Le trivelle restano... ma il governo non è più imbattibile

Mon, 18/04/2016 - 13:30
di
Thomas Müntzer

Il dato principale con cui viene presentato da Matteo Renzi l'esito del referendum “sulle trivelle” sembra essere la tenuta del governo, che in effetti riesce a passare indenne attraverso il risultato della consultazione referendaria. Il mancato raggiungimento del quorum – con una partecipazione al voto non troppo elevata – permette a Renzi e ai ministri del suo governo di presentare il risultato come una vittoria contro la "demagogia” e la campagna di “odio” nei loro confronti. In questo modo cercano di legittimare il loro operato di governo e di aprire una nuova fase di resa dei conti interna al Partito Democratico.

Ma, prima di provare analizzare il segno politico che lascia questo referendum, guardiamo meglio ai dati della partecipazione al voto, concentrandoci sui numeri assoluti.
Ieri hanno votato circa 15 milioni di elettori, dei quali 12,8 milioni hanno espresso il loro consenso al quesito referendario votando SÌ (contro 2 milioni di NO).
Alle ultime elezioni europee – quelle che il presidente del consiglio considera fonte della sua legittimità a governare e successo personale in quanto segretario del Pd e Presidente del Consiglio in carica – votarono circa 29 milioni di elettori, dei quali 11 milioni per il Pd, 2 milioni di schede bianche e nulle, e circa 16 milioni per tutti gli altri partiti e liste presenti sulla scheda.
In pratica, nonostante gli strani calcoli di auto-legittimazione del Presidente del Consiglio, i SÌ al referendum raccolgono 2 milioni di voti in più di quanto abbia raccolto il Pd alle ultime elezioni svolte a livello nazionale.
Un dato che evidentemente interessa poco a Renzi, ma che dovrebbe ridimensionare le grida di vittoria e la tronfia sicurezza di sé che, come al solito, esprime l'arrogante Presidente del Consiglio (stavolta però più nervoso del solito nella sua conferenza stampa).
Del resto al referendum per la difesa dell'acqua pubblica votarono 27,6 milioni di elettori, dei quali oltre 26 milioni votarono SÌ, ma nemmeno questi numeri sembrano interessare molto il Governo che con il testo unico Madia sui servizi "pubblici" ne annulla di fatto il risultato.

In ogni caso, tenendo conto di questi dati, si impongono due considerazioni.
Come dicevamo, il governo riesce a passare indenne questo referendum in un momento difficile, momento che però rimane tale. Negli ultimi mesi si susseguono inchieste giudiziarie e giornalistiche che mettono in dubbio la “specchiata onestà” di ministri e sottosegretari e, soprattutto, rivelano la natura di classe e di “comitato di affari” del governo stesso. Cresce la consapevolezza di quanto questo governo soddisfi principalmente le diverse lobby e i potentati, e non solamente amici e famigliari, come d'altra parte era evidente fin dall'inizio del mandato di governo, con la presenza all'interno dello stesso di personaggi quali Guidi (Confindustria), Poletti (Lega delle cooperative), Lupi (Compagnia delle Opere) e così via. Il governo degli affari e dei potenti, che utilizza a piene mani la demagogia populista e la propaganda fiscale per far passare le peggiori controriforme mai riuscite nemmeno a Silvio Berlusconi e alla destra (il Jobs Act è l'esempio principale di questa politica).
Questa diffusa consapevolezza non diventa però ancora protesta né tantomeno mobilitazione di massa contro i singoli provvedimenti o l'insieme della politica del governo, che riesce quindi a navigare – e che ora dovrà riuscire a dribblare i prossimi scogli: le elezioni amministrative e il referendum costituzionale di ottobre.
Nel primo caso di fronte alla debolezza del Pd e del centrosinistra nelle varie città (dove Renzi è riuscito a mettere suoi fedeli, scontando rotture o mal di pancia alla sua “sinistra”) non sembrano emergere avversari particolarmente attraenti, né a destra né del Movimento 5 stelle. Eppure Renzi difficilmente ne uscirà indenne e in città come Roma e Napoli qualche problema per il Pd potrebbe emergere in modo scottante.
La partita più importante per Renzi e il suo Governo sarà certamente il referendum costituzionale - dove per una volta non ci sarà quorum - in cui potrebbe davvero affondare andando a testa bassa verso uno scoglio fatale. Riuscirà il geniale Presidente del Consiglio a convincere l'elettorato con qualche altro bonus di 80 euro o con la “festa di addio all'IMU” che Renzi programma per il 16 giugno (tre giorni prima del ballottaggio per le amministrative)?

Dal punto di vista degli organizzatori del referendum di domenica e dell'insieme del movimento ambientalista resta il fatto che la proposta sulle trivelle non riesce a sfondare – e non solo per le difficoltà tecniche del quesito referendario o per la vergognosa campagna di boicottaggio e irrisione del referendum (“inutile, una bufala, uno spreco di denaro pubblico”, e così via...).
A differenza del referendum per la difesa del carattere pubblico della gestione dell'acqua, questa volta non si è assistito ad una mobilitazione diffusa e capillare, a partire dal fatto che non era nato dal basso con una raccolta firme ma dai Presidenti di alcune regioni. Mancata mobilitazione capillare che si spiega in parte per la relativa debolezza dei comitati NoTriv, troppo locali e senza una spinta generale, ma anche con la scarsa credibilità dei rappresentanti delle regioni che hanno promosso il referendum. Il quesito inoltre non è stato in grado (e forse non poteva farlo) di toccare la materialità degli interessi sociali – come invece era successo con i quesiti sull'acqua.
I tempi stretti della campagna elettorale (imposti dal governo) e lo stato non particolarmente felice del movimento ambientalista (e degli altri movimenti sociali) non hanno permesso che si sviluppasse una campagna forte sui temi dell'approvvigionamento energetico, della salute e della salvaguardia ambientale – con proposte alternative forti, credibili e semplici da comunicare all'insieme dell'elettorato.
In questo senso ha funzionato meglio la demagogia del presidente del consiglio sulla difesa dei lavoratori e del “sistema paese”. Su un tema così importante e allo stesso tempo complesso è necessaria una campagna diffusa e coordinata, capace di parlare anche agli interessi materiali di chi vive sul territorio e di chi consuma energia.

Questo risultato ci deve anche far riflettere sullo strumento referendario, che può in alcuni casi rappresentare una leva capace di modificare i rapporti di forza politici, quando è il risultato di una mobilitazione o comunque coglie un'opinione diffusa e “forte”. Al contrario, non può sostituirsi a questa consapevolezza e/o mobilitazione. Del resto, come abbiamo visto per l'acqua, si deve anche essere ben consapevoli della necessità di consolidare le conquiste referendarie con mobilitazioni permanenti in grado di mettere in crisi governi che sanno come invalidare le espressioni di democrazia del paese.
In questo senso, di fronte alle prossime campagne per referendum “sociali”, bisogna aver chiaro che non possono rappresentare una scorciatoia per l'assenza di mobilitazioni, ma che sono utili solo se diventano uno strumento per costruire mobilitazioni, per lavorare sul territorio affinché chiunque possa capire quali siano i reali interessi in gioco e come l'opposizione al governo non sia affatto una campagna di odio, quanto una difesa dei nostri interessi e di quelli di tutti i lavoratori, precari e in via di precarizzazione, e del territorio minacciato da grandi opere e politiche di sfruttamento.
Un impegno che richiede ben più che la semplice raccolta firme per altri referendum.