Spagna: il difficile cammino del nuovo governo e le sfide di Unidos Podemos

Tue, 05/06/2018 - 13:32
di
Jaime Pastor*

Il trionfo della mozione di sfiducia presentata da Pedro Sanchez il 1 giungo e la conseguente cacciata di M. Rajoy de la Moncloa sono state senza dubbio una buona notizia e, difatti, così è stata percepita dalla maggior parte della società spagnola. Si apre così una nuova fase politica piena di incognite e senza grandi aspettative rispetto al nuovo governo che si formerà nei prossimi giorni, però almeno si è conclusa una stagione di attacchi brutali ai diritti e alle libertà fondamentali, sotto tutti i punti di vista possibili.

Infatti, il 24 maggio scorso, casualmente un giorno dopo la approvazione delle previsioni di spesa del PP nel Congresso, arrivava finalmente la sentenza della Audiencia Nacional (tribunale nazionale spagnolo) sul caso Gurtel, che riguardava 28 imputazioni per reati di peculato, 24 per corruzione, 26 per riciclaggio e 20 per reati contro l’Amministrazione Pubblica e lunghe condanne ad un gran numero di persone vicine o militanti del PP (Partido Popular), come l’ex tesoriere Luis Barcenas, l’uomo di affari Francisco Correa, l’ex sindaco di Majadahonda y Pozuelo de Alarcon e l’ex segretario dell’Organizzazione del PP galiziana. Una sentenza che riconosce quello che era evidente già da tempo: che per molti anni tra le aziende di Correa e il PP si era instaurato “un autentico ed efficace sistema di corruzione istituzionale attraverso meccanismi di manipolazione della contrattazione pubblica, tanto a livello centrale, regionale e comunale, grazie alle sue strette e continue relazioni con influenti militanti di detto partito”.

Questa sentenza non lascia alcun dubbio, anche per Ciudadanos (partito di destra spagnolo), sulle tendenze criminali del PP e sulle responsabilità di M. Rajoy in quanto presidente dello stesso. A partire da allora, la decisione di Pedro Sanchez di presentare la mozione di sfiducia apparve come un’iniziativa che non aveva vita molto lunga, ma che era necessaria per dare risposta alla richiesta di “pulizia democratica” che voleva la cacciata dal Governo del Partito più corrotto di Europa. Finalmente, nonostante l’incertezza fino all’ultimo sulle dimissioni o no di Rajoy, il PVN (Partido Nacionalista Vasco) si convinse a votare a favore della mozione, in cambio del rispetto delle previsioni di spesa di austerity approvate e l’impegno a non convocare le elezioni generali anticipate, permettendo così che la mozione ottenesse la maggioranza assoluta.

Ora non è il momento di riportare i differenti interventi nel dibattito, però è interessante constatare che oltre il risultato raggiunto, Pedro Sanchez, che sembrava essere praticamente sparito dalla scena politica a parte chiudere le fila dentro il blocco del 155, ne esce rinforzato però senza poter nascondere la grande preoccupazione davanti alle sfide che ha dinanzi a se. Dall’altro lato il grande perdente è il leader di Ciudadanos, Alber Rivera, ossessionato da alcuni sondaggi che lo presentavano come il vincitore delle possibili elezioni generali immediate e che ora deve fare i conti con il suo isolamento, almeno fino alle prossime elezioni comunali o regionali. Il suo progetto di ultranazionalismo spagnolo, condito con neoliberismo ed europeismo in stile Macron, non verrà sopportato più tanto facilmente nell’opposizione, almeno fuori dalla Catalogna. Unidos Podemos è apparso, al contrario, come il più convinto promotore della mozione di sfiducia e per questo, compartecipe della vittoria, fino al punto di proporsi come partecipe del Governo con il PSOE. In quanto ai partiti sovranisti catalani, come a Bildu, hanno cavalcato la voglia di cacciare il PP e ora questa capacità gli permette di cominciare con Pedro Sanchez un dialogo alla pari che blocchi le risoluzioni giudiziali del conflitto catalano, anche se sappiamo che in questo fronte il leader del PSOE, sottomesso alla stretta vigilanza dei suoi baroni e della vecchia guardia, può solo fare vane promesse.

Il PP, dal canto suo, si trova confuso davanti uno scenario che non si aspettava ed entra in una nuova fase di ricostruzione che, probabilmente, sarà ancora diretta da Rajoy. È certo che il PP non è la UCD (Union de Centro Democratico) della Transazione (periodo storico successivo alla morte di Franco e in cui la Spagna passa dall’essere una dittatura ad uno stato con una carta costituzionale diventando così uno stato sociale) e che non è possibile pensare a una scomposizione in tempi brevi. La prima prova elettorale, quella in Andalusia nel marzo 2019, potrebbe vederlo inoltre superato da Ciudadanos. In ogni caso, a cominciare da adesso, costretto alla concorrenza con questo partito, il suo processo di ricostruzione e ricerca di una nuova classe dirigente sarà accompagnato da una furente opposizione al nuovo governo, senza scordarsi della difesa comune della “ragione di stato” e in particolare, “dell’unità della Spagna”, di fronte al separatismo. Entrambe le formazioni, Partido Popular e Ciudadanos, verranno spronate dalla vetrina mediatica, disposta a intraprendere qualsiasi azione, anche sporca, necessarie per non lasciare in pace Sanchez e inventarsi un secondo fine che, come già possiamo vedere, annuncerà le peggiori catastrofi.

Che dobbiamo aspettarci dal nuovo Governo? E da Podemos?

