#MoltoPiùCheCirinnà. I nostri diritti non si vendono

Wed, 02/03/2016 - 11:53

Il 25 febbraio 2016 il Senato ha votato la fiducia al maxiemendamento del Governo che “istituisce l'unione civile tra persone dello stesso sesso quale specifica formazione sociale ai sensi degli articoli 2 e 3 della Costituzione e reca la disciplina delle convivenze di fatto”.
Le trattative portate avanti dalla maggioranza al Governo, il PD di Renzi e l’NCD di Alfano, hanno portato all'integrale sostituzione del testo originale del già insufficiente DdL Cirinnà e, tra le altre cose, alla cancellazione della stepchild adoption ed eliminazione dell’obbligo di fedeltà.

Per chi, come noi, afferma il diritto all’autodeterminazione sulla propria vita affettiva e sessuale, al di fuori di un inquadramento normativo e normalizzante, l'eliminazione dell'obbligo di fedeltà sarebbe una vittoria.
Un'auspicata estromissione dello Stato dalle nostre relazioni è però, nel volere delle destre e dei cattolici e per concessione di Renzi e del suo partito, la traduzione in legge di un retaggio conservatore e bigotto: insieme al riferimento al solo articolo 2 della Costituzione, che riconosce le “specifiche formazioni sociali”, e non anche all’articolo 29, in cui si definiscono i diritti della famiglia fondata sul matrimonio, si è voluta togliere dignità alle nostre vite e alle nostre relazioni, eliminando la possibilità di riconoscere le unioni civili tra persone dello stesso sesso al pari delle coppie sposate, legalizzandoci infedeli ed instabili, come qualcosa di altro rispetto al matrimonio e, quindi, alla famiglia.
Eliminati anche i richiami al codice civile sulla famiglia, sostituita la "vita coniugale" con "vita in comune" e lasciato un solo riferimento alla "vita familiare", rimangono il diritto alla pensione di reversibilità, l’obbligo di reciproca assistenza morale e materiale e l’obbligo di coabitazione. Questa formazione sociale specifica si delinea quindi come un'unione solidaristica tra due persone dello stesso sesso che si fanno compagnia.
Le associazioni LGBTQI hanno indetto per il 5 marzo una manifestazione nazionale a Roma per denunciare l’inadeguatezza del testo approvato in Senato. Sulla nostra pelle si sono costruite e consolidate alleanze politiche per mantenere in vita il governo e, soprattutto, per potergli permettere di esibirsi sulla scena politica internazionale con un nastrino arcobaleno.

La difesa di una legge come quella che approda ora alla Camera risulta difficile per chi da anni lotta per ottenere diritti uguali per tutte e tutti a prescindere dall’orientamento sessuale, partendo dalla creazione di un’alternativa al welfare familistico.
I diritti che questa legge si vanta di riconoscere a soggetti finora esclusi da questa possibilità (pensione di reversibilità; obbligo alla coabitazione; obbligo al sostegno morale e materiale) sono un mero specchietto per allodole. Mentre formalmente li riconosce per le coppie LGBTIQ, di fatto li sta cancellando a tutte e tutti con politiche neoliberali e di austerità portate avanti da Renzi & Co.
Come si può imporre l’obbligo alla coabitazione quando lo Stato non riesce a garantire il diritto alla casa?
Come si può prevedere il diritto alla reversibilità, se nelle stesse ore viene approvata una legge (D.d.L. di contrasto alla povertà) che lo trasforma in una prestazione assistenziale ancorata all’ISEE e quindi non lo rende più un diritto per tutte e tutti?
Come si può prevedere l’obbligo al sostegno morale e materiale se le nostre vite sono vite precarie, senza orari di lavoro e guadagni certi?
Come possiamo vivere le nostre vite, con il nostro compagno o la nostra compagna, se lo stato non ci garantisce i diritti fondamentali (casa, assistenza sanitaria, reddito, lavoro, etc.) che ci permetterebbero di vivere una vita dignitosa e slegata dai ricatti infami cui siamo giornalmente sottoposte e sottoposti?

Quello che vorremmo, come donne e uomini, è uno stato che ci garantisca dei diritti in quanto persone; che ci garantisca un’abitazione dignitosa in cui poter vivere liberamente le nostre vite; che ci permetta di vivere liberamente la nostra sessualità, senza per forza inquadrarci in gelide categorie normative.
Vogliamo uno stato che ci garantisca un welfare capace di assicurarci un’assistenza, morale e materiale, un’assistenza accessibile a tutte e tutti, e non privilegio esclusivo di pochi noti; uno stato che ci permetta di conciliare la precarietà che pervade le nostre vite con la solidità che caratterizza i nostri desideri.

Per tutto questo e molto più saremo in piazza il 5 marzo!
Perché siamo fermamente convinte e convinti che ogni battaglia che tenti di allargare i diritti debba necessariamente essere una lotta da attraversare e da intercettare. Perché, nonostante tutto, questo dibattito rappresenta un tentativo di aprire una crepa in un muro che altrimenti risulterebbe sempre troppo difficile da abbattere.
Saremo in piazza per gridare forte che quello che ci meritiamo è molto più del maxiemendamento del Governo e del DdL Cirinnà. Vogliamo una legge che riconosca l'uguaglianza delle nostre relazioni e delle nostre famiglie, vogliamo un welfare inclusivo che risponda ai nostri bisogni senza necessariamente incanalarci in modelli normativi che non ci appartengono, vogliamo un reddito per autodeterminarci e sfuggire ai ricatti del lavoro, perché quello che siamo è in continua evoluzione e non può essere chiuso o compreso solo in una semplice legge.

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