O loro o noi: l'Argentina sull'orlo della crisi

Mon, 21/05/2018 - 17:28
di
Klaudio Katz*

Si sapeva da sempre che Macri governava per i ricchi e che il suo modello economico avrebbe portato a una grande crisi. La prima affermazione è stata corroborata dalla ridistribuzione regressiva delle entrate perpetrata negli ultimi due anni. La seconda ha iniziato a essere verificata con le montagne russe su cui ha viaggiato il tasso di cambio dell'ultima settimana.
Sta tremando un modello neoliberista basato su enormi squilibri esteri/esterni e fiscali risolti attraverso l’indebitamento esterno. Tutti immaginavano che il finanziamento sarebbe durato fino al 2019, ma il finale del film è arrivato in forma del tutto imprevista.

Wall Street ha annunciato a marzo che non avrebbe accettato più obbligazioni. Il governo ha raccolto questa negativa con un falso annuncio di maggiori finanziamenti locali, ma le capitali inghiottite hanno colto immediatamente il significato della siccità. Hanno emesso l'ordine di ritiro ed è cominciata l'irrefrenabile scalata del dollaro. Il finanziamento è stato ridotto a causa della mancanza di fiducia dei creditori. Presentono l'insolvenza futura del debitore argentino. Ecco perché le agenzie di rating hanno abbassato i pollici, il rischio del paese aumenta e la stampa specializzata descrive scenari drammatici.

Una conseguenza del modello

La fragilità del settore esterno è il punto più critico dell'attuale sistema. Le banche hanno ritirato i prestiti, rilevando la futura assenza dei dollari necessari per sostenere il debito. Osservano l'entità del deficit esterno, che l’anno scorso ha superato i 30.000 milioni di dollari (5% del PIL).
Il buco centrale si trova nella sfera commerciale. Lo squilibrio di 8.000 milioni del 2017 ha segnato un record storico. È stato generato dalle fantasie del libero mercato del partito di governo, che ha aperto il mercato a tutti i tipi di importazioni.

Mentre nel mondo prevale una dura trattativa dei dazi, l'Argentina è stata trasformata in una sorta di deposito di eventuali eccedenze. A peggiorare le cose, le esportazioni hanno subito un rallentamento, grazie all'apprezzamento del tasso di cambio generato dall'afflusso di capitali speculativi.
Lo squilibrio nel piano finanziario è altrettanto drammatico. L'uscita delle valute accompagna Macri dallo stesso giorno in cui immagina la mai arrivata pioggia di dollari. La remissione dei profitti è stata sostenuta quanto la fuga di capitali. Questo drenaggio è congruente con l'eliminazione di tutte le normative sull'attività finanziaria. I controlli nel circuito bancario sono stati disarmati, con la stessa velocità con cui è stato annullato l'obbligo di liquidare i dollari all'esportazione.

Sulla stessa mancanza di protezione si basa la bicicletta finanziaria dei fondi che lucrano sull’altissima redditività delle obbligazioni argentine. I tassi di interesse deliranti che assicurano questo business, distruggono ogni possibilità di investimento produttivo. Lo spreco delle valute ha riguardato anche lo sperpero nel settore del turismo. Quell'emorragia fu persino celebrata da diversi ministri come un meraviglioso esempio di "ritorno al mondo".
Anche il buco fiscale è impressionante. Tocca la percentuale del PIL (6-7%) che tradizionalmente ha fatto precipitare la situazione nei grandi terremoti dell'economia. Il governo evidenzia l'entità di questo deficit e lo presenta come un male esterno che deve essere gestito. Con una maschera compassionevole, afferma di aver dovuto mantenerlo per finanziare il gradualismo ed evitare maggiori sacrifici della popolazione. Ma nasconde che tutti gli squilibri derivano dal modello attuale e non dal ritmo della sua attuazione. Se avesse premuto l'acceleratore della stessa combo neoliberale, il disastro sarebbe stato infinitamente più alto.

