietà di “classe” dall'altra sono già nuova narrazione, piccole alternative credibili che però hanno bisogno di non rimanere singole esperienze bensì di un’ampia generalizzazione.