Come combattere il jihadismo? La sinistra radicale dopo gli attacchi di Bruxelles

Fri, 08/04/2016 - 17:46
di
Pierre Rousset*

Da gennaio 2015, gli attacchi "jihadisti" hanno raggiunto in Europa un livello e una dinamica senza precedenti. Tuttavia, gran parte della blogosfera anglofona radicale non sembra volersi rendere conto della situazione. In Francia invece manca una riflessione profonda sulle implicazioni di questa nuova situazione: come affrontarla?
I mortali attacchi "jihadisti" si verificano in Africa, in Medio Oriente e nel Maghreb, in Asia come in Europa o in Nord America; devono essere analizzati nella loro dimensione internazionale, così come nella loro realtà regionale o nazionale.
Qui tratteremo solamente il contesto europeo dal 2015 (gli attacchi nella regione parigina contro Chalie Hebdo e Hyper-Casher) partendo da due questioni: le reazioni della blogosfera anglofona e la sinistra radicale francese.

Dopo la tempesta, il silenzio nella blogosfera anglofona?

Dopo l'attacco a Charlie Hebdo la blogosfera anglofona si era infiammata: migliaia di messaggi, centinaia di articoli lapidari, affondi furiosi, polemiche revansciste... Tuttavia, di fronte ai successivi attentati in Danimarca (in febbraio) è calato il silenzio, così come davanti ai massacri di Parigi a fine novembre o a Bruxelles questo mese di marzo. Strano, dite che è strano?
Certamente alcune organizzazioni come ISO negli Stati Uniti hanno pubblicato significativi articoli e testimonianze sui recenti massacri (1) e siti progressisti – come OpenDemocracy – hanno coperto gli eventi in maniera costante. Invece altre organizzazioni, che pure sono molto legate alle vicende mediorientali, sembrano non sentirsi particolarmente coinvolte.
La blogosfera è rimasta indifferente, come se non sentisse alcuna sfida che la stimolasse. La grande questione che la agitava nel mese di gennaio 2015, non riguardava l'analisi della politica terroristica dello Stato Islamico, quanto la colpevolezza delle vittime: Charlie Hebdo accusato di islamofobia, i francesi o la sinistra francese – il cui razzismo, come già sappiamo, è ben conosciuto da chiunque.

E' possibile ora, dopo i recenti massacri, riconoscere che questo "punto di vista” era limitato, identitario, un semplice guardarsi l'ombelico? Charlie Hebdo non era affatto "responsabile" degli attacchi del mese di gennaio 2015, era solamente un obiettivo utile; gli attentati ci sarebbero stati anche se questo giornale non fosse esistito – come altri si sono avuti in precedenza e anche successivamente. Per una parte della sinistra radicale Charlie Hebdo era l'albero che permetteva di nascondere la foresta jihadista.
Non è una razionalizzazione a posteriori, era evidente anche in quel momento. L'articolo di analisi che abbiamo scritto allora, François Sabado ed io (2), nominava appena Charlie Hebdo, perché non “spiegava” nulla e comunque la si pensi sul suo orientamento editoriale e la sua storia, il problema di fondo non era la rivista.

Una parte della sinistra radicale ha voluto credere che lo Stato Islamico (o altri movimenti jihadisti) attaccasse solamente "simboli comprensibili", come Charlie, gli ebrei (considerati come l'incarnazione dello stato di Israele) o le chiese (i crociati occidentali). Si trattava di una lettura compiacente, ma anche del tutto illusoria riguardo gli obiettivi di Daesh - rimando ancora all'articolo scritto con Sabado nel novembre scorso. La popolazione in senso indiscriminato (nemmeno europea, in un aeroporto internazionale) è un "obiettivo legittimo" (2) ai loro occhi. L'orientamento di Daesh è decisamente quello di uccidere, ferire, traumatizzare il maggior numero di persone per alimentare le tensioni nella popolazione.

In Europa, da allora viviamo sotto la minaccia costante di massicci attacchi terroristici, come già avviene in altre regioni del mondo. Sicuramente dobbiamo capire le ragioni profonde che hanno radice in quella regione (guerre senza fine, l'ordine neoliberista, regimi dittatoriali...) e qui da noi (precarietà della vita, dittatura dei "mercati", discriminazioni...), ma vanno tenute in conto anche le conseguenze. Come impedire la dichiarazione dello stato d'eccezione come in Francia quando si verificano gli attacchi? Come ottenere l'accoglienza dei rifugiati una volta che si è diffusa la paura del "siriano falso, vero terrorista"? Come respingere l'estrema destra quando un'estrema destra islamista le serve come alibi (e viceversa)?

