Obama ha perso, gli altri non hanno vinto

Thu, 06/11/2014 - 11:37
di
Felice Mometti

Non è capitato spesso di vedere un Presidente americano restare disoccupato durante la campagna per le elezioni di medio termine della Camera e di un terzo del Senato degli Stati Uniti. Molti candidati democratici non hanno voluto Obama ai loro comizi per paura di perdere voti. Strano destino per un Presidente a metà del secondo mandato. Eletto sei anni fa con molte aspettative e ridotto ad un'anatra zoppa senza maggioranza nemmeno al Senato.
E' vero che i repubblicani hanno impostato la campagna elettorale come se fosse un referendum contro Obama ma questo non spiega tutto, anzi spiega un gran poco. La campagna anti Obama dei repubblicani più che una manifestazione della loro forza è stata l'unico elemento di coesione di un partito attraversato da una profonda crisi che deve fare anche i conti con l'ala oltranzista del Tea Party. La sconfitta dei democratici è da imputare soprattutto all'astensione degli elettorati latino, afroamericano e della classe media bianca impoveritasi con la crisi profondamente delusi dall'amministrazione Obama.
Una riforma delle leggi sull'immigrazione ferma da un anno e mezzo al Senato per trovare un accordo bipartisan, gli indici dell'economia americana in parziale ripresa senza che ciò abbia avuto degli effetti concreti sui salari e i redditi dei lavoratori, la tanto sbandierata riforma sanitaria ormai completamente svuotata e ridotta a welfare compassionevole, l'uso nelle grandi città dei corpi di polizia secondo una logica di occupazione militare sono stati i motivi che hanno spinto moltissimi elettori potenzialmente democratici a disertare le urne.
Di queste elezioni c'è però un altro dato altrettanto significativo. Dopo la recente sentenza della Corte Suprema che ha tolto ogni limite ai finanziamenti, diretti e indiretti, ai politici da parte delle grandi società in qualunque forma e attraverso qualsiasi mezzo, in queste elezioni sono stati raccolti circa 4 miliardi di dollari, più o meno la stessa cifra delle scorse elezioni ma con una importante differenza: sono drasticamente diminuiti i piccoli finanziatori e i volontari del porta a porta a vantaggio delle grandi corporations e delle società finanziarie.

Nei prossimi due anni della presidenza Obama assisteremo al suo lento declino e al trionfo degli «spiriti animali» dei repubblicani come paventano già alcuni media mainstream democratici? Non è uno scenario verosimile per molte ragioni. La differenza tra i due partiti, al di là delle dichiarazioni propagandistiche, su molti temi sociali è poca o nulla. L'amministrazione Obama si è distinta per essere stata quella che più di tutte ha espulso i migranti senza documenti, per aver ridotto i sussidi di disoccupazione e regalato centinaia di miliardi di dollari a banche, imprese e società finanziarie che avevano speculato con i titoli tossici, per aver promesso la riduzione delle emissioni di carbonio che in realtà sono aumentate. Una politica non molto diversa da quella possibile di marca repubblicana. Durante i sei anni di governo Obama è stato operato un drastico spoil system degli incarichi dirigenziali nell'amministrazione dello stato, della giustizia, dei posti di comando della difesa e dell'Agenzia per la sicurezza nazionale. Sono stati riorganizzati, con dispositivi ad alta tecnologia, sia i reparti militari di intervento rapido che le strutture di intelligence interna ed esterna. Non sarà facile per la maggioranza repubblicana del Congresso cambiare l'impronta di tutte queste strutture, i loro ruoli e la loro missione. Tenendo conto anche della natura autoritaria della democrazia americana in cui il Presidente ha dei poteri eccezionali con limitati contrappesi da parte delle altre istituzioni. Date le attuali condizioni i repubblicani non rappresentano certo un'alternativa reale ai democratici. E di certo verrà trovato un accordo per proseguire con il TTIP, il trattato transatlantico di libero scambio, accentuandone il contenuto liberista.

In questa tornata elettorale non si è votato solo per il Congresso, ci sono stati decine di referendum nei singoli stati e in alcune città politicamente significative. I risultati in parte contraddicono il consolidamento dell'avanzata repubblicana. In Oregon e nella capitale Washington DC, che ha uno statuto speciale, vincono i referendum per la legalizzazione del possesso di cannabis per uso personale e in quattro stati (Alaska, Arkansas, Nebraska e South Dakota) passano i referendum per incrementare i salari minimi seppur con cifre limitate e diluite nei prossimi due/tre anni. Di maggior impatto politico e sociale sono state le vittorie a San Francisco, il salario minimo sarà portato a 15 dollari l'ora dal 2018, e soprattutto a Oakland dove il referendum per un salario minimo di 12,25 dollari dal marzo 2015 è passato con l'80% dei voti. Oakland, tra pochi mesi, diventerà la città degli Stati Uniti con il più alto salario minimo stabilito per legge. In questa città è passato un altro referendum che può rappresentare un punto di riferimento per le lotte di lavoratori e precari: il diritto a permessi retribuiti in caso di malattia. Due referendum che hanno visto la mobilitazione di quello che è rimasto del movimento Occupy di Oakland. Forse non è proprio un caso che nella baia di San Francisco si sono avuti questi risultati.