La bozza di programma presentato fino ad ora sembra concentrarsi in semplici ma urgenti misure, molte di queste già esaminate dal Governo del PP, come quelle relative alla Ley Mordaza (legge spagnola che comprime il diritto di riunione e manifestazione), la universalizzazione della sanità o lo sblocco di RTVE (rete pubblica spagnola). Tuttavia, il suo annuncio di un riscatto sociale non sembra che possa andare molto lontano visto il suo impegno di rispettare alcuni delle previsioni di spesa di austerity ai quali lo stesso PSOE presentò emendamenti. Per quello che riguarda la sua disponibilità a dialogare con gli indipendentisti catalani, questo comporterà, oltre a cercare soluzioni del conflitto al di fuori dei tribunali, l'interruzione dell’interventismo economico da parte del governo centrale, e neanche questo era nei suoi progetti.

Dunque, è possibile che ci troveremo con una nuova versione di quello che fino ad ora è stato proposto come modello dalla portavoce dei socialisti in Parlamento, Margarita Robles: la fase dei governi presieduti da Rodriguez Zapatero. Insomma, compensare lo scarso margine di manovra sul piano socio-economico, dovuto ai compromessi – più duri di allora – con il Piano di Stabilità Europeo e sul piano della frattura nazionale – anch’essa molto più grave oggi di allora – con misure rilevanti nell’ambito delle libertà e dell’assistenzialismo sociale, in modo da affrontare la prossima turnata elettorale con un certo recupero di credibilità, di fronte ad una vasta perdita di consensi negli ultimi anni.

Inoltre questo governo subisce le pressioni delle lobbys, interne ed esterne, – la Patronal (cfr. Confindustria) e le banche li pressano affinché non tocchino le grandi riforme, in particolare quelle sul lavoro, e affinché non introducano nuove tasse – e dal rifiuto del PP e di Ciudadanos a qualsiasi gesto di distensione con gli indipendentisti catalani, appellandosi alle manifestazioni di piazza come fecero anche con Rodriguez Zapatero. Ha ragione Pablo Iglesias quando sostiene che Pedro Sanchez sta per formare un governo debole.

Il problema è che per far fronte a questo blocco reazionario, la migliore strada non era offrirsi di far parte di questo Governo, come invece ha fatto, frettolosamente, Pablo Iglesias. Al contrario, Unidos Podemos avrebbe dovuto riaffermarsi come la forza sociale che, da dentro il Parlamento e insieme ai movimenti sociali, era disponibile a raggiungere accordi con il PSOE senza far parte del Governo, come ci ricordano i nostri amici del Portogallo (1) e a sua volta, soprattutto, a formare un blocco alternativo fortemente deciso a rispondere agli attacchi della destra, e contemporaneamente a spingere Pedro Sanchez a non adottare semplicemente misure rigenerative e social-liberali.

Questa sarebbe stata la tattica più adeguata perché, come ha detto lo stesso leader di Podemos nel suo primo discorso in parlamento, non ci troviamo davanti solo la necessità di superare la fase di un PP corrotto, né davanti ad una mera crisi di rappresentazione politica. Ci dobbiamo confrontare con una tripla crisi – istituzionale, socio-economica, e nazional-territoriale – che nella realtà, nonostante il reflusso degli ultimi anni e il blocco della questione catalana, continua mantenendo aperta la crisi di regime di cui il PSOE è stato uno dei protagonisti principali. Persino Juan Luis Cebrian (giornalista spagnolo) di recente invitava ad evitare il “naufragio dello Stato”. Per questo non ha senso limitarsi a cercare nuovi consensi (idealizzando di nuovo quelli che superarono la Transizione) per una mera rigenerazione di questo regime, ma al contrario dobbiamo continuare a mantenere l’orizzonte di rottura costituente che sta alle basi della nascita di Podemos.

Unidos Podemos non può convertirsi in un semplice aiutante della ricomposizione parziale di questo regime, dalla quale inoltre uscirà rafforzato solo il PSOE che, oltre ad avere anch’esso una lunga storia di corruzione, è molto lontano dall’emulare l’esempio di correnti come quella che rappresenta Jeremy Corbyn (leader del partito laburista) in Gran Bretagna. Come si propone nel comunicato di Anticapitalistas (2), compito di UP dovrebbe essere quello di contribuire a creare le condizioni per un nuovo ciclo di mobilitazioni, seguendo l’esempio di movimenti come quello femminista e dei pensionati, aspirando così ad annientare i segni di austerità, liberticidi (3) e ri-centralizzatori che temiamo in molti, imponendosi in questa nuova fase politica.

Questo dovrebbe essere il cammino migliore per preparare le prossime elezioni, promuovendo allo stesso tempo processi partecipativi – e non plebiscitari – di costruzione di candidature di Unidad Popular, e stringendo accordi come hanno fatto Podemos e Izquierda Unida in Andalusia.

(1) Che ci ricorda che “tutto quello che è cambiato nel 2015 è dovuto alla pressione del Bloco e del PCP” ma anche che “la questione delle banche, come quella del debito e dell’Europa, non può essere inclusa nell’accordo” (cfr. Alda Sousa e Adriano Campos, “l’esperienza del Blocco di Sinistra. Conquiste e conflitti”, Viento sur, 157, aprile 2018, pp. 5-14)
(2) http://www.anticapitalistas.org/comunicados/ante-la-investidura-de-pedro...
(3) Ricordiamo la recente sentenza contro i giovani di Altsasu e l’esistenza di prigionieri e prigioniere politiche e di esiliati ed esiliate

*Fonte articolo: http://vientosur.info/spip.php?article13864
Traduzione a cura di Giulia Vescia