We stand with the LGBT community

Tue, 14/06/2016 - 15:11
di
Andrea Tornese (Degender Communia)

Quarantanove gay, lesbiche, bisessuali e trans sono state uccise ed altre cinquanta ferite in un attacco di stampo terroristico ad Orlando, in Florida. È la più sanguinosa sparatoria di massa della storia degli Stati Uniti; il più grande attentato terroristico dopo l’11 settembre 2001.
Luis Omar Ocasio-Capo, Juan Ramon Guerrero, Alejandro Barrios Martinez, Amanda Alvear, Gilberto Ramon Silva Mendez, Mercedez Marisol Flores, Enrique L. Rios Jr., Oscar A Aracena-Montero, sono i nomi di alcune delle vittime, tutte di origini sudamericane, perché non solo la strage è avvenuta in un club LGBT, ma durante una serata di reggaeton, bachata, salsa e merengue dedicata alla comunità latinoamericana.

Di fronte ad una strage del genere il dolore e la rabbia sono i primi sentimenti che si possono provare. Una reazione al tempo stesso razionale e irrazionale: dolore, perché il processo logico è diretto e ci rende tutte e tutti vittime di questa strage, come persone lesbiche, gay, bisessuali, transessuali, queer e intersessuali e come persone che lottano insieme alla comunità LGBTQI, nel nome di una lotta comune contro lo stesso oppressore, la sessuofobia, il sessismo, la violenza di genere, il razzismo; rabbia che è, prima di tutto, un sentimento irrazionale, cieco, e quindi il rischio di cadere nella strumentalizzazione che accompagna, sempre, queste tragedie è alto.
E allora, pur accecati dalla rabbia e dal dolore, dobbiamo fare uno sforzo per riflettere e razionalizzare così da sottrarci agli interessi di chi utilizza questa strage esclusivamente per corroborare la propria strategia politica, per dare nuova forza agli interventi armati nei Paesi islamici e alla chiusura dei confini nazionali ai migranti.
Primo fra tutti Donald Trump che, poco dopo l’attentato, prega per le vittime, senza “identificarle” come persone LGBT e latinoamericane, e per le loro famiglie. Nelle ore successive, quando si diffonde la notizia che l’attentatore ha telefonato alla polizia per dichiararsi appartenente all’ISIS, il candidato repubblicano alla Presidenza degli Stati Uniti ringrazia chi si “congratula con me per aver ragione sul terrorismo islamico radicale” e chiede “durezza e vigilanza”. In un’altra dichiarazione sui social media, il magnate americano sfida il presidente Obama a usare finalmente le parole “terrorismo islamico radicale”; infine, a distanza di ore dal primo post, quando queste parole Obama non le pronuncia, ne chiede le dimissioni, mette in guardia sulla volontà della candidata democratica Hillary Clinton di voler accogliere negli Stati Uniti sempre più migranti dal Medio Oriente e reitera la sua richiesta di chiudere qualsiasi porta ai migranti. Pur di cavalcare l’onda securitaria ed islamofobica, in un comunicato finale rinuncia alla sua nota retorica omofobica e misogina, per la prima volta soggettivizza le vittime e dichiara: “dobbiamo proteggere tutti gli americani, di ogni origine e di ogni credo, dal terrorismo islamico radicale – che non ha posto in una società aperta e tollerante. L’Islam Radicale propugna odio per le donne, per i gay, gli ebrei e tutti gli americani. Sarò il presidente di tutti gli americani e proteggerò tutti gli americani. Renderemo l’America di nuovo sicura e grandiosa per tutti”.

Perché concentrarsi solo su Trump? Perché tanti dettagli sulle sue reazioni? Perché le sue dichiarazioni sui social media riassumono perfettamente il processo logico di chi vuole sfruttare i nostri corpi, i nostri morti, per rafforzare sentimenti nazionalistici e per dare nuova spinta alla “guerra al terrore” di stampo colonialista in Medio Oriente.
Un processo logico che inizia rendendo “invisibili” le vittime. La strage diventa così un attentato terroristico senza specificare che l’obiettivo erano le persone LGBTQI, e cancella uno degli elementi fondamentali dell’attentato: la matrice omofobica. La stessa retorica usata, per esempio, da Matteo Renzi, che esprime generica solidarietà ai “fratelli americani”, e da Papa Francesco che si unisce, nella preghiera, alla sofferenza delle famiglie delle “vittime innocenti”.
In Francia, Christine Boutin, una delle leader del movimento francese “Manif pour tous” contro il matrimonio tra persone dello stesso sesso, non identifica le vittime ma si limita a parlare di “barbarie”. Marine Le Pen, leader del Fronte Nazionale, parla di vittime omosessuali ma si concentra sulla condizione delle persone LGBT nei paesi islamici e sulla necessità di lottare contro questa barbarie.
Per l’estrema destra ed i reazionari, quindi, non si tratta di omofobia, ma di barbarie, il contrario di “civilizzato”.
La successiva soggettivizzazione delle vittime che opera Trump, e altri con lui, è solo pretesto per ravvivare la teoria razzista e imperialista dello "scontro di civiltà" tra la "cultura occidentale", presentata come un campione della parità di genere e della tolleranza sessuale, e "la cultura musulmana", presentata come arretrata, misogina e omofobica. Entra così in gioco l’omonazionalismo, che va di pari passo con l’islamofobia.