Quando i funzionari si lamentano dell'usanza di spendere più di quello che entra, mettono tutte le disgrazie nel primo fattore. Dimenticano che la riscossione è stata seriamente compromessa dalla riduzione delle imposte agli esportatori. Né fanno notare che il riciclaggio di denaro sporco non ha invertito l'evasione. L'Argentina è al quinto posto nel mondo di questo flagello e la moda ufficiale di proteggere i beni nelle società “offshore” mostra chi sta promuovendo la truffa fiscale.
Il partito di governo dimentica anche di registrare come il pagamento degli interessi deteriora i conti pubblici. Solo nel primo trimestre dell'anno tali spese sono aumentate del 107% rispetto al 2017.

Il modello neoliberista genera battute d'arresto che il governo non può rimettere in carreggiata. Il disastro in corso non è stato innescato dalla nuova tassa sui profitti sui titoli, ma dalla reazione terrorizzata da parte della Banca centrale. In pochi giorni ha incenerito diversi manuali di politica monetaria. Ha fatto ricorso a tutti gli strumenti conosciuti per fermare una corsa e non è riuscita a frenarla con nessuno di essi. Ha anche fatto appello senza successo alla regolamentazione del mercato dei future del dollaro (n.d.t prodotti finanziari).

La crisi internazionale non è stata finora decisiva per il tremore argentino. La liquidità finanziaria globale si mantiene e non si ripete l'effetto tequila sulle economie latinoamericane. Certamente l'aumento dei tassi di interesse statunitensi altera tutti gli investimenti nel mondo. Ma questo riarrangiamento ha al momento effetti limitati.
Se l'Argentina soffre questo freddo con una grave polmonite, è a causa del panico che provoca il suo folle indebitamento. Il paese negli ultimi due anni ha guidato il tavolo globale dei titoli ed è penalizzato per questa mancanza di controllo. Ma la maggior parte della popolazione non è responsabile di questa cattiva gestione. Il colpevole è Macri e con lui gli amministratori delegati del suo gabinetto, che hanno gonfiato i flussi della classe capitalista. Per nascondere questo crimine, i comunicatori della classe dominante incolpano tutti gli argentini di una appropriazione indebita consumata da quella minoranza di privilegiati.

Ritorno allo stesso Fondo

Le cifre di maggio ritraggono la gravità della crisi: svalutazione del 20%, tassi di interesse del 40%, perdite di 8.000 milioni di dollari di riserve. La paura di un esito drammatico aumenta, con alcuni sintomi di trasferimento di questa tensione alle banche.
Il governo prende in giro la popolazione emanando messaggi di tranquillità. Punta a creare l'illusione di una semplice correzione del tasso di cambio fluttuante, senza conseguenze. Ripete ancora che il livello di indebitamento è basso rispetto al PIL, come se quelle generiche percentuali (e non la capacità di pagamento effettiva del debitore) determinassero l'atteggiamento dei creditori.

Mentre il discorso ufficiale minimizza la crisi, i finanzieri dall'estero non si perdono in formalità nelle loro chiamate "per fuggire dall'Argentina" (Forbes). La tranquillità del governo è una rozza strategia per evitare il risveglio collettivo di fronte alla situazione grave.
La decisione di tornare all'FMI conferma la drammaticità della situazione. È una misura disperata che ha sorpreso gli stessi padroni del Fondo. Mostra il panico di un governo che cerca protezioni a qualsiasi prezzo per fermare la corsa. La decisione è stata così imprevista che hanno annunciato il ritorno al Fondo senza un vero programma né un cambio di ministro.

I funzionari fanno un pellegrinaggio a Washington ignorando le condizioni dei prestiti che chiedono. Nel contesto di bassi tassi internazionali e qualche ripresa dalla crisi del 2008, pochissimi paesi si rivolgono all'FMI. Chi sceglie quell'uscita non ha altro rifugio.
È assolutamente ridicolo immaginare l'esistenza di un altro FMI. Quell’istituzione è gestita sempre dagli stessi esperti nella demolizione delle conquiste popolari. I paesi vincolati alla sua tirannia vivono il peggiore degli scenari. Questo è il caso della Grecia che non ha potuto sbarazzarsi dell'audit del Fondo.
I greci hanno già subito quattro salvataggi delle loro banche e tre forti recessioni che hanno riportato indietro del 25% del reddito nazionale. Il tasso di disoccupazione sfiora questa stessa percentuale, il debito pubblico è salito al 180% del PIL e le pensioni hanno subito 14 tagli.

