YO DECIDO/Bari

Tue, 04/03/2014 - 19:45
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Donne di Rivoltiamo la precarietà/ Bari.

Alcune considerazione dopo l'incontro e dibattito con Sandra Companon e Marta Cotta Ramosino.

Il governo spagnolo di Mariano Rajoy intende annullare anni di battaglie di lotte delle donne e compiere un terribile passo da gigante indietro rispetto alla legge approvata nel 2009 dal governo Zapatero. Il progetto di legge del ministro della Giustizia Alberto Ruiz Gallardón, che intende vietare l’aborto come libera decisione della donna, limitandone il ricorso ai casi di violenza sessuale o di grave rischio per la salute della donna, è la risposta sia alle politiche di austerity imposte dalla crisi economica sia alle richieste dei poteri clericali meravigliati che l’attuale governo, al potere da più di un anno, ancora nulla ha compiuto a riguardo. Il movimento spagnolo lancia la campagna “Porque yo decido” per esigere che venga mantenuta la legge attuale sulla salute sessuale e riproduttiva e sull’interruzione volontaria di gravidanza. Movimento che incontra solidarietà e consenso tra la gente e si incontra con altre realtà in lotta colpite dalla crisi. Il movimento, infatti, nel suo complesso si presenta eterogeneo e suddiviso in base alle diverse istanze che sono nate dalla lesione di diritti come ad esempio quello alla casa da cui è sorto il movimento degli “afectados por la hipoteca”. Con l’inizio della campagna Yo decido il movimento stesso inizia a comprendere che l’unità delle lotte costituisce lo strumento necessario per vincere la battaglia.

L’attuale legge spagnola sull’IVG approvata nel 2010 dal governo Zapatero riconosce il diritto di abortire senza alcuna giustificazione entro la 14ma settimana; in caso di malformazione del feto o di rischio per la salute della madre il termine si allunga alla 22ma settimana ed i costi dell’intervento sono tutti rimborsati dallo Stato. Ed inoltre la normativa spagnola regolamenta l’obiezione di coscienza garantendo la presenza nelle strutture ospedaliere di medici non obiettori ed i farmacisti non possono obiettare.

In Italia la legge 194 è sempre sotto attacco e minacciata. L’elevata percentuale di obiettori di coscienza nei consultori ed i tagli alla sanità pubblica rischiano di ridurre a lettera morta il diritto ad un aborto pubblico, gratuito e garantito. Le strutture pubbliche che praticano l’IVG diminuiscono e rare sono quelle che si avvalgono dell’aborto farmacologico in luogo di quello chirurgico aggiungendo a tutto ciò l’iter interminabile per ottenere gratuitamente la pillola del giorno dopo.

Da Nord a Sud in intere regioni l’aborto legale è stato cancellato, oltre l’80% dei ginecologi, e oltre il 50% di anestesisti e infermieri non applicano più la legge con un ritorno alla clandestinità. E ciò avviene nei consultori e ospedali pubblici luoghi in cui si dovrebbe parlare di sessualità libera e non eteronormata, luoghi che dovrebbero essere accessibili a tutt* .

Laddove invece le donne migranti incontrano una serie di difficoltà nell’accedere alle strutture pubbliche; ed è rispetto alle donne migranti che deve considerarsi il tema delle intersezioni tra genere, classe, razza/etnia/cultura e altre peculiarità che emergono nelle vite individuali e nella società. Le rivendicazioni devono riguardare quindi un aborto, libero, gratuito e garantito a tutte le donne senza alcuna discriminazione di razza derivante dalle politiche sull’immigrazione che legano alla cittadinanza il riconoscimento di diritti.

L’altra faccia della medaglia dell’aborto quale “diritto negato” è la voce di quelle donne che rivendicano un diritto alla maternità. Il lavoro, quando c’è, è oggi precario e sottopagato e non permette di fare alcuna scelta per il futuro, figuriamoci di avere figl*! Ed i continui tagli al welfare e la mancanza di un’assistenza pubblica e gratuita costringono o a rinunciare alla maternità o ad avvalersi, per chi può, di welfare familiare. La contraddizione è dunque che da un lato, decidono sui corpi delle donne obbligando a terminare una gravidanza dall’altro non vengono garantite condizioni di lavoro stabile.

Si introduce così sempre più un controllo sul corpo della donne: di quelle che a fronte di una gravidanza sebbene non voluta non lavoreranno per la cura dei figli ecc. con un ricaduta sulla classica suddivisione della forza lavoro tra uomini e donne funzionale agli interessi del profitto. Queste scelte politiche corrispondono a una concreta “legislazione del corpo” che riguarda anche i migranti rinchiusi nei CIE, o che per il trattato di Dublino sono limitati nella circolazione, a causa del rilascio delle impronte digitali, che li vincolano a stazionare nel primo paese ‘ospitante’.

Gli interessi economici-sociali del sistema di mercato in cui viviamo sono ben legati al diritto all’aborto, e i governi nazionali ne riaffermano la portata non rinunciando a legiferare in merito e ad accentuare la propria sovranità. Infatti, a livello europeo è stata bocciata la risoluzione di Edite Estrela del gruppo 'Socialisti e Democratici' (S&D) per il riconoscimento dell'aborto come 'diritto umano' delle donne da garantire 'sicuro e legale' in tutti i paesi dell'Ue.

Non è un caso che la proposta di legge spagnola arrivi in un periodo di crisi economica e a seguito dell’adozione di politiche di austerity per fronteggiarla. La necessità di rispettare la troika, il pagamento di un debito pubblico illegittimo portano i governi nazionali ad adottare politiche repressive e di tagli che incidono sempre di più sui soggetti più vulnerabili.

Le manifestazioni dell’8 marzo, le campagne diffuse sui territori, la solidarietà tra collettivi e donne attiviste tra diversi paesi europei, come il tour promosso da CommuniaNetwork di sostegno alla campagna spagnola #yodecido rappresentano uno degli strumenti per difendere diritti acquisiti e conquistarne altri, in grado di opporsi e contrastare le politiche che il capitale vuole imporci.