La politica dello “Stato Islamico” e i suoi “obiettivi militari” hanno sempre più peso nell'evoluzione della situazione europea – peggiorandola. Se non vogliamo rimanere ostaggi delle risposte securitarie, militari e liberticide dei nostri governanti, abbiamo bisogno di sviluppare un altro modo per combattere il jihadismo, e in pratica e non solo verbalmente.

Prese di posizione francesi

Nel sito europe-solidaire.org abbiamo pubblicato numerosi comunicati e dichiarazioni dopo gli attacchi di Bruxelles (3). Cominciamo però con un lamento belga:

“Perché i musulmani non scendono in piazza in massa per condannare gli attentati?
Perché stiamo guidando i taxi che portano le persone a casa gratuitamente da ieri...
Perché stiamo curando i feriti in ospedale...
Perché guidiamo le ambulanze come razzi sulle strade per cercare di salvare ciò che resta della vita tra noi...
Perché siamo alle reception degli alberghi che accolgono gratuitamente curiosi da ieri...
Perché guidiamo autobus, treni e metropolitane affinché la vita continui, anche se ferita...
Perché siamo alla ricerca dei criminali sotto le nostre uniformi della polizia, di investigatori, di magistrati...
Perché piangiamo anche i nostri scomparsi...
Perché non siamo più protetti...
Perché siamo feriti due, tre volte...
Perché la stessa fede ha generato il carnefice e la vittima...
Perché siamo intontiti, persi, e stiamo cercando di capire...
Perché abbiamo trascorso la notte in attesa dietro una porta aspettando di sentire i passi di qualcuno che non tornerà...
Perché contiamo i nostri morti...
Perché piangiamo....
E rimane solo il silenzio... "

(Ismael Saidi, belga-marocchino, autore della piece "Djihad")

Ritorniamo in Francia. In generale, sindacati, movimenti e partiti condannano chiaramente i massacri, i loro autori e i provvedimenti liberticidi o discriminatori che i governi prendono a titolo di risposta. Alcuni non hanno pubblicato nulla in quei giorni (Solidaires...), altri si nascondono dietro un atteggiamento difensivo lapidario. La ciliegina sulla torta la mette Alternative Libertaire che si accontenta di pubblicare sul proprio sito un comunicato di Al Bruxelles affermando che continuerà la sua lotta. Un po' poco, viste le circostanze!

Altri partiti, come l'NPA, condannano inequivocabilmente gli "attentatii ignobili", dichiararano la loro solidarietà con le vittime, denunciano gli obiettivi dei terroristi ("creare un meccanismo irreversibile di terrore e violenza seminando odio e paura"); ma dopo questo primo paragrafo, i sei seguenti sono indirizzati contro la politica del nostro governo, sia internamente che in Medio Oriente, e contro "i servitori di banche e multinazionali che dirigono il mondo". La nostra unica azione possibile è quella di chiedere ai nostri governanti un radicale cambiamento di rotta?

Per quanto riguarda Ensemble (membro del Fronte de gauche) rimane sul generico: "Abbiamo bisogno di dotarci di tutti i mezzi necessari per garantire la sicurezza pubblica e prevenire ulteriori attacchi, ma questo significa fornire tutti i mezzi necessari per servizi pubblici, una lotta implacabile contro le disuguaglianze e le discriminazioni, e contro il rifiuto dei migranti o la dichiarazione di uno stato d'eccezione permanente che ha portato alla stigmatizzazione dei musulmani e la criminalizzazione dei movimenti sociali".

Infine, il Parti de Gauche concentra la sua dichiarazione esclusivamente sulla Siria, ribadendo la sua linea "pro Putin": "Il sostegno militare ai paesi e alle forze che oggi combattono contro lo Stato islamico deve essere guidato da una coalizione internazionale sotto il comando ONU. Perché è in questa regione del mondo e nel rispetto del diritto internazionale, dove si deve eliminare la minaccia dello Stato islamico".

Ovviamente si tratta di comunicati scritti a caldo. Abbiamo dovuto aspettare la pubblicazione di articoli più articolati per sviluppare meglio gli elementi di discussione. Così, la dichiarazione della LCR-SAP belga viene completata dall'analisi di Daniel Tanuro (che è uno dei suoi dirigenti).

