[Precarietà a tempo indeterminato/3] Quale sindacalismo di classe

Fri, 04/07/2014 - 11:38

Con il governo Renzi la crisi delle politiche concertative entra in una nuova fase, dagli esiti imprevedibili, ma nessuno positivo per il movimento dei lavoratori.
Renzi può giocare la carta “80 euro” con l’obiettivo di costruire consenso intorno a sé con le modalità bonapartiste di chi distribuisce briciole ad alcuni segmenti di lavoro dipendente scavalcando la mediazione dei “corpi intermedi”, leggi burocrazie sindacali.
Tenta la stessa operazione con Confindustria, facendo leva sull’interesse padronale all’elemento velocità -presunta…- di alcune iniziative finalizzate a comprimere la spesa pubblica e a sostenere l’industria italiana nella competizione con i suoi alleati-concorrenti.
Il problema è comprendere quali sono i suoi margini di manovra. Apparentemente sono ridotti,perché la costrizione delle compatibilità europee si può allentare congiunturalmente ma non rimettere in discussione.
Quali le conseguenze per il movimento sindacale nelle sue diverse articolazioni?
La Cgil è il soggetto maggiormente in difficoltà. Scavalcata dal bonapartismo renziano, chiede la ripresa della concertazione sapendo benissimo che i margini per qualche contropartita sono limitati e che il suo stesso “potere di interdizione” viene messo in discussione se Renzi e il suo entourage accelerano in direzione di una nuova fase di politiche neoliberiste.
Cisl e Uil si rendono conto che la “complicità” gli permette di galleggiare, ma le nuove modalità di gestione renziana delle “relazioni sindacali” creano problemi anche a loro. Hanno però l’inserimento clientelare e lo “stomaco complice” per reggere meglio della Cgil.
La Fiom è in grande difficoltà. Ha ritrovato un certo protagonismo congressuale differenziandosi in conclusione dalla gestione Camusso ma non ha molte prospettive. Vuole sfidare Renzi sul terreno della rappresentanza e “andando a vedere” su alcuni tavoli, ma rischia di non raccogliere nulla. La sua crisi di insediamento nell’industria è direttamente proporzionale all’impasse in cui sono finite tutte le più importanti vertenze aperte, e chiuse senza alcun risultato difensivo significativo, compresa l’Electrolux che ha solo rinviato la partita sugli esuberi in cambio di una stretta su ritmi e prestazione lavorativa. La sinistra sindacale di Cremaschi riesce a sopravvivere, probabilmente ha consolidato alcune piccole strutture di militanti sindacali in opposizione alla Camusso e all’opportunismo della gestione Landini della Fiom. Ma da lì non si intravvedono prospettive che abbiano valenza più generale.
Il sindacalismo di base è avvitato dentro la propria autoreferenzialità. Molte esperienze di contributo alle sparse resistenze in atto, tra cui una esperienza significativa che va al di là dei meriti acquisiti sul campo dalle sigle lì presenti (Si Cobas e AdL Cobas del triveneto) è quella dei lavoratori della logistica.
Per il resto Usb, Cub,Confederazione Cobas continuano a resistere nei propri “fortini” con l’Usb che si pone presuntuosamente - e settariamente - come l’alternativa esistente a Cgil Cisl Uil.
Peraltro l’Usb nasconde una propria crisi vera di insediamento e prospettiva dietro le proclamazioni da “sindacato generale”; non solo l’emorragia di strutture in uscita dopo l’ultimo congresso - tra cui Il Sial Cobas di Milano, l’Orma di Brescia, l’Adl di varese e altro - ma la stessa tenuta ed efficacia della propria presenza nel lavoro pubblico è messa in discussione dall’avanzare delle politiche di taglio, spending review e attacco alla rappresentanza concretizzata dagli ultimi governi - pensiamo alla vicenda poco conosciuta della soppressione del Cnel e con essa della “rendita di posizione” che questo istituto garantiva alla direzione Usb.
Più in generale, nel lavoro pubblico pesa in modo determinante il “tappo” costituito dal peso delle burocrazie sindacali, poggiato sulla “stanchezza” e l’invecchiamento di una forza lavoro che teme la rimessa in discussione delle garanzie residue, maledicendo e affidandosi contemporaneamente alla mediazione degli apparati confederali. L’unica via di fuga che pensano per sé i lavoratori pubblici è l’illusione di qualche “finestra” dentro la cornice della controriforma Fornero che permetta ad una quota di pubblici dipendenti di andare in pensione…