L'Argentina affronta le stesse prospettive. Il Fondo monetario internazionale sarà molto duro con il paese. Delle tre varianti di credito disponibili, ha offerto solo la versione più intrattabile. Scartata sia la linea flessibile (ricevuta dalla Colombia e dal Messico) sia la modalità precauzionale (utilizzata dalla Macedonia e dal Marocco). All'Argentina sarà concesso solo il ben noto stand by per un importo ancora sconosciuto.
I 30.000 milioni si dollari richiesti dal governo superano tutto ciò che è stato finora assegnato ai 13 paesi con piani di stabilizzazione. La somma finale arriverà sempre con il contagocce, per evitare la sua rapida conversione in una fuga all’estero della valuta.
Ogni porzione di tale credito sarà sottoposta a rigorosa verifica da parte degli inviati del Fondo. Questa revisione simboleggia il brutale ritorno agli anni 90. Gli esperti del Fondo monetario internazionale torneranno ogni trimestre per confermare la loro insoddisfazione e chiedere ulteriori adeguamenti.

Non c'è mistero nelle rivendicazioni immediate di quella delegazione. Lo scorso dicembre hanno preparato un ultimatum dettagliato per ridurre la spesa sociale, con maggiore flessibilità del lavoro, riforma delle pensioni e licenziamenti dei dipendenti pubblici. La graduale privatizzazione dell'ANSES (Amministrazione nazionale della sicurezza sociale) e la drastica riduzione dei bilanci provinciali sono in cima a tale agenda. Nei colloqui in corso, avrebbero aggiunto un nuovo riciclaggio di denaro e, soprattutto, una mega svalutazione con recessione che permetta di rendere effettivo il miglioramento del tasso di cambio.
La velocità e l'applicazione di questo pacchetto dipenderanno dall'intensità della crisi, che sarà valutata martedì prossimo. Quel giorno la Banca centrale si trova di fronte a un'enorme scadenza di titoli (LEBACS). Il volume totale di queste obbligazioni è pari all'ammontare delle riserve e al totale del denaro circolante. Se una parte dei suoi detentori decide di liquidarli per rifugiarsi nel dollaro, la corsa potrebbe raggiungere un nuovo picco di tensione.

Se al contrario l'emergenza viene superata con la terrificante tentazione di addebitare un interesse del 40%, gli stessi dilemmi riappariranno nei prossimi mesi. Poiché il prezzo di tutte le obbligazioni argentine è in netto calo, è già evidente la grande svalutazione dei beni che subiranno le istituzioni ufficiali (a cominciare dagli ANSES), che fanno tesoro di quei titoli.
In ogni scenario, il patto firmato con il diavolo del FMI spinge l'economia argentina nel precipizio. Il circolo vizioso di riforme che riducono l'attività produttiva, peggiorano la riscossione, migliorano il deficit fiscale e portano a nuovi adeguamenti già previsti. Lo specchio della Grecia è in vista, con possibili elementi di stagflazione.
Anticipazioni di questo quadro sono già evidenti nel nuovo tasso di inflazione del 30%. Se il tasso di interesse non cadrà rapidamente, la recessione sarà inevitabile. Il governo ha tagliato 30.000 milioni di pesos dalle opere pubbliche, ma il FMI richiederà una paralisi totale. Nei prossimi mesi nessuno ricorderà la finta statistica di una povertà in calo diffusa dal governo. Basta osservare la terribile diffusione dell'elemosinare per le strade, osservare quale è il panorama sociale che sta affrontando il Paese.

