Strage di Brescia: la memoria come anestetico ideologico

Sat, 24/05/2014 - 18:52
di
Collettivo Rebel - Brescia

In questo quarantennale della strage di p.zza Loggia non ci si fa mancare nulla. Incontri, convegni, concerti, manifestazioni, happening, mostre, spettacoli teatrali. Tutto, si dice, all'insegna della verità e della memoria. La verità giudiziaria che potrebbe uscire (quando?) dalle aule dei tribunali non avrà più alcun effetto politico. La verità storica, e cioè quell'intreccio di mandanti ed esecutori tra apparati dello Stato, servizi segreti della Nato e neofascisti, si conosce da anni ma si fa di tutto per dimenticarla.

Cosa resta? Rimane l'ossessione commemorativa, l'uso ideologico di una memoria sterilizzata, le passerelle di politici e sindacalisti e un pò di folklore storiografico sui giornali locali. C'è da scommettere che assisteremo anche alla solita ipocrisia dei commenti preoccupati di fronte ai risultati dell'indagine del Censis rivolta agli studenti. La maggioranza relativa (37%) degli studenti bresciani pensa che la strage sia stata opera della mafia. Il 28% del "terrorismo rosso" e il 26% de "terrorismo nero". In una medesima indagine del Censis nel 2004 gli studenti bresciani risposero che i responsabili della strage furono nell'ordine: il "terrorismo rosso" per il 28%, il "terrorismo nero" per il 26%, la mafia per il 16%. Tra 15 giorni tutto sarà dimenticato e tutto tornerà come prima. Rimarrà solo l'uso strumentale di una memoria ormai istituzionalizzata al servizio di una casta politica e sindacale.

Nel 1974 la possibilità di affermare la verità politica sulla strage è sfumata nel giro di qualche settimana. L'operazione di depotenziare e incanalare istituzionalmente la mobilitazione popolare e la rabbia sociale e di rilegittimare la parte "migliore" della Democrazia Cristiana è stato il "capolavoro" politico del Partito Comunista e delle organizzazioni sindacali. La rappresentazione plastica di tutto ciò si è potuta vedere nell'immagine dei funerali delle vittime delle strage alcuni giorni dopo. Un imponente servizio d'ordine "sindacale" che nega l'accesso in p.zza della Loggia, dove si svolgono i funerali, a migliaia di giovani delle organizzazioni e associazioni della sinistra radicale, garantendolo invece alla delegazione della Democrazia Cristiana. Un piccolo episodio certo, ma di grande valenza simbolica che anticipò la strategia dei giorni successivi: disinnescare un movimento popolare che poteva travalicare gli assetti politici e istituzionali. La giustizia e la verità furono sconfitte in quei giorni impedendo che le mobilitazioni si trasformassero in ipotesi concrete di cambiamento. L'antifascismo venne confinato tra una pratica nostalgica e un'imbalsamazione politica.

Non è un caso che in questi quarant'anni dalla strage il tema meno discusso e analizzato ma allo stesso tempo il più "mitizzato", sia stato ciò che è accaduto nei quindici giorni dopo la strage. Si arrivò a parlare di autorganizzazione sociale e qualcuno addirittura di '68 bresciano. Nel migliore dei casi si scambiarono i desideri con la realtà. Quel che avvenne negli anni successivi, dalla mancata costituzione di parte civile del Comune di Brescia fin dal primo processo agli incredibili silenzi del Ministro dell'Interno, Napolitano, alla richiesta di apertura degli archivi dei servizi segreti, durante il primo governo Prodi a metà degli anni 90, si possono interpretare come un contorno, un corollario.

Dire che le verità storiche e la verità processuali non coincidono mai si corre il rischio di affermare una banalità. La memoria si declina sempre al presente. Questa è un tipo di memoria che non è trasmissibile con i racconti, con le udienze giudiziarie, con gli spettacoli retorici. Si può ricostruire e alimentare solo avendo la capacità di essere all'altezza delle mobilitazioni e delle riflessioni di oggi. E' la capacità di guardare alla storia con gli occhiali della contemporaneità. Proprio quello che manca.