La carta degli strikers

Mon, 14/12/2015 - 18:24
di
Coalizione dello Sciopero sociale

Siamo gli strikers: siamo le precarie, i migranti, gli operai, gli studenti che il 14 novembre 2014 hanno scioperato insieme, sfidando le divisioni che producono la nostra comune precarietà. Siamo quelli che lavorano a chiamata in cambio di un voucher, siamo lavoratori realmente subordinati anche se ci chiamano «partite IVA» o «soci lavoratori», siamo i «tirocinanti», i «volontari», gli «stagisti», gli studenti «dell’alternanza scuola/lavoro» che lavorano senza essere pagati nella speranza di avere un salario domani, siamo lavoratori autonomi di nuova generazione, impoveriti, privi di welfare e vessati da un fisco iniquo. Abbiamo in tasca un permesso di soggiorno da rinnovare al prezzo dello sfruttamento, siamo i lavoratori dipendenti che nonostante il contratto a tempo indeterminato non hanno più diritti ma solo un salario misero, assenza di welfare e precarietà. Lo sciopero sociale è la sfida che ci ha uniti contro chi fa profitti sulla nostra precarietà: lo abbiamo fatto una volta e vogliamo farlo ancora.

Siamo gli strikers: non crediamo a chi ci racconta che la crisi è finita e comincia la ripresa. Le politiche europee di austerità sono la nostra normalità. In Italia le chiamano Jobs Act, Sblocca Italia, Garanzia giovani, Buona scuola e Buona università, ma per noi significano precarietà. Noi non accettiamo che l’Europa e i suoi Stati ci chiudano le porte in faccia quando non siamo «utili», chiamandoci turisti del welfare o clandestini. Noi non ci accontentiamo delle briciole e pretendiamo molto di più. Noi sappiamo che per unire le nostre lotte e organizzarci sono necessari strumenti nuovi e all’altezza dei tempi. Noi sappiamo quello che vogliamo: reddito minimo e welfare, salario minimo e un permesso di soggiorno senza condizioni. Non solo in Italia ma in tutta Europa, perché se la precarietà attraversa i confini devono farlo anche le nostre lotte.

Siamo gli strikers, ci definisce lo sciopero, non la precarietà: uno sciopero anche per chi non può scioperare, per chi deve immaginare nuovi strumenti per organizzarsi. Perciò vogliamo un reddito minimo e un welfare europei. Ogni taglio alla spesa pubblica in nome del pareggio di bilancio ci rende più poveri e produce nuova precarietà costringendoci a fornire servizi a salari sempre inferiori decisi esclusivamente dal mercato. Ogni vantaggio contributivo per le imprese, ogni nuovo ticket, ogni nuovo finanziamento per le grandi opere è un attacco ai nostri diritti e alle nostre vite. Noi produciamo ricchezza e non vogliamo essere poveri. Per questo pretendiamo di avere diritto al welfare in ogni parte d’Europa e un reddito minimo e incondizionato. Incondizionato perché non siamo disposti ad accettare qualsiasi condizione di lavoro e di salario per averlo; incondizionato perché slegato dalla cittadinanza: non siamo disposti a far pagare ai migranti il suo prezzo. Il suo prezzo deve pagarlo chi fa profitti sulla nostra precarietà.

Siamo gli strikers: lo sciopero è la nostra arma contro il ricatto del salario. Perciò vogliamo un salario minimo europeo. Siamo stanchi di vedere padroni e padroncini che spostano la produzione in Polonia o in Romania ogni volta che alziamo la testa. Siamo stanchi di essere sostituiti da lavoratori in appalto e subappalto, perché un «socio lavoratore» costa meno di un dipendente. Noi vogliamo unire le lotte di tutti gli uomini e le donne che in ogni parte d’Europa sono legati alla stessa catena dello sfruttamento, anche se hanno contratti diversi e diversi documenti in tasca.

Siamo gli strikers: il nostro sciopero non ha confini. Perciò vogliamo un permesso di soggiorno europeo senza condizioni. Noi abbiamo un permesso di soggiorno in tasca e dobbiamo accettare qualsiasi lavoro e qualsiasi salario per rinnovarlo, subiamo ogni giorno questo ricatto e paghiamo la nostra «cittadinanza» al prezzo dello sfruttamento. Se perdiamo il lavoro veniamo espulsi, eppure produciamo buona parte della ricchezza europea. Con l’esperienza delle lotte maturata in Europa e nei nostri paesi noi migranti continueremo a lottare per non diventare i profughi del lavoro europeo.

Siamo gli strikers: sappiamo che c’è bisogno di sciopero anche fuori dai luoghi di lavoro. Perciò progettiamo un nuovo sciopero sociale. Il nostro sciopero è sociale perché non si limita all’attivismo e al sindacalismo, perché è dentro e fuori dai posti di lavoro, perché ripensa le forme di organizzazione per aggredire le condizioni sociali e politiche dello sfruttamento. Pensiamo allo sciopero anche come un processo che ridefinisca vecchie e nuove soggettività, come uno strumento in grado di incidere nella produzione e nella riproduzione sociale. Questo progetto guida le nostre lotte: in questa direzione vanno le molte esperienze di sindacalismo sociale, la solidarietà e il mutualismo che pratichiamo ogni giorno, le battaglie contro il permesso di soggiorno, le campagne territoriali per il reddito, le vertenze che mettiamo in campo per il salario. Le nostre rivendicazioni devono essere armi per tutti gli uomini e le donne che ogni giorno vivono la precarietà. Noi siamo gli strikers: sappiamo che l’unica cosa che abbiamo da perdere è la nostra precarietà. Perciò, in Italia e in Europa, con chi vuole costruire lo sciopero sociale transnazionale, accettiamo questa sfida. Lo abbiamo fatto una volta, lo faremo ancora.