Semplicemente…facciamo politica

Tue, 20/01/2015 - 13:01
di
Luciano Governali (da il manifesto)

Il distacco dei gio­vani dalla sini­stra e dalla poli­tica attiva (ma è pro­prio così?) è ormai con­si­de­rato un ele­mento dato, anche nei più sti­mo­lanti dibat­titi a sinistra.

Ritengo che sia diven­tato ormai fin troppo facile attri­buire alle tra­sfor­ma­zioni neo­li­be­ri­ste dell’organizzazione del lavoro le cause dell’atomizzazione e della spo­li­ti­ciz­za­zione, come se il sistema eco­no­mico in cui viviamo non fosse frutto di scelte poli­ti­che, e come se que­ste scelte le abbia fatte sem­pre un ceto poli­tico rispetto al quale la sini­stra ha dimo­strato una netta alte­rità.
Così invece non è stato, non c’è stata alcuna alte­rità, la sostanza dell’operato poli­tico da trent’anni è iden­tica a se stessa a pre­scin­dere da chi governi, e con le tappe di costru­zione di que­sto stato di cose la sini­stra (par­liamo di quella ita­liana ma la pano­ra­mica sarebbe glo­bale) ci si è spor­cata le mani, tanto.

Giu­di­care gli orien­ta­menti poli­tici (o l’assenza di essi) dei gio­vani senza que­sto ele­mento è l’ennesimo insulto che si può rivol­gere a que­sta generazione.

Guar­dare poi al distacco fra gio­vani gene­ra­zioni e la rap­pre­sen­tanza politico-elettorale che larga parte della sini­stra vuole con­ti­nuare a incar­nare, esclu­si­va­mente dal punto di vista dell’urna, signi­fica rove­sciare un ordine degli addendi che in poli­tica non si può cam­biare: quello che si esprime nell’urna elet­to­rale è espres­sione di cosa si muove nella società (una volta si par­lava di “rap­porti di forza” e di “classe”), non il con­tra­rio; ridurre que­sto ele­mento, per me banale, a “movi­men­ti­smo”, signi­fica igno­rare il pro­blema della costru­zione di un’egemonia cul­tu­rale alter­na­tiva al potere e alle nar­ra­zioni domi­nanti di cui la sini­stra che vuole essere rap­pre­sen­tanza ignora i codici, e non com­prende nean­che la neces­sità di trovarli.

Da ormai troppo tempo, le prin­ci­pali forze della sini­stra orga­niz­zata hanno pen­sato che la pro­pria effi­ca­cia poli­tica si misu­rasse solo con la rap­pre­sen­tanza poli­tica e l’operato den­tro le isti­tu­zioni, igno­rando siste­ma­ti­ca­mente quell’opera di poli­ti­ciz­za­zione, raf­for­za­mento delle coscienze col­let­tive, costru­zione di soli­da­rietà e legami sociali con­tro le mol­te­plici forme di sfrut­ta­mento, oppres­sione, discri­mi­na­zione e disu­gua­glianza che il capi­ta­li­smo neo­li­be­ri­sta è in grado di spi­grio­nare (tra l’altro sca­val­cando come mai nella sto­ria recente il ruolo delle isti­tu­zioni “democratiche”).

Scen­dendo nel merito di que­sto ope­rato den­tro le isti­tu­zioni il qua­dro peggiora.

Senza fare l’elenco delle nefan­dezze dei vari governi Amato, Dini, D’Alema, Prodi uno e due, Monti e adesso Renzi, si può dire che la sini­stra al governo non ha mai rap­pre­sen­tato discon­ti­nuità e alte­rità rispetto alla peg­giore destra della sto­ria repub­bli­cana (né con il pre­ce­dente domi­nio social-democristiano).

Data una simile omo­ge­neità di poli­ti­che, chi stu­dierà da sto­rico fra qual­che decen­nio que­sto periodo della vita poli­tica ita­liana tro­verà inspie­ga­bile l’assenza di forze poli­ti­che coe­ren­te­mente e costan­te­mente all’opposizione, come invece per decenni sono esi­stite.
Da trent’anni non esi­ste rap­pre­sen­tanza poli­tica che non abbia deciso di misu­rarsi al governo, di gio­carsi le sue carte nel gover­nare la più cru­dele (e ingo­ver­na­bile) forma di capi­ta­li­smo degli ultimi cento anni.

