Siamo entrati nel CIE di Bari, un lager di Stato

Thu, 13/11/2014 - 18:52
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Rivoltiamo la precarietà - Bari

Oggi per la prima volta abbiamo visto e toccato con mano gli effetti devastanti di una legge razzista e disumana, la Bossi-Fini, di cui tante volte abbiamo già denunciato l’efferatezza con la quale si scaglia sulla vita dei migranti e di come continua ad essere tutt’oggi applicata. Per la prima volta una delegazione del collettivo, con altri attivisti, avvocati e giornalisti, è entrata nel Cie di Bari-Palese, dove al momento sono detenuti 72 migranti.
Il centro è militarizzato in ogni suo spazio. Le condizione igienico sanitarie sono allarmanti e ci è stato intimato di non far foto, seguiti a vista dai militari durante i colloqui con i migranti. Abbiamo avuto contatti con un ragazzo, M., tunisino arrivato nel 2011 insieme a tanti connazionali, che rispetto ad altri però non è riuscito ad ottenere la protezione umanitaria. Nonostante il diniego M., per quasi 3 anni, ha lavorato senza però un regolare contratto di lavoro che gli potesse far ottenere il permesso di soggiorno. M. non è l’unico, tanti altri ragazzi ci hanno raccontano storie di vita tutte simili tra loro. Sono finiti in carcere senza aver commesso nessun reato, sono nel centro di espulsione per colpa di una legge che li vuole invisibili e a buon mercato, alla merce di datori di lavoro che non hanno voluti regolarizzarli: “Questo paese ci ha sfruttati ed ora ci butta fuori a calci in culo”.
Il sistema CIE è stato e rimane un buco nero creato del nostro ordinamento giuridico e politico.
Mentre camminavamo per le celle i ragazzi ci hanno raccontano della loro vita da detenuti, in un regime carcerario che non garantisce nessun diritto. Sono in tanti ad essersi ammalati, e ci hanno fatto vedere referti medici di casi di epilessia, di epatite e tubercolosi. Alcuni, per colpa della ingiusta detenzione, hanno sviluppato seri problemi psicologici e non vengono seguiti da nessun medico. L’unica maniera per ricevere visite è quello di farsi ricoverare in ospedale, per questa ragione alcuni si sono autoinferti tagli profondissimi per poter essere portati in qualche struttura sanitaria.
I migranti del CIE non possono scegliersi un avvocato esterno, e i 6 avvocati che operano all’interno fanno a gara a chi si accaparra più gratuiti patrocini, per poi sparire nel nulla senza aver garantito una giusta difesa ai propri assistiti. Anche per questo bisogna ringraziare la privatizzazione selvaggia dei servizi e di una “fuga” dello Stato dall'erogazione di politiche sociali efficaci, che in quanto tali dovrebbero essere gestite nell’interesse delle persone più deboli e che vivono nel disagio quotidiano. Ma da questo sistema ognuno prende una fetta della torta, invece ai migranti, in questo caso, non rimane che la totale vulnerabilità.
Un viaggio nell’inferno che non può che confermare la nostra convinzione che i lager di Stato debbano essere immediatamente chiusi e che debba essere garantita la libertà di circolazione di tutte e tutti i migranti. Una convinzione rafforzata dagli stessi ragazzi che non si arrendono, continuano a lottare, a nutrire una speranza e l'alimentano facendosi forza gli uni con gli altri. Non è un caso che in quei pochi minuti si sono intrecciati sguardi di umanità e voglia di una vita normale; infatti con alcuni di loro abbiamo già fissato il prossimo appuntamento: quello di berci un caffè al bar in una piazza in città, all'aria aperta e liberi da qualsiasi controllo!