Games of Thrones, abdicazioni e processi costituenti

Thu, 05/06/2014 - 11:35
di
Josep Maria Antentas* (da anticapitalistas.org)

Si fa sul serio! La crisi politica, esplosa in questi tre anni di rivolte sociali contro e politiche di austerità e per l’ascesa del processo indipendentista catalano, si è trasformata in una vera crisi di regime. Corona, magistratura e bipartitismo hanno raggiunto livelli di sfiducia senza precedenti. Le recenti elezioni del 25M sono state la prima traslazione elettorale della dinamica di crisi politica generalizzata. Hanno segnato la fine del bipartitismo e l’irruzione di quello che sempre più sembra un incubo politico per il sistema dei partiti dominanti: Podemos.
Il Titanic del regime naviga vista. Varchi d’acqua gli si aprono ad ogni lato e l’orizzonte è un crescendo di scogli ed iceberg. Il capitano ed il suo equipaggio sembra che non abbiano grandi abilità per superare tutti gli ostacoli. Tenteranno in ogni modo una manovra disperata per non affondare ed addrizzare la rotta. Non bisogna sottovalutarli, ancora hanno molti margini di manovra. Seppur senza più molta legittimità ancora hanno il controllo di tutte le leve del potere economico, istituzionale e mediatico. I passeggeri della nave saranno in grado di organizzare una ribellione a bordo per prendere il timone e dirottarla verso altre latitudini? Questa è la scommessa.
L’elogio grottesco dell’opera storica di un Re discreditato e della presunta preparazione e solidità del figlio, non sono altro che biechi tentativi per allontanare lo spettro di un cambiamento reale. La transizione da Juan Carlos I a Felipe non è che un esercizio di “gattopardismo” politico. Un'operazione di maquillage politico per portare un po’ di ossigeno ad un regime malconcio. L'abdicazione del Re, con ogni probabilità, è una operazione più ampia per cercare di ripristinare la legittimità del regime, tramite riforme (costituzionali) inconsistenti che però possono fargli recuperare un po’ di terreno. Salvare l’attuale regime comporta “disattivare” il processo d’indipendenza catalano e mantenere ad ogni costo il bipartitismo del PPOE (PSOE+PPE). Riscattare in particolare il PSOE dal suo disastroso naufragio è di vitale importanza per l’ordine costituito. Se non si risolleverà in breve tempo, l’avanzata di Podemos sarà inarrestabile. Un incubo per quelli lassù in alto, un sogno per tutti noi! Essendo colpiti entrambi i partiti, il fantasma di una grande coalizione è visibile all’orizzonte. Questa però è un'ultima carta che aggraverebbe di molto la crisi, l’ultima spiaggia prima del suo avvitamento autoritario (la cui realizzazione ha molteplici varianti) oppure se avremo noi la meglio, la vittoria di una maggioranza politica democratica e contraria all’austerità. Nasce da qui la necessità del Re di dover “fare una mossa” verso il centro della scachciera per cercare di ritrovare la legittimità smarrita.
Per questo serve nell’immediato una risposta sociale tanto rapida quanto unitaria, tanto audace quanto concreta. Non ci si può fermare solo alla richiesta di un referendum sulla monarchia o la repubblica. Non è solo la forma statale ad essere messa in discussione, è tutto un sistema politico e sociale che deve cambiare. Per questo l’apertura di una dinamica costituente deve essere la proposta di base immediata ed unitaria. Se c’è una questione chiave è proprio l’intreccio delle aspirazioni democratiche del popolo spagnolo con quelle dei popoli catalani, baschi e galiziani. Dobbiamo evitare un doppio errore simmetrico che ci sarebbe fatale. Da un lato vedere il processo costituente solo “dal centro” della Spagna, alimentando la richiesta di una “Repubblica Spagnola”. Questo non offre una risposta soddisfacente al processo d’indipendenza catalano e non ci permette di sfruttare tutte le crepe che si sono aperte per fare scacco matto alla "seconda restaurazione borbonica” ed al suo ultimo tentativo di sopravvivenza. Dall’altro lato, Il rovescio di questa prospettiva consiste nel disinteressarsi da parte degli indipendentisti catalani della crisi del regime spagnolo e nel limitarsi esclusivamente all’accumulazione di forze solo in Catalogna per l’ottenimento