Segnaliamo solamente che oggi la condanna politica dello Stato Islamico (e non solo dei loro metodi assassini) è più generale e più profonda che in passato; ma la questione del "come combattere il jihadismo" è sfuggente o troppo generica.

Tra un orribile presente e un incerto futuro migliore, come lottare?

In larga misura, le lotte in cui siamo impegnati sono già parte della soluzione. Attaccano le radici sociali della crisi democratica, cercando di ricostruire un'alternativa solidale (veramente di sinistra) che permetta di rompere la falsa scelta tra la mortale egemonia neoliberale e le ideologie dell'odio, ponga la questione della pace e della sicurezza dal punto di vista dei popoli e non dei poteri, etc. Tuttavia, oltre ai rapporti di forza, non usciamo dalle altre difficoltà reali quali:

La credibilità in questo presente detestabile: il "popolo" non è oggi in condizione di espellere l'estrema destra (religiosa o non religiosa) in particolare jihadista dal suo seno con un forte rifiuto sociale e mobilitazione collettiva. La polizia, i servizi militari e di intelligence sembrano in questo momento come un bene o male necessario. Ricordiamo il grido uscito dal profondo di una vittima colpita dalle esplosioni all'aeroporto di Bruxelles: "Dove sono quei cazzo di soldati!". Non dobbiamo accontentarci delle parole, ma di attaccare dove la strumentalizzazione della paura da parte dei nostri governanti può essere dimostrata.

La mancanza di credibilità in un futuro migliore: evidentemente è importante dare un orizzonte alle nostre resistenze, un nome alla nostra alternativa, ma nessuno crede (prima di tutti noi stessi) che stiamo andando a grandi falcate verso la loro prossima realizzazione.

Come lottare meglio contro il jihadismo?

Evidentemente, non pretendo di offrire una risposta chiavi in ​mano! In ogni caso mi pare che ci sia materia per discutere a partire da due considerazioni:

* iil jihadismo – così come la nebulosa di correnti politiche e religiose che gli sono ideologicamente vicine - non è un prodotto solamente importato, un'ombra proiettata dalla crisi siro-irachena, ma anche una realtà endogena. Per questo deve essere combattuto anche qui, non solo là;;

* questa lotta qua e là devono portala avanti le forze progressiste nei loro contesti, in accordo con le resistenze all'imperialismo e alle dittature. Questo riguarda noi. Non è sufficiente combattere indirettamente contro il jihadismo o un altro movimento fondamentalista (ad esempio, denunciando il nostro imperialismo). Dobbiamo combatterlo direttamente, perché da questo momento è parte della nostra realtà.

Cercherò di spiegare cosa significa, a mio parere

Tous ensemble

Abbiamo a nostra disposizione un vantaggio enorme, soprattutto in Francia, la brutalità e l'universalità degli attacchi neoliberisti: ordine securitario, la distruzione della legislazione sul lavoro, etc. Questo costituisce una base oggettiva profonda per la resistenza tutte/i insieme.
Intendiamoci bene, il "tutte/i insieme" può soffocare le esigenze specifiche delle persone maggiormente sfruttate o discriminate, delle persone "senza voce" e "senza potere". Dobbiamo essere preparati a questo rischio, ma dobbiamo anche saper valorizzare il "tutte/i insieme" - sia nella lotta che nella vita di tutti i giorni. Come si legge in una nota dell'Unione degli ebrei progressisti del Belgio, "Noi non vorremmo che d'ora in poi, gli abitanti ripieghino, si guardino con ostilità e diffidenza l'uno nell'altro. Gli attentati hanno ucciso indiscriminatamente. Ora più che mai, dobbiamo fare politiche che inventino dispositivi di incontro, di dialogo, di meticciato, che mettano l'accento sulla conoscenza delle storie individuali che compongono la nostra avventura urbana per fare un gesto collettivo."

