I numeri fanno paura, ciò che c’è sotto ancora di più

Sun, 16/02/2014 - 18:04
di
Big Bill Haywood

Disoccupazione giovanile al 41,7% mai così alta dal 1977, +33% di domande di disoccupazione nel 2013, sforato il miliardo di ore di cassa integrazione ed un tasso di disoccupazione in aumento nell’ultimo mese dell’anno passato arrivata ormai al 12,7%. L’ultimo rapporto Istat del 2013 uscito l’8 gennaio è un vero bollettino di guerra. La fine del sesto anno di crisi consecutiva ci consegna un paese devastato dalle politiche di austerity imposte dalla UE con un enorme trasferimento di ricchezza dai salari ai profitti, un aumento esponenziale della povertà e dell’esclusione sociale e fino ad ora, ancora poche e sporadiche resistenze non in grado di contrastare il più grande attacco di classe mai subito dal mondo del lavoro (ormai sempre di più dobbiamo dire del non lavoro). Fermandoci all’analisi del puro dato numerico se pur terrificante, non abbiamo ancora la piena percezione del disastro a cui stiamo assistendo, anzi a cui stiamo partecipando. Partiamo dal miliardo di ore di cassa integrazione; già a fine novembre 2013 la CGIL dichiarava che la CIG (ordinaria, straordinaria ed in deroga) sfiorava le 880 milioni di ore, “una mole tale – dichiarava l’osservatorio del sindacato – che relega in cassa oltre 500 mila lavoratori a zero ore con un taglio del reddito per 3 miliardi e 300 milioni di euro, ovvero quasi 6 mila e 600 euro per ogni singolo lavoratore”. Aggiungiamo inoltre che per molte imprese la concessione della CIG è una proroga a concessioni precedenti con il risultato di “stabilizzare” il criterio momentaneo della crisi aziendale alla base degli accordi sindacali che istituiscono la CIG i quali impongono alle aziende di trovare degli strumenti per uscire prima possibile dalla stato crisi. Questo a dimostrazione di un ripresa economica che sta solo nelle deliranti e grottesche dichiarazioni di un Governo sempre più delegittimato e dei suoi pappagalli della carta stampata. Altro dato che non emerge dalle letture giornalistiche è l’utilizzo della CIGS in deroga a cui possono fare riferimento i lavoratori esclusi dagli ammortizzatori sociali ordinari. Il percorso normativo prende l’avvio formalmente con il Decreto Legge 29 novembre 2008, n. 185 convertito con modificazioni in legge 28 gennaio 2009, n. 2 con il quale il Governo vara un primo pacchetto di misure a sostegno della famiglia, del lavoro, dell’occupazione e dell’impresa, con l’obiettivo di ridisegnare in funzione anti-crisi il quadro delle politiche del lavoro estendendo la possibilità di andare in CIG ai lavoratori a tempo indeterminato delle aziende o dei settori per i quali non sono previsti gli ordinari ammortizzatori sociali, gli apprendisti, i lavoratori con contratto a tempo determinato, di somministrazione e a progetto. Sulla carta tutto perfetto. Il problema nasce come sempre quando bisogna fare uscire le risorse. L’accordo Stato- Regioni del 12 febbraio 2009 prevede che queste misure siano cofinanziate per il 70% dallo Stato e per il 30% dalle Regioni con le risorse del FSE (Fondo Sociale Europeo). Fino qui tutto bene come diceva Huber nel film L’Odio. Il problema non è la caduta ma l’atterraggio. Essendo in Italia il “lavoro” materia concorrente dove anche gli enti locali partecipano in sussidiarietà alla regolamentazione, molte Regioni hanno esaurito (o utilizzato per altri scopi) quasi subito i fondi messi a disposizione dal FSE nella programmazione 2007/2013 mentre il Governo nelle varie Leggi di Stabilità (specialmente quella 2013) dedica sempre meno risorse a questo strumento. Risultato: moltissimi lavoratori che nel 2013 hanno presentato domanda di Mobilità e CIGS in deroga avendone diritto sono stati esclusi dall’erogazione del beneficio con un impatto devastante per le famiglie e per i territori in particolare quelli dove insistono piccole e medie imprese (specialmente Nordest e Mezzogiorno).

Passiamo al dato scottante della disoccupazione giovanile e dell’aumento del trend su quella generale. Come si rileva la disoccupazione in Italia? Senza dare lezioni di statistica a nessuno leggiamo sul sito dell’Istat. Disoccupati: comprendono le persone non occupate tra i 15 e i 74 anni che: hanno effettuato almeno un’azione attiva di ricerca di lavoro nelle quattro settimane che precedono la settimana di riferimento dell’intervista e sono disponibili a lavorare (o ad avviare un’attività autonoma) entro le due settimane successive; oppure, inizieranno un lavoro entro tre mesi dalla settimana di riferimento e sarebbero disponibili a lavorare (o ad avviare un’attività autonoma) entro le due settimane successive, qualora fosse possibile anticipare l’inizio del lavoro.
Gli occupati invece comprendono le persone di 15 anni e più che nella settimana di riferimento: hanno svolto almeno un’ora di lavoro in una qualsiasi attività che preveda un corrispettivo monetario o in natura; hanno svolto almeno un’ora di lavoro non retribuito nella ditta di un familiare nella quale collaborano abitualmente; sono assenti dal lavoro (ad esempio, per ferie o malattia). I dipendenti assenti dal lavoro sono considerati occupati se l’assenza non supera tre mesi, oppure se durante l’assenza continuano a percepire almeno il 50% della retribuzione. Gli indipendenti assenti dal lavoro, ad eccezione dei coadiuvanti familiari, sono considerati occupati se, durante il periodo di assenza, mantengono l’attività. I coadiuvanti familiari sono considerati occupati se l’assenza non supera tre mesi.
Se calcoliamo solo la disoccupazione giovanile l’età di riferimento è dai 14 ai 24 esclusi studenti a tempo pieno ed i così detti NEET (Not in Education, Employment or Training) i giovani che non studiano e non lavorano che sono oltre due milioni, dramma nel dramma. Questo significa due cose. La prima è che secondo i criteri dell’Istat (utilizzati a livello internazionale ed elaborati dal dall’International Labour Office) il restante 58,3% (sul dato a gennaio 2014 del 41,3% di disoccupazione) di giovani sono solo in parte “occupati” nel senso ormai romantico e dignitoso del termine, gli altri sono, come emerge dalla definizione, in cerca di lavoro o con un lavoro precario. Inoltre sfuggono alle statistiche tutti quei ragazzi e quelle ragazze che si arrangiano con lavori a nero nel più totale sfruttamento e quei giovani migranti spesso anche minorenni che la legislazione e le statistiche definiscono “irregolari” appositamente per tenere basso il costo del lavoro. È proprio alla situazione di massima ricattabilità e di schiavitù già sperimentata sulla pelle dei migranti che vogliono portare tutti i lavoratori e le lavoratrici a partire dai giovani. Questo è l’obiettivo dei Governi, dell’Europa e delle lobbie finanziarie ed industriali. Far ripartire l’economia con il taglio del costo del lavoro e dei diritti. Altro che crescita alle porte!