La nostra politica agricola, dal basso e solidale

Sun, 27/09/2015 - 16:18
di
Laura Castellani*

Quando un paio di anni fa ho deciso di diventare una contadina l’ho fatto spinta da motivazioni forti e radicali: non si trattava solo di una scelta professionale,ma di una svolta esistenziale profonda con alla base l’obiettivo di contrastare la crisi ambientale e la distruzione dei territori a partire dalla pratica di un modello agricolo ecologicamente sostenibile.

Un progetto altisonante e ambizioso, che mi sembrava però al tempo stesso abbastanza realistico. Su questa valutazione ha sicuramente pesato l’enorme campagna messa in campo da mezzi di comunicazione, associazioni di categoria, scrittori e giornalisti che affermavano in quel periodo (e continuano tuttora a sostenere) che l’agricoltura italiana non solo ha bisogno di una nuova generazione di contadini ma che i progetti imprenditoriali giovanili vengono sostenuti attraverso una nuova Politica Agricola Comunitaria.
A due anni dalla mia scelta ho capito sulla mia pelle che nulla è scontato e che diventare una contadina è più difficile di quanto credessi, anche perchè l’Unione Europea non ha stanziato soldi per me.

Negli ultimi anni abbiamo assistito alla proliferaione di articoli entusiastici intitolati “Finanziamenti ai giovani agricoltori”, “Giovani e Pac: una nuova opportunità”.. ma come stanno realmente le cose? È vero che l’Unione Europea ha stanziato ingenti fondi destinati a giovani agricoltori che insediano un’azienda per la prima volta, ma aprire un’azienda agricola non è così facile ed immediato per tutti. Dunque i soldi per i giovani ci sono, ma sono indirizzati a coloro che hanno la capacità e la disponibilità economica per avviare un’azienda: terra di famiglia o relazioni che permettano l’accesso alla terra, soldi per i primi passaggi burocratici e attrezzature agricole. Viene quindi richiesta ai giovani agricoltori una capacità autonoma abbastanza sostanziosa di impostare un progetto di medio periodo (ad esempio se non hai terra di proprietà, ne dovrai prendere in affitto con un contratto di almeno 6 anni, e non tutti i proprietari sono disposti a vincolarsi per un periodo così prolungato). Il problema maggiore per accedere ai fondi europei è quindi il possesso dei prerequisiti senza i quali non è possibile partecipare ai bandi; un piccolo produttore, magari giovane e senza tutte le carte in regola o che già deve sopravvivere tra una serie di problematiche (che un grande produttore aggira) rinuncia ai fondi europei o ne usufruisce per una piccola parte disincentivato dai tanti passaggi burocratici e dallo spirito complessivo della Pac che favorisce le aziende medio-grandi e già strutturate da tempo.

Il dibattito pubblico sulla Pac si è concentrato negli ultimi anni sulla spartizione delle risorse economiche disponibili, un approccio di stampo puramente economico-finanziario insufficiente e debole per la fase attuale. Sarebbero necessari strumenti non solo economici: percorsi formativi che promuovano metodi agricoli sostenibili, progetti agricoli credibili e con un’attenzione particolare all’ambiente e al territorio, politiche agricole che permettano l’accesso alle terre pubbliche, insomma è urgente e necessario un ripensamento delle politiche agricole comunitarie. I fatti però ci mostrano una realtà che va in senso contrario a questa prospettiva: vendita di terre pubbliche e demaniali (le terre di Mondeggi ne sono un esempio di questa politica), contrattazione su un livello informale (molte terre vengono coltivate senza un contratto regolare), un ruolo decisivo delle associazioni di categoria a cui il pubblico delega di fatto la definizione e la gestione delle politiche agricole permettendo così un avanzamento unilaterale degli interessi delle imprese più grandi e il sostegno politico ed economico di un modello agricolo intesivo ed industriale, basato sullo sfruttamento del territorio e delle risorse e soprattutto indirizzato all’export. È dunque necessario ripensare l’approccio che le politiche agricole e pubbliche in generale hanno nei confronti della terra: la terra può creare lavoro qualificato in un’ottica di sostenibilità ambientale e tutela dei territori? La terra può diventare un’occasione per i giovani di uscire dalla disoccupazione e di realizzare progetti e aspirazioni?

Non è possibile iniziare a pensare alla terra e al suo accesso come strumento di emancipazione avviando così un ripensamento del modello agricolo industriale che rimane quello maggiormente diffuso a livello europeo ma che allo stesso tempo risulta poco sostenibile e complice della crisi ambientale che stiamo vivendo?

C’è a livello sociale un’attenzione crescente dei giovani verso i temi dell’alimentazione, dell’uso del territorio e dello sfruttemento delle risorse, ma le politiche agricole non solo la svuotano del suo orientamento al cambiamento, ma la cavalcano provando a dare una nuova veste alla Pac 2014-2020 definendola come l’inizo di una nuova strategia maggiormente attenta alla salvaguardia dell’ambiente e alla gestione responsabile delle risorse oltre che strumento di promozione del ricambio generazionale in questo settore. Al di là della retorica, la Pac risulta assolutamente inadeguata in questa fase politico-economica poiché mantiene elementi di continuità con le politiche di sviluppo rurale precedenti (sostegno al reddito e pagamenti diretti) che favoriscono e incoraggiano il modello agricolo industriale, ad oggi le variabili da tenere in considerazione sono molte e complesse: l’emergenza climatica, il disastro ambientale, la pratica e la sperimentazione di modelli agricoli sostenibili, la disoccupazione giovanile e non solo. La terra non deve essere lasciata in disuso ma non deve neanche essere un semplice fattore produttivo da sfruttare e da cui ricavare il maggior profitto possibile. ; i dati del censimento Istat 2011 mostrano una forte difficoltà di ricambio generazionale nel settore agricolo ma cosa ce ne facciamo del primo insediamento e dei fondi stanziati dalla Pac 2014-2020 se non si affronta un ragionamento complessivo sull’accesso alla terra?

Infine la Politica Agricola Comunitaria rappresenta una fonte di finanziamento pubblico che ad oggi viene indirizzata alla medio-grande imprenditoria agricola come già detto orientata all’export e all’agricoltura intensiva a scapito dei nostri territori e dell’ambiente, perchè invece non iniziare a ragionare su una politica agricola differente che indirizzi queste risorse a modelli agricoli che rispettino l’ambiente, valorizzino i territori e lavorino a stratto contatto con le comunità territoriali?

Dal punto di vista di una contadina è urgente ed importante un ragionamento su questi temi che parta però da noi che viviamo quotidianamente una serie di difficoltà e di contraddizioni che non sempre sono aggirabili. Nonostante l’illusione di poter accedere ai finanziamenti europei, le difficoltà e la carenza strutturale di risorse economiche continuiamo ad inseguire le nostre aspirazioni chiedendo il sostegno e la partecipazione di tutti coloro che vogliono sostenere il nostro progetto con quella che abbiamo chiamato una Pac dal basso in attesa di ragionare con altri su politiche di accesso alla terra e a forme di finanziamento pubbliche che ne permettano l’uso e il rispetto.

* dal blog "Dalla parte del cavolo"

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