"Tutte/i insieme" ci impone di militare tenendo conto di tutte le esigenze delle/dei reali lavoratrici e lavoratori salariate/i (che comprendono, in gran numero, il "precariato") o gli abitanti dei quartieri popolari, anche se questo è fuori della nostra routine politica o sindacale. Non è sufficiente, per esempio, lottare contro la violenza della polizia nei quartieri: dobbiamo prendere in considerazione anche la violenza quotidiana delle bande.
Tutte/i insieme ci impone di difendere tutte le vittime. A volte abbiamo la tendenza a gerarchizzare la solidarietà che, in pratica, significa abbandonare al proprio destino alcune vittime "non prioritarie" o aggredite da "oppressi oppressori". Per essere più precisi, dobbiamo difendere l'ebreo minacciato di morte e non solo il musulmano contro l'islamofobia. Dobbiamo anche difendere le donne "arabo-musulmani" che rifiutano di indossare il velo che vogliono imporre loro i conservatori islamisti e non solamente la donna con il velo picchiata, insultata, umiliata dal razzista "di casa nostra." Dobbiamo combattere l'omofobia, ovunque essa si produca.

"Tutte/i insieme" richiede di combattere contro tutti i razzismi, ogni xenofobia, contro l'odio verso l'altro. I razzismi hanno storie e matrici diverse che devono essere prese in considerazione, ma non esiste razzismo indolore. Il razzismo e la xenofobia sono veleni mortali che, in ultima analisi, rendono impossibile una lotta comune e servono alla grande al regime al potere che sopravvive solo grazie alle nostre divisioni.
Tutte/i insieme non solo richiede il riconoscimento dell'altro, la valorizzazione delle diversità, ma anche lotte comuni per i diritti comuni: una vita non precaria, l'istruzione e la cultura, l'occupazione, la sicurezza, la salute...

Una battaglia ideologica

Non esiste alcun profilo tipico delle persone che in Europa si arruolano nello Stato Islamico: origini sociali, geografiche e religiose (e non religiose) variano, riflettendo una crisi globale. Chiaramente, quello dei "nostri" jihadisti è più specifico. Spesso, hanno partecipato a bande, hanno conosciuto la prigione, hanno avuto parenti impegnati in operazioni armate e hanno connessioni che consentono loro di agire in questo campo.
Senza per questo sottovalutare il fattore ideologico nei processi di radicalizzazione dell'Islam o dell'islamizzazione della radicalità (l'uso della parola "radicale" mi sembra molto poco appropriato!). Ad esempio, le correnti salafite non portano necessariamente al jihadismo (4), ma non smettono di essere ultra-reazionarie. In generale, assistiamo ad un aumento delle correnti conservatrici (che non sono specifici solo per i musulmani). Tutto questo ha creato un terreno di coltura ideologica dove il fondamentalismo (e l'integralismo) politico prospera.

Combattiamo l'integralismo cattolico e protestante evangelico (di estrema destra) affermando diritti: l'interruzione volontaria della gravidanza, il matrimonio per tutti, l'educazione scientifica (contro il creazionismo) e la parità di genere... In questo senso dobbiamo combattere anche contro il fondamentalismo islamico (anch'esso di estrema destra).
Vista l'importanza della subordinazione delle donne per il pensiero conservatore (e nel jihadismo in particolare), la difesa dei loro diritti (come di quelli delle persone omosessuali) è ovviamente per noi un terreno decisivo di scontro.
In generale, l'estrema destra è all'offensiva in Europa, mostrando differenti facce identitarie. Sono la vecchia e la nuova estrema destra, molto “nostre”, più o meno fasciste, in grado di arrivare al potere governativo in diversi paesi europei, o che già influenzano i poteri costituiti. Un pericolo maggiore!
Non per questo dobbiamo ignorare le conseguenze di un aumento dell'estrema destra con riferimenti islamisti. In realtà, si radicano in aree popolari in cui un partito come il Fronte Nazionale (per parlare della Francia) non può penetrare. In questo senso, sono complementari tra loro e costituiscono un ostacolo insormontabile per qualsiasi progetto di emancipazione, solidale e davvero di sinistra.

Non dobbiamo sacrificare i loro diritti (la loro vita) alla nostra sicurezza

Abbiamo sempre denunciato instancabilmente l'utilizzo da parte dei nostri governanti della paura per giustificare l'imposizione di misure liberticide qui da noi e una politica di guerra da loro. Abbiamo però un problema: alcune posizioni di sinistra danno prova di un cinismo molto poco solidale. Due esempi.

Rafforzare il salafismo?