Quando si ragiona dello stato del lavoro salariato nel suo rapporto conflittuale con le classi dominanti, si pensa alle conseguenze della frammentarietà e dell’individualizzazione delle risposte determinata dalla precarizzazione generale dei rapporti di lavoro e dalle conseguenze di una crisi - e delle trasformazioni che porta consè - che, al di là degli slogan dei movimenti sociali, in questi anni pesano indiscutibilmente sul lavoro dipendente. Tutto vero ed anche banale. Bisognerebbe ragionare un po’ di più sull’accumulo delle sconfitte e sul ruolo degli apparati nella loro funzione di “tappo” e mediazione perdente per i lavoratori.
Il conflitto che porterà risultati sarà quello che permetterà di iniziare a liberarsi di questa escrescenza parassitaria costituita dalle burocrazie sindacali confederali. Ed ogni tentativo che va in quella direzione deve essere salutato con applausi liberatori…

Qualche riflessione sulle resistenze che si producono in questo contesto.
Sono contraddittorie, nel senso che alcune di queste si scontrano anche con la presenza oppressiva delle burocrazie sindacali. Altre da queste sono cavalcate perché rappresentano anche un veicolo di possibile, nuova sindacalizzazione, che per i gruppi dirigenti di Cgil Cisl Uil significa recuperare lì- per quanto precariamente - consensi perduti in altre categorie.
Tra le prime segnaliamo la logistica - su cui occorre una riflessione ad hoc per la valenza politico-sindacale ricompositiva di un segmento di lavoro salariato composto prevalentemente da migranti; i trasporti, dove l’impatto conflittuaei con le burocrazie sindacali è stato più forte e si eredita una tradizione di rotture del monopolio burocratico della rappresentanza sindacale; la sanità pubblica e privata - che vede anche qui una composizione sociale segnata dalla presenza del lavoro migrante, con alcune grandi vertenze che sono state capaci di costruire anche consenso popolare intorno a sé (San Raffaele di Milano,ma non solo); agroindustria, con le fiammate di rivolta tra strati bracciantili nel Mezzogiorno, e non solo.
A partire da questa ultima “categoria” le cose si fanno più mescolate. Già tra i braccianti assistiamo ad esplosioni che scavalcano le sigle sindacali - tutte - ma contemporaneamente ad un rafforzamento del ruolo di “servizio” e supporto costituito in alcune aree dal sindacalismo confederale.
Per arrivare al ruolo di nuova sindacalizzazione che passa anche attraverso i sindacati confederali in altre vicende importanti e significative:dalle mobilitazioni in alcune catene della grande distribuzione ai Call Center esistenti soprattutto a sud - ma non solo,ai fast food/ristorazione collettiva veloce, ai lavoratori delle imprese di pulizia.
Per arrivare all’universo delle cooperative sociali che ”surrogano” lo smantellamento/esternalizzazione del lavoro pubblico nei servizi sociali, in particolare in quelli alla persona. Qui una forza lavoro giovane, qualificata e motivata comincia a prendere consapevolezza di se e si scontra con le caratteristiche familiste/clientelari del welfare all’italiana
Qui vi è una presenza tradizionale di sindacalismo di base - ed aggregazioni extrasindacali, vedi l’esperienza delle Rete degli operatori sociali che viene implementata dai collettivi di San Precario esistenti in alcune realtà regionali; che si mescola ad una ripresa di attività del sindacalismo confederale in cui si intreccia l’esigenza dei lavoratori di disporre di uno strumento sindacale purchessia con una logica di “affidamento clientelare” in ragione della presenza dell’asse Pd-Cgil nelle amministrazioni locali.
Dopo la sconfitta dei movimenti dei lavoratori della scuola del biennio 2008/2010 appare più defilata e marginale la contestazione di precari, ricercatori e lavoratori della scuola.
La controriforma Gelmini ha massacrato la scuola pubblica e con essa il ruolo e il lavoro di insegnanti e operatori scolastici. Vi sono “sacche di resistenza” ed esiste una rete di comitati di precari che continuano a configgere con un’ordinamento scolastico che su di essi si regge senza offrirgli alcuna prospettiva di stabilizzazione. Ma si tratta di conflitti cronicizzati che appaiono incapaci di unificarsi nazionalmente e di darsi un respiro ed una prospettiva efficace. Capaci in una parola di diventare “Movimento sociale” dei lavoratori della scuola.
In generale oggi convivono contraddittoriamente la crisi della sindacalizzazione nelle forme che storicamente ha assunto fino ad oggi e la tendenza ad una nuova sindacalizzazione, cioè ad una riscoperta della necessità elementare di uno strumento che faccia valere la forza collettiva del lavoro vivo in tutte le sue forme. Peraltro non è uno scenario nuovo, nè soltanto italiano od europeo. Anzi in paesi in cui i tassi di sindacalizzazione sono precipitati ai minimi storici, dentro la crisi cominciata nel 2007/2008 vediamo ricomparire la spinta all’azione difensiva/collettiva del lavoro salariato che, spesso, guarda con interesse a ciò che arriva dal nuovo ciclo dei movimenti sociali. Pensiamo alle esperienze delle “rivoluzioni arabe” o a quanto sta avvenendo negli Stati Uniti sotto la spinta di Occupy - e a fronte delle capacità di recupero di una delle burocrazie sindacali più fetenti e corrotte sulla dell’ Afl-Cio legata storicamente ad alcune componenti del Partito democratico.
In questo quadro, non vi sono ricette miracolose.
Mi pare che si debba lavorare su una impostazione “combinata”:a) l’utilizzo delle strutture sindacali che “qui e ora” permettono di esprimere al meglio le esigenze di autorganizzazione/autodeterminazione, per quanto difensiva, di un segmento di lavoro salariato. In questo senso occorre tirare un bilancio del sindacalismo di base, nel senso chè è giusto valorizzarne il ruolo dove esso è capace di una azione efficace e quindi rivendicarne anche l’unità d’azione. Ma con la consapevolezza che non siamo più nella fase del perseguiomento della unità tra le sigle del sindacalismo di base come elemento strategico di ricopmposizione/ricostruzione di un sindacalismo di classe capace di scalzare l’egemonia dei grandi apparati sindacli. La strada della ricostruzione di uno strumento sindacale “generale” adeguato alle esigenze, sarà assai più complessa ed articolata; b) la costruzione di organismi ad hoc, dentro vertenze concerte che permettano di aggirare la resistenza degli apparati ed insieme l’autoreferenzialità dei gruppi dirigenti dei sindacati di base concretamente esistenti, c) l’approccio dell’intersindacalità, combinato con quello precedente, che possa mettere insieme lavoratori di diverse sigle sindacali,non necessariamente in rottura con la propria organizzazione ma da essa sufficientemente autonomi da rendersi disponibili ad iniziative concrete.
Questo insieme di “criteri” può aiutare ad una azione sindacale che abbia l’obiettivo ,insieme, di portare a casa risultati e quindi dare fiducia nell’azione collettiva ai lavoratori e far crescere dentro questa azione una consapevolezza di se fondamentale per ricostruire le condizioni elementari di qualunque ricostruzione in futuro di un movimento dei lavoratori capace di coniugare azione immediate e prospettiva di trasformazione sociale in senso anticapitalistico.
Insieme a questi “criteri” per l’azione sindacale diventa determinante la preoccupazione di coltivare con cura tutto ciò che embrionalmente va nel senso del protagonismo diretto - e quindi della spinta all’autorganizzazione - di lavoratori e lavoratrici.
L’autorganizzazione non è qualcosa che germoglia su un “prato verde” che fiorisce ciclicamente e spontaneamente.
Richiede una soggettività politica e sindacale che agisca in quella direzione e che sia capace di utilizzare ogni occasione, ogni congiuntura che possa essere in qualche modo ad essa favorevole. La spinta all’autorganizzazione oggi convive con il sentimento della sconfitta, la disillusione, l’atteggiamento di delega, le difficoltà materiali e la fatica di vivere determinata dalla crisi prolungata.
Ma esiste, bisogna saperla vedere, coltivare, valorizzare.