Di fronte a questo processo ideologico numerose voci si sono levate dalla comunità LGBTQI statunitense e dalle associazioni di musulmani americani per scongiurare la strumentalizzazione in chiave anti-islamica dell’attentato. Per quanto conosciuto all’FBI, secondo gli investigatori l’attentatore era un lupo solitario: avrebbe cioè agito da solo ma per conto dell’ISIS, che ovviamente ha rivendicato – fosse anche solo a scopo pubblicitario – solo dopo che la notizia dell’attentato e della telefonata del terrorista che si autoproclamava militante dell’ISIS si sono diffuse.

Obama è convinto si tratti di “terrorismo di casa nostra”, forse ispirato dal fondamentalismo islamico, sicuramente favorito dalla facilità con cui negli Stati Uniti si possono acquistare armi.
L’ISIS è un nemico oscuro, la sua propaganda attraversa veloce il web e fa proseliti anche grazie a stragi come queste. Fino ad ora nessuno è riuscito a contrastarlo e ad eliminarlo realmente. E allora la strumentalizzazione appare ancora più disgustosa se atta a portare avanti interventi militari utili solo a chi trae profitto, economico e politico, della guerra imperialista al terrore.
Oltre che sul facile accesso alle armi, la tragedia di Orlando ha alzato il velo su un altro aspetto della “civile” America: in queste ore c’è bisogno di sangue per i feriti, centinaia di persone sono in fila per donarlo, ma le persone LGBT non possono essere tra queste, perché la Food and Drug Administration dice che se hai avuto rapporti con qualcuno del tuo stesso sesso la tua donazione non è ben accetta, a meno che tu non abbia praticato l’astinenza per almeno un anno.
Il sangue frocio può essere versato ma non donato e la comunità LGBT locale così non può aiutare se stessa.

Un’ulteriore necessaria riflessione va fatta anche sulla reazione dell’opinione pubblica. La prima forma di condivisione del dolore su Facebook si è tradotta in un fiocco arcobaleno e a stelle e strisce, con a fianco la scritta “we stande with Orlando”. A seguire, un’altra forma di solidarietà si è diffusa con le parole “we are Orlando” sotto la foto profilo. Anche nell’opinione pubblica, compresa quella LGBT, si perde il connotato omofobico della strage.
Al contrario delle stragi di Parigi e di Bruxelles, solo per fare due esempi, non sono diventati virali hashtag tipo “Je suis Charlie”. Nessuno/a si è sentito di dire “I am gay” o “We stand with the LGBT community”. Troppo difficile, in questo caso, identificarsi con le vittime appartenenti ad una comunità che si ritrova in bar discoteche, come il Pulse di Orlando, che agli occhi dei più appaiono come luoghi degenerati, perversi. Troppo difficile identificarsi in una soggettività che proprio in questi giorni attraversa le strade di centinaia di città in tutto il mondo per manifestare il suo orgoglio. Una forma di lotta, colorata, rumorosa, danzereccia, godereccia, fatta di corpi nudi e non conformi, con cui l’opinione pubblica perbenista fa difficoltà a solidarizzare. Troppo difficile identificarsi con delle persone che danno corpo, con orgoglio, al più censurato dei comportamenti umani: la sessualità. Il padre dell’attentatore ha raccontato che il figlio si era infuriato di fronte a due uomini che si baciavano pubblicamente; è la reazione di molti, è la reazione di chi immediatamente dopo pensa, soprattutto se sono uomini, a quello che c’è oltre quel bacio: il sesso e la penetrazione anale. L’omo-lesbo-bi-transfobia è, anche o forse soprattutto, questo e non la si può nascondere nemmeno di fronte a cinquanta persone uccise.
Continueremo a ballare, continueremo a godere, continueremo a desiderare. Questa è la nostra lotta, questa è la nostra resilienza, questa è la nostra forza.