Reagire in tempo

La gestione della bomba che il governo ha innescato dipenderà dalla memoria e dalla capacità di reazione popolare. Il rifiuto totale dell'accordo con il FMI è stato anticipato dalle indagini pre-negoziazione. Tra il 75% delle persone consultate che rifiutano l'accordo appare una grande maggioranza di elettori di Cambiemos.
Il ritorno al FMI ha un enorme significato emotivo. Ricrea tutto quello che è successo nel 2001. Ecco perché così tante analogie vengono già diffuse con il blindajedi De la Rúa. È essenziale trasformare questo bagaglio in rifiuto attivo, mobilitazione e proposte alternative.
Il punto di partenza è vincere le piazze per generare un'inversione drastica dell'attuale corso. Il clima di tacita accettazione delle deregolamentazioni - propagato dai media mainstream - sguarnisce l'economia. Per evitare l'aggravamento della crisi è necessario reintrodurre tutte le regole eliminate dal governo. Sono misure di base contro l'emergenza.

Il controllo dei cambi è tanto urgente quanto il divieto di libera entrata e uscita per i capitali. I depositi dei piccoli risparmiatori devono essere protetti, mentre le grandi banche e i detentori sostengono le perdite delle obbligazioni svalutate. Tutti i miti sulle avversità di una "trappola del tasso di cambio" devono essere sradicati. I dollari non sono una risorsa privata di libera disponibilità. Senza controlli sul loro accaparramento e circolazione non c'è modo evitare di problemi.
Invece di tornare al FMI, è necessario indagare sul debito contratto negli ultimi anni e perseguire i responsabili di quell'avventura. Caputo, Dujovne e Sturzzeneger dovrebbero andare a processo. Durante la revisione dello stato attuale dei conti pubblici, dobbiamo interrompere l'emorragia valutaria imposta dal pagamento degli interessi. L'attuale crisi è iniziata con la soggezione ai fondi avvoltoio e non può essere risolta senza aggiustare i conti con i predatori del tesoro nazionale. La gestione dello stato del sistema finanziario è una condizione per emergere dall'attuale situazione delicata.

Solo in questa maniera il costo della crisi cadrà sui suoi autori e non sulla maggioranza popolare. Ciò richiede una battaglia frontale di idee con tutti gli economisti di destra che hanno preso il controllo della televisione. Esaltano l'accordo con il FMI come una nuova giustificazione per il mega-adeguamento e lo presenteranno come una necessità per "adeguarsi al mondo". Anche l’attacco che il partito al governo ha preparato per dopo il 2019 sarà presentato come un atto di responsabilità nei confronti dei creditori.
Ma la fattibilità di quella manovra si è drasticamente ridotta. La scena politica è cambiata e le elezioni sono ora molto lontano dall'attuale urgenza. Macri proverà a colpire con la mazza e la carota. Prepara il diritto di veto per la legge sulle restrizioni tariffarie e cercherà di copiare il modello brasiliano di governo para-istituzionale.
Ma è consapevole della sua debolezza e farà appello ai governatori e al PJ per ottenere nei confronti del FMI la stessa garanzia, che hanno ottenuto per raggiungere un accordo con i fondi avvoltoio. I suoi soci gli hanno già offerto una mano al Congresso rifiutandosi di ripudiare il ritorno al Fondo Monetario Internazionale, approvando una legge per liberalizzare il mercato dei capitali in piena tempesta finanziaria.

L'intensità della mobilitazione definirà chi vince la partita. Nel mezzo di uno smarrimento popolare di fronte al tremito finanziario, questa reazione è attualmente limitata. È in corso la ricomparsa della grande forza che avevamo visto nelle strade nel mese di dicembre. Quella potenza della lotta potrebbe riprendere nelle battaglie contro il tarifazo e il tetto alle paritarie. Ma il rifiuto al FMI occupa adesso il primo posto in qualsiasi richiesta. È urgente fermare la più grande aggressione contro le conquiste popolari degli ultimi anni. Il mega-adeguamento tanto pubblicizzato sta finalmente arrivando. Davanti all'artiglieria preparata dal governo, dal FMI e dai capitalisti, le difese popolari devono essere erette a tutta velocità. Di nuovo, sono loro o noi.

*Fonte articolo: http://vientosur.info/spip.php?article13809
Traduzione a cura di Marta Autore.