In un forum di Liberation, il filosofo e sociologo Raphaël Liogier vuole mettere insieme la (nostra) libertà e la (nostra) sicurezza. Per combattere in modo più efficace il jihadismo armato, propone di appoggiarsi alle moschee salafite (invece di considerarle obiettivi come fa il governo). Gli ambienti salafiti minacciati dallo Stato islamico potrebbero così fornire alle autorità "una vera e propria rete di informazioni, nel cuore del mondo musulmano".
"A differenza dei jihadisti, - dice Liogier - i fondamentalisti sono interessati alla vita quotidiana e ai costumi e sono completamente depoliticizzati". Quindi nessun problema? Il nostro docente universitario considera Abou Houdeyfa, imam di Brest, un esempio rappresentativo delle moschee salafite con le quali collaborare. La redazione di Liberation aggiunge che secondo questo stesso Imam “la musica provoca il male”.
Non è un caso che Liogier, per evitare qualsiasi ambiguità, prende Abou Houdeyfa come "punto di appoggio". In realtà, questo Imam ha causato uno scandalo dopo la pubblicazione di un video lo scorso settembre, registrato durante una sua lezione. Spiega di fronte ai bambini che ascoltare musica è vietato e che "coloro a cui piace” sono in pericolo di "essere trasformati in scimmie e maiali" nell'aldilà. Coloro che consumano musica sono sulla strada del diavolo.
Davvero non ci importa che si diano questi insegnamenti ai bambini? La criminalizzazione della musica non rappresenta una violenza sociale di enorme brutalità in tutte le parti del mondo? Come ignorare la ricchezza delle culture musicali dei paesi musulmani? E rispetto alle donne? Liogier riconosce volentieri l'esistenza di un "fondamentalismo estremo rispetto ai costumi, per esempio rispetto alle donne e al velo integrale”, ma che importa, non è che una scelta di vita (5). Fine del proclama.
Liogier pretendere di mettere insieme l'efficacia sicuritaria e la democrazia. Tuttavia, alla fine, esprime una concezione strettamente politica della lotta contro lo Stato islamico, in funzione della quale le lotte di emancipazione di una parte intera della nostra società devono essere sacrificate senza mezzi termini (6). Democrazia per chi? Sicurezza per chi?

Sostenere Putin e al Assad in Siria?

Torniamo alla posizione del Parti de Gauche. In occasione degli attacchi a Bruxelles, ha ribadito la sua posizione di fondo sul conflitto siriano (spiegato più volte da Jean-Luc Mélenchon): sostegno all'intervento russo e al regime di Bashar al Assad (il partito comunista belga è andato anche oltre nel suo allineamento con Mosca). Come accennato in precedenza, ha spiegato nel linguaggio stereotipato dei diplomatici che una coalizione internazionale sotto il comando dell'ONU deve sostenere "i paesi e le forze che lottano oggi contro Daesh sul terreno"; “sul terreno” significa prima di tutto la Russia e l'esercito governativo di Damasco.
Il regime di Assad è in gran parte responsabile della crisi siriana e dei successi in questo paese dello Stato Islamico. Ha torturato, affamato e ucciso un numero di siriani superiore a qualsiasi altro attore di questa guerra senza quartiere, ma certamente non invia comandi kamikaze a insanguinare l'Europa. Così, peggio per le vittime di "là", di una delle dittature più sanguinarie del mondo e dei mortali bombardamenti russi. Il "senso dello Stato" (francese), la difesa del suo prestigio internazionale e la nostra sicurezza, di cittadini di “qui”, agli occhi del PdG vale bene un…. velo di realpolitik.

Qua e là

In ogni prospettiva solidale (internazionalista), il vincolo attivo tra qui e là è essenziale. Tre suggerimenti per rafforzarlo.

1. cooperare in forma più stretta con le associazioni di migranti, in Francia specialmente con l’emigrazione maghrebina. Tra gennaio e novembre 2015, il mese di marzo è stato testimone dell’attentato al Museo del Bardo in Tunisia. C'è stata una risposta collettiva dei movimenti franco-tunisini e collegati alle migrazioni mediterranee (7), ma la sinistra francese si è manifestata solamente in forma sparsa. Ogni attacco da una parte all'altra del Mediterraneo potrebbe essere l’occasione per appelli e mobilitazioni comuni, al di là delle riunioni simboliche.

