Il Tfr in busta paga e le politiche salariali creative

Sat, 04/10/2014 - 14:56
di
Marco Bertorello

Sulla falsariga della finanza creativa in stile Tremonti ora anche il governo Renzi si appresta a fare le medesime capriole sul versante dei salari. L'ultima trovata, infatti, è costituita dall'uso anticipato del Tfr (Trattamento di fine rapporto, volgarmente la liquidazione).
In realtà una forma di anticipazione di una quota del Tfr era già possibile per ragioni ben precise, come l'acquisto della prima casa, ma quello che ha in mente il governo è un differente uso strutturale del Tfr, che vedrebbe ridursi o addirittura azzerare il proprio accantonamento. In un recente passato il Tfr era già stato abbondantemente snaturato, consentendo di utilizzarlo in direzione dei fondi pensione. La liquidazione di lavoratori e lavoratrici, dunque, doveva incontrare la finanza da un lato per darle fiato e dall'altro per capitalizzare in operazioni finanziarie più o meno spregiudicate una quota di salario differito, per trasformarsi poi in un vitalizio che avrebbe dovuto integrare le pensioni a causa di un loro netto ridimensionamento. La logica era ti taglio la pensione, ma quel che resta di una parte del tuo accantonamento (Tfr) vattelo a giocare attraverso i fondi pensione, per ridurre il danno. In alcuni casi, però, il danno aumenta, come ha dimostrato il fallimento di molti fondi pensione. Con l'esplosione della bolla tecnologica statunitense, alcune categorie di addetti americani al tempo dovettero rinviare il momento del pensionamento, in quanto il loro fondo era fallito, e non consentiva il recupero neppure di quanto messo da parte in tutti gli anni di attività, altro che capitalizzazione!
Ma la spinta verso la finanziarizzazione delle risorse previdenziali non è più sopportabile per un paese in grave crisi come l'Italia. Se prima l'ideologia dominante teorizzava l'andata verso la finanza delle risorse accantonate dal lavoro, oggi le emergenze sono diventate altre. Il crollo dei consumi, la deflazione, il ristagno dell'economia non consentono neppure di favorire i mercati finanziari. E per certi versi neppure le imprese, almeno non tutte. Oggi, dunque, il governo avanza proposte sul Tfr che vanno dalla sua messa in busta paga, fino al 50% dell'accantonamento mensile, oppure la possibilità di versare in busta paga persino tutto il Tfr maturato. La scelta in entrambi i casi è su base volontaria. Vale la pena riflettere su queste ipotesi, che non possono essere banalizzate come propagandistiche (anche se c'è indubbiamente pure questa componente), in quanto rappresentano una pericolosa insidia per il mondo del lavoro.
La logica governativa parte dalla volontà di far ripartire i consumi attraverso una aumento delle buste paga a costo zero per l'impresa. Insomma torna il tentativo di riprenderla dalla domanda, come per gli 80 euro d'inizio anno. Con alcune differenze importanti però. Gli 80 euro che molti avevano incomprensibilmente sottovalutato, se non snobbato, rappresentavano in qualche misura un alleggerimento del carico fiscale sulle buste paga, cioè era un intervento a carico dello Stato per favorire il lavoro. Al momento l'esito non ha corrisposto alle attese, poiché i consumi continuano a calare, ma rappresentava comunque una boccata d'ossigeno per una parte di salariati. Il Tfr in busta paga subito, invece, costituisce un diverso uso di risorse che sono già del lavoro. Non solo, ma l'intento del governo è quello di ottenere subito un ritorno fiscale da questa scelta, poiché la tassazione separata attualmente del Tfr oscilla tra il 23 e il 26%, mentre potrebbe arrivare a toccare il 43%. Per molte piccole imprese o alle imprese indebitate mettere a disposizione il Tfr potrebbe essere un aggravio immediato, dato che con gli accantonamenti del Tfr viene fatto un uso economico immediato, lasciandolo figurare solo finanziariamente ai propri dipendenti. Ma soprattutto si trasformano le relazioni industriali tra capitale e lavoro. Qui sta il problema principale. Ai dipendenti ricevere una parte o la totalità della liquidazione può apparire un beneficio immediato, oppure una garanzia di un ritorno di una parte del salario che con le riforme che corrono, chissà mai se si potrà recuperare (pensione, ma quando?), ma ciò può costituire anche un surrogato dei prossimi rinnovi contrattuali. E per ciò non mi pare che il mondo dell'impresa nel suo complesso gridi allo scandalo.
Non si applicherebbe più una ripartizione della ricchezza prodotta, nessuna quota di produttività ricadrebbe sul lavoro, in quanto il lavoro verrebbe quietato con risorse che già sono sue. Non a caso la carta del Tfr subito si può combinare con il mancato rinnovo dei contratti, con un vero e proprio blocco dei rinnovi, come sta accadendo per la gran parte delle categorie professionali. Questa partita di giro non solo non è a costo zero (ammesso che gli 80 euro lo siano effettivamente stati), ma è tutta a carico del lavoro. Il vantaggio è che non lo sembra, e allo stesso tempo si mettono dei soldi in tasca subito a una parte dei lavoratori e lavoratrici dipendenti. L'effetto sui consumi è dubbio, ma serve a tirare a campare in una fase in cui non c'è uno straccio di prospettiva per le classi dirigenti. Inoltre si frammenta ulteriormente il lavoro (la scelta è appunto volontaria), e lo si addomestica nella sua volontà contrattuale. Una vera fregatura davvero insidiosa.