Per concludere, alcune ipotesi di lavoro possibili per la Rete Communia:
1) Adotta una lotta, ma quale lotta? La lotta dei precari dell’Istat di Roma, il coordinamento milanese di alcune esperienze di lavoro precario esistenti nel Comune di Milano, Lavoratori della scuola, operatori sociali, lavoratori della Feltrinelli. Una attenzione particolare merita la situazione dei lavoratori di Etaly, della star Farinetti. Sia per i tentativi di sindacalizzazione avviati in alcuni negozi, sia per lla possibilità di connettere questi tentativi al percorso di m obilitazione contro l’Expo 2015.
2) Sportelli precari/migranti/lavoro nero, lavoratori domestici - attivando gli spazi occupati di Roma, Milano, Bari, Mantova, Viareggio. Sulla base delle esperienze in corso occorre pensare ad una forma di coordinamento degli sportelli esistenti. Uno strumento utile potrebbe essere costituito da uno “sportello virtuale” aperto sul sito di Communia, sia per far circolare informazioni sulle sperimentazioni in corso, sia per fornire indicazioni e conoscenze.
3) Mutuo soccorso sull’asse Roma/Milano/Bari e Rimaflow/Bari/Rosarno, con l'ulteriore possibile esperienza che si sta avviando a Milano di organizzazione in cooperativa di lavoratori domestici migranti.
4) Sostegno all’esperienza dei lavoratori della “Ri-Maflow” di Trezzano (MIlano) sia per il valore in sé di questa lotta/esperienza di autogestione, che diventa la “porta” attraverso cui far rientrare oggi un progetto di alternativa al capitalismo; sia per la necessità di sostenerla materialmente nella fase i cui i lavoratori della cooperativa devono recuperare attività produttive che possano darle un futuro; ed infine perché Rimaflow diventa “pezzo” centrale della costruzione della campagna verso Expo 2015 che si rilancerà, anche sui temi della sovranità alimentare, a partire dal prossimo autunno.