2. rafforzare la solidarietà con la Siria. Esiste il collettivo Né guerra né stato di guerra, ma si tratta di una coalizione contro la politica dello Stato francese sia internazionale che interna. E’ positivo, ma non sostituisce un movimento di solidarietà specifica. In realtà, questo non è il loro obiettivo. Il gruppo chiede il ritiro delle forze francesi dai teatri di operazioni in cui sono dispiegate, elemento molto importante per noi e che avrebbe implicazioni effettive in una parte dell'Africa, ma molto poche in Iraq-Siria o dove il nostro imperialismo svolge un ruolo minore. Come segnala la stessa coalizione Né guerra né stato di guerra nella dichiarazione rilasciata dopo il 22 marzo, tra gli 11.086 bombardamenti dalla "coalizione occidentale," l'aviazione francese ne ha compiuti “solamente” 680. Il ritiro francese non produrrebbe grandi cambiamenti là, anche se avrebbe avuto un forte impatto qui.
La solidarietà con la Siria non può essere definita solo in relazione al nostro imperialismo o, in termini vaghi, ad una "coalizione occidentale." È necessario considerare gli attori principali nella guerra tra cui la Russia, la Turchia, l'Arabia Saudita, Qatar, Israele ed Egitto, Iran, Hezbollah e... i suoi fronti molteplici, di “guerra dentro la guerra” ... La solidarietà non può agire senza chiedersi chi sostenere e chi no, per quale pace mobilitarsi. Sicuramente la crisi in Medio oriente è complicata! Ma dobbiamo metterci d’accordo su alcuni principi base: difendere allo stesso tempo la resistenza kurda e la resistenza popolare e progressista araba – il che è impossibile con le forze filo-Assad e con quelle che confessionalizzano il conflitto, nemmeno con i pro-russi e con i filo-americani.
Il compito è difficile, ma possiamo accettare che il livello di solidarietà attiva con i popoli di questa regione rimanga così debole?

3. internazionalizzare il ripudio degli attentati terroristici. Bisogna fare in modo che ogni attentato sia ragione di una denuncia internazionale da parte delle forze progressiste; che la solidarietà "da popolo a popolo", indipendente dai governanti, si esprima attraverso “solidarietà incrociate” e appelli comuni. E chiaro che il terrorismo di stato provoca più vittime dei massacri jihadisti, ma uno non giustifica l’altro. La denuncia delle stragi imperialiste è nel DNA della sinistra radicale. Al contrario, al di fuori dei paesi che da molti anni vivono sotto la minaccia fondamentalista come in Pakistan, non è lo stesso per quanto riguarda il jihadismo (8).

Non si tratta di fare del jihadismo "il nemico principale", proponendo di conseguenza l’unità nazionale! Ma nemmeno si tratta di fare del jihadismo un “nemico secondario”, giustificando in questo modo una passività colpevole.

*Fonte articolo: http://www.europe-solidaire.org/spip.php?article37572 Traduzione di Piero Maestri.

note

1 / Vedi in particolare ESSF (articolo 37535), l'attacco di Bruxelles: il nostro dolore e la rabbia sono immense, ma abbiamo bisogno di ragione e la comprensione più che mai.

2 / Ho sentito un militante, con un rigido sorriso sulle labbra, dichiarare che gli attacchi del 13 novembre avevano lo scopo di colpire la "piccola borghesia parigina", dimenticando che gli appassionati di calcio sono stati anche loro un obiettivo (nello Stade de France). Cosa spinge dei militanti a denigrare in questo modo le vittime?

3 / Vedi sulla ESSF (articolo 37500), Déclaration et communiqués après les attentats terroristes de Bruxelles (1), (article 37529), Communiqués après les attentats terroristes de Bruxelles (2), ESSF (article 37540), Communiqués après les attentats terroristes de Bruxelles (3), (article 37539), Communiqués après les attentats de Bruxelles (4) – La gauche radicale en France.

4 / possono esserci conflitti tra i jihadisti e settori salafiti che anticipano una separazione della società francese.

5 / velo integrale che secondo il nostro sociologo sarebbe scelto liberamente, ignorando evidentemente la forza delle pressioni sociali e la differenza tra assenso e libera scelta.

6 / A un altro livello, chiudere amministrativamente gli spazi di culto o sciogliere le associazioni sono misure molto gravi che, tra l’altro, creano una giurisprudenza pericolosa e permettono un’economia di lotta politica contro il fondamentalismo.

7 / ESSF (articolo 34616), Tunisie: Hommage aux victimes In de l'attentat du Bardo, Appel d'Organizzazioni, syndicats et associazioni.

8 / si dovrebbe anche stabilire una relazione tra la questione delle migrazioni forzate e la popolazione di rifugiati.