La sini­stra poli­tica che ha fatto que­sta scelta (e quella che ha rin­corso chi la faceva) è “sem­pli­ce­mente” pas­sata dall’altra parte, per­ché gover­nare, e durare nel farlo, ai tempi del capi­ta­li­smo neo­li­be­ri­sta signi­fica aggre­dire con arro­ganza diritti e tutele, sca­te­nare vere e pro­prie guerre a que­sto o quel set­tore lavo­ra­tivo, signi­fica pri­va­tiz­zare tutto, affer­mare l’assolutezza delle regole di mer­cato e sgre­to­lare l’idea stessa di inte­resse collettivo.

La crisi eco­no­mica ha dimo­strato tutta la incon­si­stenza e la sostanza ideo­lo­gica dell’immaginario costruito per i gio­vani negli ultimi decenni con le parole d’ordine della fles­si­bi­lità, dell’età della cono­scenza, della for­ma­zione con­ti­nua. Nel peg­giore dei casi la sini­stra ha rin­corso e ali­men­tato tale nar­ra­zione, nel migliore non è stata in grado di con­trap­porne uno nuovo.

Non basta dire che il movi­mento ope­raio non c’è più, troppo facile ricon­durre que­sto con­cetto all’assenza di lotte del mondo del lavoro, troppo super­fi­ciale affer­mare una pre­sunta fine delle classi. Quello che non esi­ste, o almeno non nelle forme della poli­tica orga­niz­zata tra­di­zio­nale, è un fare poli­tica utile, che costrui­sca con­senso intorno a sé, che non abbia la pre­tesa di emer­gere a tre mesi della tor­nata elet­to­rale di turno per­ce­pita infatti (e come potrebbe essere altri­menti?) come inu­tile o rituale.

Ridare un’efficacia con­creta al “fare poli­tica”, scin­dere que­sto vir­go­let­tato dal momento elet­to­rale e inten­derla come azione nel sociale, come atti­vità costante e siste­mica rivolta al cam­bia­mento… uno spor­carsi le mani in ver­tenze, pic­cole lotte, pro­cessi di autor­ga­niz­za­zione, atti­va­zione capil­lare di reti di soli­da­rietà, pra­ti­che quo­ti­diane di mutua­li­smo: tutto que­sto non darà un risul­tato elet­to­rale a nes­suno, ma è neces­sa­rio a rico­struire un’idea della poli­tica che in realtà non è mai morta.

Il tes­suto sociale di que­sta gene­ra­zione è tutt’altro che sta­gnante: i cupi anni novanta sono stati seguiti da quel trien­nio di par­te­ci­pa­zione poli­tica unico nel suo genere, quello dei social forum e di Genova, delle cam­pa­gne in difesa dell’articolo 18 e con­tro le guerre U.S.A. che tanto atti­vi­smo e imma­gi­na­rio hanno pro­dotto; que­gli stu­denti impo­ve­riti e spo­li­ti­ciz­zati che ci si scan­da­lizza votino grillo o si asten­gono, dal 2005 al 2010 hanno pro­dotto le uni­che vere fiam­mate di oppo­si­zione sociale dell’epoca ber­lu­sco­niana; pro­cessi di atti­vi­smo e autor­ga­niz­za­zione ine­diti hanno otte­nuto la prima vit­to­ria refe­ren­da­ria dai con­te­nuti for­te­mente anti-neoliberisti degli ultimi quarant’anni; espe­rienze di riap­pro­pria­zione, auto­ge­stione e atti­vi­smo di ogni tipo con­ti­nuano a ripro­dursi e a pro­durre, con tutti i loro limiti, imma­gi­nari e tes­suti rela­zio­nali che in Europa hanno pochi paragoni.

“Io fac­cio poli­tica”… sle­ghiamo que­sta dichia­ra­zione dall’idea di rap­pre­sen­tanza, ridia­mo­gli un senso che si misuri sull’utilità sociale e sulla voglia di un mondo più giu­sto… met­tia­moci a fare politica.