dell’indipendenza (Il 9N ci sarà il referendum per l’indipendenza catalana osteggiato da Madrid). Quest’ultimo scenario non permette di approfittare delle opportunità che la crisi politica generale del regime offre al processo catalano ne utilizzare quest’ultimo per sferrare l’ultimo colpo ai Borbone a alla casta. Oltremodo tale opzione ci spinge verso una logica di unità patriottica in Catalogna senza senso sotto l’egemonia della malconcia CiU (il partito nazionalista conservatore catalano) vedendo evaporizzare i diritti sociali nella promessa che verranno rispettati solo ad indipendenza ottenuta, in un futuro ipotetico ed immaginario. Dobbiamo invece rivendicare molteplici processi costituenti, nazionali ed indipendentisti, coordinati e mutuamente alimentati per aiutarci e rafforzarci reciprocamente con l’obiettivo ben chiaro di raggiungere un nuovo ordine democratico, giusto e solidale.
Fino a qualche tempo fa mai avremmo immaginato di vedere quello che sta passando oggi davanti i nostri occhi. Nel bene e nel male. Mai avremmo immaginato l’impatto brutale della crisi sociale, la violenza degli sgomberi delle case senza sosta e della disoccupazione di massa. Come non potevamo immaginare la crisi dei meccanismi della rappresentazione politica democratica svuotati dall’interno con “l’aspirapolvere” dell’austerità e degli interessi finanziari. Ma neanche avremmo mai potuto prevedere la perdita repentina della legittimità del sistema politico, l’avversità verso le banche da parte dei cittadini, l’immensa presa di coscienza (certo contraddittoria ma reale) collettiva della vera natura del modello politico ed economico dominante.
La crisi politica obbliga, senza timidezze, a pensare strategicamente. Bisogna farlo rapidamente. Il treno delle grandi opportunità politiche non passa due volte. Diceva il filosofo Daniel Bensaid che la politica è “l’arte strategica dell’opportunità e del momento propizio”. L’arte di saper approfittare di quei rari momenti dove il pavimento si apre sotto i piedi della storia mostrando un abisso che può essere tanto oscuro quanto raggiante e splendente. Un terremoto sociale che scuote il sistema politico con una forza sismica inaudita. Questo varco, La crisi politica ed istituzionale, non rimarrà per molto aperto. Presto o tardi si chiuderà in un senso o in un altro. Essere all’altezza delle circostanze che sembrano sorpassarci per velocità e grandezza, è la grande scommessa che abbiamo tutti noi che lottiamo per la giustizia sociale.
Ora bisogna pensar in grande. Pensare a quello che sappiamo fare purtroppo molto male, quello che quasi sempre è stato al di fuori dei nostri obiettivi: vincere. Vincere nel nostro caso significa articolare una maggioranza sociale e politica contraria alle politiche di austerità e favorevole all’apertura di processi costituenti democratici dal basso. Le brecce nella parete dell’edificio della Transizione si stanno allargando. Bisogna mettere il piede per evitare che la porta si richiuda. Con fermezza e coraggio. Non è il momento di essere spettatori passivi di fronte alla crisi politica. Ne di accontentarsi di essere una minoranza senza la possibilità di incidere politicamente. Non mettersi in marcia verso l’(im)possibile sarebbe un errore fatale. Come lo sarebbe fare come sempre, cioè continuare con le accomodanti routine delle differenti organizzazioni e forze politiche per portare ognuno acqua al proprio mulino. Agire oggi timidamente ed accontentarsi di coltivare il proprio orticello sarebbe la scelta più grave.
Mai ci è capitato nel recente passato di dover affrontare tanti pericoli. Mai abbiamo avuto tante opportunità per mettere tutto in discussione. Questa è la contraddizione intrinsecamente lacerante dell’attuale momento politico e del nostro “Scacco al Re” rappresentato dalla crisi della monarchia. Tutto o niente. È una partita molto rischiosa. Entrambi i risultati sono possibili. Arrivando fino all’orlo del precipizio non è chiaro chi cadrà per primo. O noi o loro. O la loro democrazia o la nostra.

*Profesor de sociología de la Universitat Autònoma de Barcelona (UAB), autore di Pianeta indignato (Alegre).
Traduzione di Marco Filippetti